Tassazione delle criptovalute e voluntary tra passato e presente

Giovambattista Palumbo - Dichiarazione dei redditi

Un approfondimento sul mondo delle criptovalute, in particolare su tassazione e voluntary disclosure, tra passato e presente

Tassazione delle criptovalute e voluntary tra passato e presente

L’acquisto di criptovalute avviene generalmente mediate l’iscrizione a piattaforme online (cd. exchangers), di cui alcune anche residenti nella UE.

Queste piattaforme mettono a disposizione dell’utente un portafoglio elettronico (cd. “wallet”), che, una volta collegato ad un conto corrente bancario oppure ad una carta di credito, consente lo scambio di valute virtuali tradizionali.

Lo scambio avviene sulla base di un tasso di cambio (per es., bitcoin con euro al tasso BTC/EUR).

Dopo l’acquisto le monete virtuali vengono detenute su tali portafogli elettronici e possono essere riconvertite in euro o utilizzate per effettuare pagamenti a favore di altri soggetti (anch’essi titolari di wallet), che le accettano come mezzo di scambio.

In un tale scenario qual è il trattamento fiscale da applicare alle corrispondenti operazioni (fiscalmente rilevanti)?

Tassazione delle criptovalute prima delle novità della Legge di Bilancio 2023

I criteri da adottare, in sede di dichiarazione dei redditi derivanti dagli investimenti speculativi eseguiti con le c.d. rappresentazioni digitali di valore, sono stati negli anni in realtà già definiti dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 72/2016, che assimila ai fini fiscali le valute virtuali alle valute tradizionali estere.

Il trattamento di questi strumenti, in assenza di una disciplina ad hoc, soggiaceva dunque alla normativa relativa alle valute tradizionali, ex articolo 67 del Tuir, in base al quale il profitto generato dalla compravendita di bitcoin o altre criptovalute diventa rilevante ai fini dell’imposta sul reddito solamente se la giacenza media dell’insieme degli wallet detenuti dal contribuente abbia superato il controvalore di 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi.

Soltanto in questo caso, la plusvalenza generata doveva quindi essere dichiarata nel quadro RT del modello redditi, applicando l’imposta sostitutiva del 26 per cento.

L’articolo 67 del DPR n 917/86 dispone infatti espressamente che:

  • costituiscono redditi diversi di natura finanziaria “le plusvalenze […] realizzate mediante cessione a titolo oneroso […] di valute estere, oggetto di cessione a termine o rinvenienti da depositi o conti correnti”, laddove per cessione a titolo oneroso si intende anche “il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente” - Comma 1, lett. c-ter;
  • “Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a € 51.645,69 per almeno 7 giorni lavorativi continui” - Comma 1-ter.

Per valutare se la plusvalenza realizzata con la conversione in euro delle criptovalute fosse fiscalmente rilevante occorreva dunque comunque verificare che si fosse avuto il superamento del limite di giacenza previsto dall’art. 67 comma 1-ter del TUIR (51.645,69 euro), laddove la soglia di giacenza di euro 51.645,69 riguarda peraltro i depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente (cfr., Risposta ad interpello n. 956-39/2018).

Per la determinazione della plusvalenza si doveva poi applicare l’art. 67 comma 1-bis TUIR, considerandosi cedute per prime le criptovalute acquisite in data più recente (Metodo LIFO – Last In First Out).

La plusvalenza doveva in tal caso essere indicata nel quadro RT del modello Redditi PF, con codice tributo 1100 – Imposta sostitutiva sulle plusvalenze di cui all’art. 67, comma 1, lett. da c-bis) a c-quinquies) del TUIR.

Non bisognava inoltre dimenticare che i rapporti detenuti dal contribuente residente nel territorio nazionale con gli intermediari esteri sono a tutti gli effetti rapporti finanziari stipulati al di fuori del territorio dello Stato e soggiacciono, pertanto, alla disciplina di cui all’articolo 4, comma 1, del Dl. n 167/1990, in tema di monitoraggio fiscale di attività finanziarie estere, con obbligo di dichiarare il possesso di investimenti finanziari esteri all’interno del quadro RW della dichiarazione dei redditi.

Le istruzioni alla compilazione del Quadro RW prevedevano già, peraltro, indicazioni specifiche per le criptovalute (indicando per le stesse, nella tabella delle attività finanziarie detenute all’estero, il codice 14)

Tassazione delle criptovalute prima e voluntary: le ultime novità approvate

Tanto premesso, per agevolare la dichiarazione “spontanea” di tali risorse era tuttavia chiaro che sarebbe stato opportuno introdurre una normativa specifica, ad hoc, senza dover adattare quella attuale.

A tal fine, ad esempio, tra le soluzioni che potevano essere prese in considerazione, vi era la possibilità di istituire gli exchangers come sostituti di imposta sulle transazioni, consentendo così, al momento della conversione dei bitcoin in euro, di intercettare già parte del fenomeno, quella effettivamente “in chiaro”.

Per avere una gestione fiscale più semplice poteva inoltre essere opportuno impostare una gestione delle criptovalute con il regime del risparmio amministrato, con un regime di tassazione cioè applicato direttamente dall’intermediario, ai sensi dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 461/97.

Regime utilizzabile però soltanto in caso di intermediario finanziario residente, a meno che, anche nel caso in cui via fosse un intermediario non residente, questi, alternativamente:

  • si fosse identificato direttamente in Italia, ed operi tramite sede italiana;
  • avesse costituito una stabile organizzazione in Italia.

In sostanza, coinvolgere anche gli intermediari nella tassazione avrebbe fatto ottenere il vantaggio di far sì che la tassazione venisse applicata e trattenuta dallo stesso intermediario, con versamento diretto all’Erario.

Il Legislatore, in ogni caso, con la Legge di Bilancio 2023, ha finalmente predisposto un nuovo regime di tassazione delle criptovalute, con una procedura di regolarizzazione per quelle già detenute in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale.

In base al testo, le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività, comunque denominata, archiviata o negoziata elettronicamente su tecnologie di registri distribuiti o tecnologie equivalenti, vengono quindi ora qualificate come redditi diversi di natura finanziaria.

E le operazioni rileveranno solo se, nel corso del medesimo periodo d’imposta, il valore delle plusvalenze complessivamente realizzate sarà superiore ad un limite quantitativo, fissato in 2.000 euro.

Unica movimentazione che non darà luogo all’emersione di redditi diversi sarà quella della “permuta” effettuata tra cripto-attività aventi medesime caratteristiche e funzioni, anche se bisognerà capire esattamente cosa si intenda per cripto-attività aventi medesime caratteristiche e funzioni.

La nota illustrativa cita comunque come esempio di permuta rilevante ai fini reddituali il caso dell’utilizzo di cripto-valuta per l’acquisto di non fungible token (NFT). In questo caso, infatti, trattandosi di strumenti digitali differenti, l’eventuale plusvalenza sarà redditualmente rilevante.

Le plusvalenze saranno costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito e il costo o il valore di acquisto (che deve essere documentato, a cura del contribuente, da elementi certi e precisi) e saranno sommate algebricamente alle relative minusvalenze.

Se poi le minusvalenze saranno superiori alle plusvalenze, per un importo superiore a 2.000 euro, l’eccedenza potrà essere riportata in deduzione integralmente dall’ammontare delle plusvalenze dei periodi successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che sia indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale le stesse minusvalenze sono state realizzate.

La proposta normativa contiene infine anche la possibilità di affrancare il valore delle cripto attività alla data del 1° gennaio 2023, dietro il pagamento di un’imposta sostitutiva del 14 per cento, da effettuarsi in un’unica soluzione o in tre annuali di pari importo (sull’importo delle rate successive alla prima saranno dovuti gli interessi nella misura del 3 per cento annuo, da versarsi contestualmente a ciascuna rata).

Si tratta, in sostanza, di una rivalutazione del valore delle cripto-attività, laddove il valore dell’attività dovrà essere determinato ai sensi dell’articolo 9 del TUIR, ovvero a “valore normale”.

In ogni caso, la norma prevede che l’assunzione del valore rideterminato quale valore di acquisto non consente il realizzo di minusvalenze utilizzabili ai sensi del comma 9 bis dell’articolo 68 del TUIR, anch’esso introdotto dalla Manovra 2023, che definisce la determinazione dei “redditi diversi”, come sopra già indicati (in concreto, la minusvalenza non potrà essere considerata in somma algebrica con le eventuali ulteriori plusvalenze di periodo, né riportata a nuovo).

La tassazione “a regime” dovrebbe poi essere la seguente:

  • la tassazione avverrà ad aliquota fissa, pari al 26 per cento (sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali);
  • laddove le attività vengano gestite presso intermediari bancari o finanziari abilitati, sarà possibile optare per il regime del risparmio amministrato;
  • medesima possibilità è prevista per i rapporti intrattenuti con operatori non finanziari, ovvero quando le cripto attività sono gestite dai soggetti che gestiscono i “wallet” digitali.

Come detto, la proposta normativa introduce poi anche una procedura di regolarizzazione delle posizioni dei contribuenti che, alla data del 31 dicembre 2021, detenevano criptoattività in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale di cui all’art. 4 del D.L. 167/1990 e senza dichiarare i redditi prodotti dalle stesse.

In particolare:

  • se la detenzione delle cripto attività non ha prodotto redditi, le violazioni potranno essere regolarizzate con il versamento di un importo pari alla misura dello 0,5 per cento, per ciascun anno, sul valore delle attività non dichiarate;
  • se, invece, sono stati prodotti redditi, oltre al pagamento dello 0,5 per cento annuo riferito alle violazioni del monitoraggio fiscale, il contribuente dovrà versare anche un’imposta sostitutiva nella misura del 3,5 per cento del valore delle medesime attività detenute al termine di ogni anno o al momento del realizzo.

Giova evidenziare come che una procedura di regolarizzazione fosse opportuna, anche per motivi di correttezza verso i contribuenti, era del resto anche dimostrato dal fatto che soltanto dal periodo di imposta 2018 le istruzioni al quadro RW includevano le valute virtuali tra le attività da indicare nello stesso.

E, in un tale clima di incertezza, peraltro, un primo caso di voluntary criptovalute “ad hoc” si è in realtà anche già registrato, seppure su una singola pratica, con un contribuente che ha recentemente concluso con l’Agenzia delle Entrate la prima collaborazione volontaria/adesione sulla materia.

L’operazione ha visto proporre da parte di un contribuente un accertamento su base volontaria di un patrimonio verificato a monte dai professionisti che fosse meritevole di essere “regolarizzato”.

Il patrimonio è stato quindi soggetto ad imposizione sulla base degli incrementi di valore maturati nel tempo; laddove comparivano problemi di oggettiva dimostrazione sul numero di operazioni effettuate (permute di criptovalute con criptovalute), perché ad esempio non esisteva più la piattaforma di riferimento, si è ricorso all’utilizzo di criteri forfettari.

Si è dunque proceduto a suddividere le consistenze in due parti:

  • la prima, le criptovalute cambiate in euro (con tassazione al 26 per cento della plusvalenza realizzata);
  • la seconda, (permute di criptovalute con criptovalute) ha visto l’applicazione di un criterio forfettario, mediante il quale l’imposizione del 26 per cento ha riguardato solo il 25 per cento del patrimonio.

Sono state infine applicate, seppur in maniera molto ridotta, le sanzioni amministrative per mancata compilazione del quadro RW.

Questa regolarizzazione ha avuto, in sostanza, le stesse caratteristiche di una voluntary disclosure, ora estesa in via normativa, in modo generalizzato.

Un percorso normativo che rappresenta un’opportunità per far emergere un mondo che, fino ad oggi, purtroppo, risultava quasi del tutto nascosto all’Erario.

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