La tassazione delle indennità di esproprio

Tassazione delle indennità di esproprio e momento rilevante ai fini della tassabilità (principio di cassa): alcune riflessioni sul tema partendo dal caso affrontato dalla Corte di Cassazione nell'Ordinanza numero 1420/2021.

La tassazione delle indennità di esproprio

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza numero 1420 del 25 maggio 2021, si è pronunciata sul tema della tassazione delle indennità di esproprio e sul momento rilevante ai fini della stessa tassabilità.

Nel caso di specie, il contribuente proponeva ricorso avverso il diniego di accoglimento delle istanze di rimborso delle ritenute Irpef, applicate ai sensi dell’art. 11 della L. 413/1991 sulle indennità di esproprio.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso e la sentenza veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate.

La Commissione Tributaria Regionale ne rigettava però l’appello, rilevando che il versamento delle somme a favore dell’espropriato dopo l’entrata in vigore della L. 413/91 era imputabile al comportamento della pubblica amministrazione, con la conseguenza che l’importo corrisposto, a seguito della più sfavorevole disciplina introdotta appunto con la L. 413/91, non andava sottoposto a tassazione.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 11, commi 5, 6°e 7, della L. 413/1991, per non avere la CTR applicato il principio di cassa, riconosciuto invece dalla consolidata giurisprudenza, che assoggetta a tassazione e a ritenuta ogni pagamento che realizzi una plusvalenza conseguito dopo l’entrata in vigore della stessa L. 413/1991.

Secondo la Suprema Corte la censura era infondata.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 14420 del 25 maggio 2021
Il testo integrale dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 14420 del 25 maggio 2021.

La tassazione delle indennità di esproprio: Ordinanza numero 1420/2021 della Corte di Cassazione

Evidenziano i giudici di legittimità che la L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, commi 5, 6 e 7, confluito nel Dpr. giugno 2001, n. 327, n. 8, art. 35, stabilisce:

“per le plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, di indennità di esproprio o di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi, nonchè di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all’interno delle zone omogenee di tipo A, 8, C, D, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, definite dagli strumenti urbanistici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 81, comma 1, lettera b), ultima parte, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917,e successive modificazioni, introdotta dal comma 1, lettera f), del presente articolo.

Le indennità di occupazione e gli interessi comunque dovuti sulle somme di cui al comma 5 costituiscono reddito imponibile e concorrono alla formazione dei redditi diversi di cui all’articolo 81 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, come modificato dal comma 1 del presente articolo. Gli enti eroganti, all’atto della corresponsione delle somme di cui ai commi 5 e 6, comprese le somme per occupazione temporanea, risarcimento danni da occupazione acquisitiva, rivalutazione ed interessi, devono operare una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 20 per cento.

È facoltà del contribuente optare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, per la tassazione ordinaria, nel qual caso la ritenuta si considera effettuata a titolo di acconto”.

È vero, rileva la Cassazione, che, come affermato dall’indirizzo giurisprudenziale segnalato dalla ricorrente in tema di imposte sui redditi, ai fini del prelievo fiscale di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1 gennaio 1989.

Nè tale disciplina pone dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., sul rilievo che essa determinerebbe una ingiustificata differenziazione di situazioni omogenee, o una lesione del diritto di difesa rispetto alle espropriazioni, che, invece, rimarrebbero indenni da tassazione, solo perchè l’Amministrazione ha corrisposto indennità prima del 31 dicembre 1991, o perchè l’eventuale giudizio si sia chiuso a quella data, in quanto, sotto il profilo impositivo, l’unico momento rilevante è quello della percezione della plusvalenza ed il diverso trattamento costituisce un effetto tipico della disciplina della successione delle leggi nel tempo, il cui decorso costituisce, di per sè, elemento diversificatore (cfr., Cass. n. 2194/2012; n. 5962/2015; Cass. n. 9173/2015; Cass. n. 9441/2015; Cass. 910/2016 Cass 828772018).

Ma, evidenzia la Corte, va tuttavia rilevato che il sopra riportato principio di cassa, quale criterio di tassazione delle plusvalenze da esproprio, è poi stato meglio puntualizzato in sede di legittimità, con un indirizzo, inaugurato con la sentenza nr. 1429/13, a cui è stata poi data continuità con altre e più recenti pronunce (cfr. Cass. 265/2016 e 16629/2020).

In particolare, pertanto, pur non rimettendosi in discussione, quale momento rilevante ai fini della tassabilità, il criterio della percezione delle indennità da esproprio, in qualità di redditi diversi, a prescindere dalla eventuale anteriorità del titolo che le ha generate, la Cassazione evidenzia come si debbano comunque considerare eventuali situazioni peculiari, connotate da un ingiustificato ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nella corresponsione dell’indennità di esproprio, che abbia cagionato al soggetto espropriato un danno in conseguenza della modifica normativa nel frattempo intervenuta; danno che non avrebbe subito ove il pagamento fosse avvenuto nel termine “ragionevole” di definizione dei procedimenti amministrativi.

La tassazione delle indennità di esproprio: alcune considerazioni

A tal proposito la Cassazione ricorda infatti come sia stato già affermato il principio di diritto secondo cui, qualora gli atti integranti il trasferimento cui consegue la plusvalenza, cioè, rispettivamente, il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva, siano intervenuti prima del 31 dicembre 1989, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991, la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento della plusvalenza (cfr., Cass. 1429/2013).

Una diversa interpretazione risulterebbe del resto in contrasto con i principi costituzionali:

  • a) di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), non potendosi consentire che lo Stato, nella sua veste di debitore, possa trarre vantaggio dal proprio inadempimento, costituito dall’aver tardato ingiustificatamente di corrispondere il dovuto;
  • b) degli obblighi internazionali come limite generale di validità della legislazione statale e regionale (art. 117 Cost.);
  • c) del giusto processo e della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), dovendosi evitare che il contribuente, già danneggiato dal comportamento dilatorio della P.A., sia poi anche costretto ad un iter giudiziario, a seguito del quale sia anche sottoposto ad ulteriori oneri fiscale.

Infine, la Corte di Cassazione richiama anche i principi della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (si vedano, tra i numerosi precedenti, Gasus Dosier -und Fordertechnik GgmbH c. Paesi Bassi, 23 febbraio 1995, p. 62, e N. K.M. c. Ungheria, in causa n. 66529/11, p. 42, del 14 maggio 2013), già anche valorizzati dalla stessa Corte (cfr., Cass. 16629/2020 e 1429/2010), secondo i quali “un’ingerenza, anche derivante da una misura finalizzata ad assicurare il pagamento delle imposte, deve pervenire ad un “giusto equilibrio” tra le esigenze degli interessi generali della collettività e le esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona, atteso che la necessità di conseguire tale equilibrio trova riscontro nella struttura complessiva dell’art. 1, del Protocollo n. 1”.

In sostanza, conclude la Corte, non può dunque essere imposto al contribuente un carico eccessivo, risultando evidente che, qualora venga riscontrato un comportamento negativo della Pubblica Amministrazione nell’erogazione dell’indennità, il cui ritardo abbia inciso sull’applicazione del regime fiscale, deve ritenersi violato la CEDU, art. 1, Protocollo 1, in quanto “l’applicazione retroattiva della L. n. 413 del 1991, non ha garantito quel giusto equilibrio fra l’interesse generale e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo”.

Nella fattispecie in esame il ritardo era quindi ingiustificato, in quanto il debito dell’Amministrazione era sorto ben prima della data di riferimento - l’indennità sarebbe spettata nel 1978 e 1980 ed era invece stata corrisposta nel 1995 e nel 2003 - e solo la resistenza, anche in giudizio, dell’Amministrazione aveva determinato un considerevole ritardo nel pagamento.

Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali giova anche evidenziare quanto segue.

Bisogna rilevare che comunque l’imposta del 20 per cento sull’indennità da esproprio non è, ex se, una violazione del diritto di proprietà, garantito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Così infatti ha stabilito la stessa Corte di Strasburgo, con due decisioni del 16 gennaio 2018, relative a due casi contro l’Italia (ricorsi n. 60633/16 e n. 50821/06).

Nel caso di specie vi era stata l’espropriazione (in un caso odi occupazione appropriativa) di terreni in due Comuni differenti e dall’indennizzo erogato era stato detratto il 20 per cento dell’importo a titolo di imposta.

Tale detrazione, secondo i ricorrenti, aveva determinato una perdita patrimoniale rispetto al valore di mercato del terreno e, quindi, una violazione dell’articolo 1 CEDU.

La Corte europea di Strasburgo, pur riconoscendo che l’indennità corrisposta dalle amministrazioni dopo un’espropriazione rientra nel diritto di proprietà tutelato dal Protocollo n. 1, ha tuttavia poi affermato che gli Stati, nelle scelte in materia di politica fiscale, hanno un ampio margine di apprezzamento discrezionale, laddove, comunque, l’imposizione in contestazione non poteva essere considerata un onere “irragionevole e sproporzionato” a carico del proprietario.

L’importo richiesto, infatti, osserva la Corte, non aveva una portata tale da rendere il pagamento dell’imposta simile a una confisca, non intaccando il valore di mercato dei terreni, non compromettendo la situazione finanziaria dei ricorrenti, e dunque raggiungendo un giusto equilibrio tra tutela dei diritti dell’individuo e interesse pubblico alle entrate fiscali.

La questione della definizione della natura giuridica dell’indennità di esproprio ai fini tributari è del resto di particolare importanza, in particolare da quando, con l’art. 11 della l. n. 413 del 1991, le indennità corrisposte dai comuni ai soggetti espropriati sono state appunto assoggettate ad imposizione, laddove è comunque possibile escludere la natura risarcitoria dell’indennizzo.

Il risarcimento, infatti, postulerebbe una reintegrazione più o meno totale del danno subito dal privato proprietario per effetto dell’esproprio.

La funzione sociale assegnata per Costituzione alla proprietà, come prevalente su quella privatistica, unita al fatto che il relativo diritto non è catalogabile tra i diritti fondamentali dell’individuo, tende però ad evidenziare nell’istituto espropriativo, più che il carattere di sottrazione di un bene al privato, anche se per motivi di pubblico interesse, un’attribuzione di strumento conformativo della proprietà indirizzata ai fini di utilità collettiva.

Questa ricostruzione della natura dell’indennità ha dunque condotto il legislatore ad attrarre a tassazione le indennità di esproprio.

E con l’art.11 della L. n. 413 del 1991, che ha modificato l’art. 81, 1° comma, lett. b) del Tuir (all’epoca norma di riferimento in materia di redditi diversi, ora disciplinati dagli artt. 67 e ss.), come visto, il legislatore ha deciso di assoggettare all’imposta personale sui redditi, le plusvalenze conseguenti alla percezione di indennità di esproprio o di somme comunque percepite nel corso di procedimenti espropriativi e acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime.

Sotto il profilo dell’imposizione, le plusvalenze connesse ad indennità di esproprio si inquadrano peraltro nella disciplina dei redditi diversi, dovendosi quindi applicare i canoni interpretativi connessi alle fattispecie che delimitano tale categoria reddituale.

In questa ottica, dalla lettura dell’art. 67 citato, emerge che le plusvalenze non d’impresa, per assumere rilevanza ai fini impositivi, devono essere “realizzate”.

Il riferimento alla realizzazione operato dalla norma serve per individuare il momento in cui la plusvalenza viene materialmente ad esistenza, che è però indipendente da quello in cui assume rilevanza per il prelievo.

Il legislatore, introducendo il criterio di cassa per la tassazione delle plusvalenze non d’impresa, ha infatti operato una scelta chiara: indipendentemente dal momento in cui è venuta ad esistenza la plusvalenza (realizzazione), essa viene colpita dal prelievo nel periodo d’imposta in cui è si è verificata la percezione del corrispettivo.

Ma se, come appunto nel caso affrontato dalla sentenza in commento, tale momento viene artatamente rinviato, con effetti sfavorevoli per il contribuente, il comportamento dell’Amministrazione può assurgere a fattispecie di “abuso del processo”, le cui conseguenze, laddove accertate, non possono essere subite dal contribuente.

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