Chi guadagna di meno dovrà lavorare fino a 5 mesi in più per compensare l’aumento dell’età pensionabile di 3 mesi che scatterà dal 2028. L'allarme lanciato dalla CGIL
Dal 2028, per i redditi bassi, serviranno 5 mesi di lavoro in più per raggiungere l’aumento dei 3 mesi previsto dalla Legge di Bilancio.
Per lavoratori e lavoratrici che non raggiungono il minimale contributivo, infatti, dal 2028 potrebbero essere necessari 5 mesi di lavoro in più invece che 3.
Si tratta di circa 5 milioni di persone con una retribuzione inferiore al minimale contributivo, pari a 12.551 euro nel 2025.
A lanciare l’allarme è lo studio della CGIL sulle ricadute delle norme introdotte con la Legge di Bilancio 2026 sul sistema previdenziale.
Aumento dell’età pensionabile: chi ha redditi bassi dovrà lavorare 5 mesi in più
Dal 2027 scatterà il primo aumento dell’età pensionabile: per andare in pensione lavoratori e lavoratrici dovranno compiere i 67 anni e 1 mese d’età. Salirà poi di altri 2 mesi a partire dal 2028, per un aumento totale di 3 mesi sui 67 anni attuali. Stesso incremento anche per la pensione anticipata ordinaria.
L’aumento sarebbe dovuto scattare pienamente (tutti e 3 i mesi) dal 2027, l’intervento previsto nel disegno Legge di Bilancio per il 2026 lo rallenta ma non lo blocca.
A farne le spese sono lavoratori e lavoratrici, soprattutto quelli che non raggiungono il minimale contributivo, circa 5 milioni di persone con una retribuzione inferiore a 12.551 euro nel 2025.
Per loro, infatti, l’aumento dell’età per l’accesso alla pensione nel 2028, previsto sulla base della crescita dell’aspettativa di vita, potrebbe non fermarsi a 3 mesi. Per lavoratori e lavoratrici impegnati con contratti part time, contratti a termine e con bassi salari, infatti, potrebbero essere necessari 5 mesi di lavoro in più invece che 3.
A sottolinearlo è la CGIL nell’analisi dell’Osservatorio Previdenza in merito alle ricadute delle norme introdotte con la legge di Bilancio sul sistema previdenziale.
Secondo il sindacato, potrebbero essere coinvolti in questa situazione circa il 29 per cento dei lavoratori e delle lavoratrici con almeno una giornata di lavoro retribuito nel settore privato nel 2024. Lavoratori e lavoratrici che non riescono a farsi riconoscere un anno pieno di contributi pur svolgendo attività lavorativa. Il motivo non è la durata dei rapporti di lavoro, ma i redditi troppo bassi che non raggiungono il minimale contributivo necessario che, come detto, oggi è pari a 12.551 euro. Chi resta sotto questa soglia, infatti, accumula meno settimane di contributi anche se lavora per un anno.
Si tratterebbe, come anticipato, di oltre 5,1 milioni di persone, “soprattutto di donne e giovani, proprio coloro che subiranno le conseguenze peggiori dell’aumento automatico dei requisiti legato all’aspettativa di vita.”
“La nostra analisi, basata sui dati dell’Osservatorio INPS sulle retribuzioni dimostra che dal 2028 chi ha retribuzioni basse dovrà lavorare settimane e mesi in più solo per “recuperare” l’incremento di tre mesi deciso da questo Esecutivo. Con 5.000 euro annui, ad esempio, per ottenere i 3 mesi aggiuntivi previsti serviranno quasi 2 mesi di lavoro in più; nel 2040, per compensare l’ulteriore incremento, ne serviranno oltre 7; nel 2050 si arriverà a un anno e un mese di lavoro in più, perché ogni 20 mesi lavorati ne varranno solo 12 ai fini della pensione.”
Questo il commento di Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della CGIL nazionale.
Cresce anche il minimale
La CGIL mette in guardia anche su un altro fenomeno collegato: l’aumento del minimale contributivo.
Dal 2022, si legge nella nota, il minimale è aumentato del 16,5 per cento, “molto più dei salari”. La soglia è passata da 10.928 ai 12.726 euro stimati per il 2026. La rivalutazione infatti è agganciata all’indicizzazione delle pensioni.
Tutto questo mentre le retribuzioni dei lavoratori più poveri, invece, sono rimaste sostanzialmente invariate.
“Questo significa -sottolinea Cigna- che senza rinnovi dei contratti e senza aumenti che tengano almeno il passo con l’inflazione, anche chi lavora tutto l’anno rischia di perdere settimane di contributi utili. A retribuzione invariata, tra il 2023 e il 2026 un lavoratore può perdere 22 settimane, oltre 5 mesi e mezzo di pensione futura cancellati, pur avendo lavorato ogni singolo giorno”.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Aumento dell’età pensionabile: chi ha redditi bassi dovrà lavorare 5 mesi in più