Previdenza complementare: vantaggi fiscali ed analisi normativa

Sistema previdenziale complementare: dall'analisi dei vantaggi fiscali fino ai modelli più diffusi in Europa, per arrivare ad un'analisi dello schema italiano, esenzione – tassazione – tassazione

Previdenza complementare: vantaggi fiscali ed analisi normativa

I principali modelli di tassazione della previdenza complementare utilizzati in Europa sono tre: modello EET (esenzione, esenzione, tassazione), modello ETT (esenzione, tassazione, tassazione), Modello TTE (tassazione, tassazione, esenzione).

In particolare, presentano le caratteristiche che seguono:

  • Modello EET (esenzione, esenzione, tassazione): individua il momento della tassazione solo nella fase dell’erogazione della prestazione. I contributi e i rendimenti sono esenti da tassazione nella prima e nella seconda fase e vengono tassati al momento dell’erogazione della prestazione dato che essa è formata dai contributi versati dagli iscritti e dai rendimenti conseguiti dal fondo. La maggior parte degli Stati Membri Europei si sta orientando verso il modello EET;
  • Modello ETT (esenzione, tassazione, tassazione): è il modello attualmente adottato in Italia sia per i fondi pensione che per gli Enti di Previdenza Privata, e individua due diversi momenti in cui avviene la tassazione. Vengono assoggettati ad imposizione fiscale sia i rendimenti nel momento in cui vengono realizzati sia le prestazioni nel momento della erogazione. I contributi sono esenti nella fase del versamento ma vengono tassati al momento dell’erogazione della prestazione pensionistica. Questo modello è adottato anche dalla Danimarca e dalla Svezia.
  • Modello TTE (tassazione, tassazione, esenzione): individua i momenti di imposizione fiscale nella fase del versamento dei contributi e nella fase del conseguimento dei rendimenti. Le prestazioni risultano perciò esenti da tassazione. Il modello TTE è adottato da Ungheria, Lussemburgo e in parte dalla Germania.

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Aspetti fiscali del sistema previdenziale complementare: i diversi modelli

Puntando l’attenzione sul modello EET e ETT, lo schema del primo è pertanto il seguente: esenti i contributi, esenti i rendimenti, tassate le prestazioni.

Nel modello ETT, invece, lo schema è il seguente: esenti i contributi, tassati i rendimenti, tassate le prestazioni.

Fatta questa premessa sarebbe dunque opportuno intervenire sull’attuale sistema e favorire l’adesione al sistema di previdenza complementare, laddove l’adesione da parte dei lavoratori, privati e pubblici, è oggi pari al 25 per cento circa, ben al di sotto di quanto avviene in altri contesti comunitari.

E questo obiettivo potrebbe essere perseguito riducendo (o azzerando) la tassazione sulla previdenza complementare, che ha invece visto negli ultimi anni addirittura aumentare le aliquote di riferimento.

Con la manovra 2015, l’aliquota è stata infatti portata al 20 per cento per i fondi (dall’11,5 per cento precedente) e al 26 per cento per le Casse di previdenza (dal 20 per cento). Le percentuali riscendono tuttavia rispettivamente all’11 per cento e al 20 per cento nel caso in cui fondi e Casse investano nell’economia reale.

Certo, la rimodulazione della tassazione sui fondi pensione implica un costo.

Ma aumentando la tassazione nella fase dell’erogazione questa potrebbe essere comunque coperta.

La cosa più immediata, sempre che non si voglia optare per il modello EET (esenzione della tassazione), potrebbe comunque ad esempio essere quella di riportare le aliquote al livello pre-2015, magari anche prevedendo un incremento della deducibilità della previdenza complementare, che oggi non deve superare i 5.164,57 euro.

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Come funziona il sistema previdenziale complementare

Per ricapitolare e approfondire.

Lo schema disegnato dal nostro legislatore è del tipo ETT, Esenzione-Tassazione- Tassazione.

Oggi c’è la deduzione fiscale per i contributi versati a favore della previdenza complementare, ossia la diminuzione del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF.

L’importo annuale massimo della deduzione è di 5.164,57 Euro.

Il plafond è unico ed è comprensivo sia dei contributi versati dal lavoratore, sia di quelli, quando previsti, versati dal datore di lavoro. Rimane quindi escluso l’eventuale TFR conferito, visto che la sua formazione non è soggetta a tassazione (il regime del TFR prevede la tassazione al momento della sua liquidazione / fruizione).

Quanto alle prestazioni previste dalla Previdenza Complementare, il montante maturato è l’insieme dei contributi a qualunque titolo versati (contributo lavoratore, contributo datore di lavoro, TFR) rivalutati annualmente in base al rendimento finanziario realizzato dal prodotto prescelto.

Le condizioni necessarie per godere delle prestazioni sono: permanenza di almeno 5 anni in una forma di Previdenza Complementare, aver raggiunto l’età pensionabile prevista dal regime obbligatorio pensionistico di appartenenza, sia che si tratti della pensione di anzianità che di vecchiaia.

Le prestazioni previste sono uguali, a prescindere dal fatto che si aderisca a forme di natura collettiva piuttosto che individuale.

Il rendimento realizzato annualmente da tutte le forme previdenziali complementari è però tassato in base ad un’aliquota d’imposta pari all’20 per cento (così come le altre forme di investimento finanziario).

Il trattamento fiscale della rendita prevede che sull’importo imponibile della prestazione in forma di rendita, sia operata una ritenuta a titolo di imposta con aliquota del 15 per cento.

Questa aliquota è ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno oltre il 15° anno di partecipazione alla Previdenza Complementare, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali.

Quindi, dopo 35 anni di contribuzioni si arriverà ad una tassazione finale pari al 9 per cento.

Il regime fiscale della previdenza complementare si basa quindi oggi sul principio del rinvio dell’imposizione del risparmio con fini previdenziali, e consiste nel non pagare le tasse sui contributi versati ad un fondo pensione e nello scontare le imposte al momento in cui si percepisce la prestazione pensionistica.

L’anticipazione è invece tassata (per la parte che non ha subito ancora tassazione) al 15 per cento (che scende dello 0,30% a partire dal quindicesimo anno di permanenza in una forma di previdenza complementare fino a un minimo del 9%) in caso la richiesta sia giustificata da spese mediche, altrimenti al 23 per cento.

La mera descrizione dell’attuale sistema di tassazione mostra come il sistema vigente sia effettivamente piuttosto farraginoso, e complicato, laddove, probabilmente, una semplificazione delle regole potrebbe anche aiutare il cittadino a comprenderne il funzionamento e dunque a determinarlo ad investire nella previdenza complementare; anche considerato che, come noto, il sistema pensionistico di base non sarà più in grado di garantire in futuro lo stesso tenore di vita garantito oggi agli attuali pensionati.

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Aspetti fiscali del sistema previdenziale complementare: prospettive future

La pensione pubblica avrà sempre più il ruolo di prestazione minima di base e ogni individuo dovrà integrarla attraverso la previdenza complementare.

Costruirsi una pensione integrativa appare però oggi comunque difficile da realizzare visti gli stipendi medi italiani.

L’unico vantaggio concreto può essere quindi quello fiscale.

La soluzione potrebbe essere pertanto proprio quella di passare, come quasi tutti gli altri paesi comunitari, ad un sistema EET (esenzione – esenzione – tassazione).

Modello, che, in una prima fase, potrebbe essere applicato anche in una misura non “pura”, con:

  • limiti alla deducibilità dei contributi;
  • fase di accumulazione del tutto esente;
  • ulteriori agevolazioni fiscali, soprattutto per la parte delle prestazioni che viene erogata sotto forma di capitale.

Posticipare la tassazione, come detto, potrebbe del resto allentare i vincoli di liquidità e sollecitare al risparmio pensionistico anche i soggetti più giovani e con un reddito più basso (anche se questo effetto non va enfatizzato: l’esenzione nella fase della contribuzione non può eliminare infatti il problema dei soggetti il cui reddito è così basso che potrebbero avere in generale poche o nessuna possibilità per alimentare un fondo).

Il sistema EET aumenta inoltre i vantaggi per il risparmiatore, poiché i rendimenti annualmente realizzati sul “patrimonio previdenziale” sono totalmente reinvestiti, e non ridotti dalla tassazione.

Anche la Commissione Europea sollecita del resto la convergenza dei modelli di tassazione dei diversi stati membri verso il modello EET, sulla base dell’assunto che tale modello sia già di gran lunga prevalente in seno alla Comunità.

Per coprire i maggiori oneri finanziari bisognerebbe certo lavorare sulla base imponibile e sull’aliquota applicata al momento del pensionamento, prevedendo magari un aumento dell’attuale 15 per cento, pur garantendo una riduzione progressiva della tassazione per chi aderisce per lunghi periodi (30 anni) ai fondi pensione, cioè con finalità prettamente previdenziali; oppure applicando gli scaglioni ordinari in base al reddito dichiarato al momento dell’erogazione della prestazione.

Insomma, le strade possono essere varie, ma affrontare il tema con razionalità e lungimiranza potrebbe essere una scommessa su cui puntare.

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