Salari e potere d’acquisto: le retribuzioni reali sono ai livelli del 2009, i dati ISTAT

Francesco Rodorigo - Leggi e prassi

Nel 2022 le retribuzioni reali in Italia sono tornate ai livelli del 2009. Questo perché l'inflazione non è stata compensata dall'aumento dei salari. Come comunicato dall'ISTAT la differenza tra l'aumento dei prezzi e quello delle retribuzioni è di 12 punti percentuali

Salari e potere d'acquisto: le retribuzioni reali sono ai livelli del 2009, i dati ISTAT

I salari reali dei lavoratori e delle lavoratrici italiane sono al di sotto dei livelli del 2009.

Lo sottolinea l’ISTAT nella relazione presentata al Parlamento in occasione delle audizioni sulla NADEF del 9 ottobre.

Lo straordinario aumento dei prezzi non è stato accompagnato da un’adeguata crescita delle retribuzioni, con conseguente perdita del potere d’acquisto delle famiglie. La differenza tra l’aumento dell’inflazione e quello delle retribuzioni contrattuali è stato pari a 12 punti percentuali.

Salario minimo, taglio del cuneo fiscale e riforma dell’IRPEF: sono diversi i possibili interventi per fronteggiare questa situazione.

Salari e potere d’acquisto: le retribuzioni reali sono ai livelli del 2009, i dati ISTAT

Si sono svolte ieri, 9 ottobre, nelle Commissioni Bilancio congiunte del Senato e della Camera le prime audizioni sulla Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF).

Nel corso dell’incontro sono stati ascoltate le relazioni dei rappresentanti del CNEL, dell’ISTAT, della Corte dei Conti e della Banca d’Italia.

Il Presidente dell’ISTAT, nel suo intervento ha sottolineato la grande incertezza che caratterizza lo scenario economico internazionale.

In particolare, la relazione evidenzia il dato relativo agli stipendi reali dei lavoratori e delle lavoratrici italiane. Considerando l’aumento straordinario dei prezzi, infatti, gli stipendi reali sono al di sotto dei livelli del 2009.

Con la crescita dell’inflazione, che nel 2022 ha raggiunto l’8,7 per cento sulla base dell’indice dei prezzi al consumo (IPCA), la differenza tra l’aumento dei prezzi e quello delle retribuzioni contrattuali sull’intero periodo, cioè dal 2009 al 2023, è stato pari a 12 punti percentuali.

Agli aumenti legati all’inflazione, dunque, non è corrisposto un aumento delle retribuzioni di pari livello.

La differenza tra la crescita dei salari e quella dell’inflazione varia a seconda dei settori. Come indicato dall’ISTAT, si passa dai 4,1 punti per l’agricoltura e i 4,7 punti per l’industria ai 13,6 punti per i servizi privati e ai 19,5 punti per la pubblica amministrazione.

Il potere d’acquisto delle famiglie, dunque, si è ridotto, nonostante i vari interventi messi in campo per fronteggiare l’emergenza, come ad esempio il taglio del cuneo fiscale in favore dei lavoratori dipendenti.

Salario minimo, taglio del cuneo fiscale e riforma IRPEF: i possibili interventi per il 2024

Se l’aumento dei prezzi è ben visibile, soprattutto per i prodotti energetici e i generi alimentari, altrettanto non si può dire per le retribuzioni, che pur registrando una crescita negli ultimi anni non sono in linea con l’inflazione.

Una delle soluzioni proposte per contrastare la perdita del potere d’acquisto è quella dell’introduzione di un salario minimo legale.

Su questo tema, il CNEL, incaricato dal Governo di presentare un’analisi e delle proposte sul tema, è giunto alla conclusione che un minimo salariale fissato per legge non rappresenti la soluzione giusta alla questione del lavoro povero.

Secondo il Consiglio, infatti, l’adeguatezza delle retribuzioni sarebbe da ricercare nella via tradizionale della contrattazione collettiva, affiancata da una normativa di sostegno specifica per il potenziamento e per favorire i lavoratori dei settori meno tutelati.

Quello dei CCNL, ad ogni modo, è un sistema che a sua volta ha bisogni di interventi, soprattutto per quanto riguarda la criticità legata ai ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi. Come sottolineato dallo stesso CNEL, infatti, il 54 per cento dei lavoratori dipendenti del settore privato ha contratti collettivi nazionali di lavoro che sono tecnicamente scaduti.

Inoltre, la prossima Manovra, come ribadito anche questa mattina dal Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nel corso della seconda giornata di audizioni sulla NADEF, conterrà il rinnovo del taglio del cuneo fiscale per il 2024.

Si tratta della misura che riduce la quota di contribuzione dovuta dai lavoratori, e che al momento arriva al 7 per cento per le retribuzioni fino a 25.000 euro e al 6 per cento per quelle fino a 35.000 euro, per garantire un aumento in busta paga.

A questa misura, che per il Governo ha priorità assoluta e prevede un ingente utilizzo di risorse, dovrebbe aggiungersi la revisione dell’IRPEF, in modo da evitare che l’applicazione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche annulli i benefici garantiti dall’esonero contributivo.

Al momento, l’ipotesi più gettonata è quella di un meccanismo IRPEF a tre aliquote, con il primo scaglione di reddito, tassato al 23 per cento, esteso fino a 28.000 euro.

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