Regime CFC: i redditi della controllante estera devono essere trattati come redditi della controllante residente

Emiliano Marvulli - Dichiarazione dei redditi

Nel regime CFC i redditi della controllante estera sono equiparati ai redditi della controllante residente, analizziamo insieme un caso pratico

Regime CFC: i redditi della controllante estera devono essere trattati come redditi della controllante residente

In tema di regime sulle Controlled Foreign Companies, vigente prima della riforma prevista dall’art. 7 del Decreto legislativo del 24/09/2015 n. 156, nel caso di soggetto residente controllante privo di imponibile proprio, i redditi della controllata estera devono essere trattati come redditi della controllante ed assoggettati alla aliquota ordinaria, non potendo essere applicata la diversa minore aliquota prevista dall’art. 167 del TUIR qualora l’ente controllante, privo di redditi, sia di fatto sprovvisto di una sua aliquota media, della quale tale misura rappresenta la soglia minima.

Infatti, la misura del 27% allora prevista era concepita dal legislatore come la soglia minima dell’aliquota media e, pertanto, non viene in rilievo laddove non vi sia un’aliquota media unica aliquota applicabile, in tal caso, è l’aliquota ordinaria.

Regime CFC: il trattamento fiscale dei redditi della controllante estera

La vicenda processuale - il cui riferimento è la recentissima Ordinanza numero 7778/2023 della Corte di Cassazione - tratta il ricorso proposto da una società avverso la cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato con cui l’Ufficio contestava alla società di aver dovuto procedere al recupero dell’imposta su redditi derivanti da partecipazione in imprese estere controllate (Controlled Foreign Companies), in relazione all’applicazione dell’errata aliquota del 27 per cento, anziché dell’esatta aliquota da utilizzare, pari al 33 per cento.

La CTP ha accolto il ricorso della contribuente rilevando l’erroneità del calcolo dell’aliquota al 33 per cento perché, nel caso di specie, la società italiana era risultata in perdita, e doveva pertanto trovare applicazione l’aliquota minima, fissata dalla legge nel 27 per cento.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello innanzi alla Commissione tributaria regionale la quale, nel respingere le ragioni erariali, osservava che, nel caso di specie, non avendo la controllante italiana conseguito utili nell’anno in questione, e non essendo quindi calcolabile una sua aliquota media come previsto dall’art. 167 del TUIR, non rimaneva che applicare alla tassazione l’aliquota minima prevista dalla legge, pari al 27 per cento, come la società aveva fatto.

Avverso la decisione di secondo grado l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione.

L’Erario ha dedotto violazione dell’art. 167 del TUIR, vigente ratione temporis, per avere il giudice dell’appello erroneamente interpretato ed applicato il comma sesto della disposizione ritenendo che, in assenza della possibilità di calcolare un’aliquota media della contribuente, dovesse trovare applicazione l’aliquota minima del 27 per cento, e non l’aliquota ordinaria, all’epoca fissata nella misura del 33 per cento.

Regime CFC: redditi della controllante estera equiparati ai redditi della controllante residente. La tesi della Corte di Cassazione

La Corte di cassazione ha fatto presente che la questione di diritto controversa è stata già esaminata in sede di legittimità, con la conclusione che, in tema di IRES, nel caso di soggetto residente controllante privo di imponibile proprio, i redditi della controllata estera vengono trattati come redditi della controllante ed assoggettati alla aliquota del 33 per cento, non potendo essere applicata la diversa aliquota del 27 per cento prevista dall’art. 167 del TUIR, ove l’ente controllante privo di redditi sia di fatto sprovvisto di una sua aliquota media, della quale tale misura rappresenta la soglia minima.

In effetti, la legislazione fiscale sulle società controllate estere, ora disciplinata dall’art. 167 del TUIR, ha una finalità antielusiva, in quanto l’imputazione per trasparenza richiama alla disciplina tributaria interna sui redditi prodotti, anche solo apparentemente, in territori esteri a fiscalità privilegiata, per cui il reddito della controllata estera viene trattato come reddito della controllante domestica, restando quindi assoggettato all’aliquota interna.

L’ente controllante che risulti in perdita fiscale o privo di redditi propri - e sia quindi sprovvisto di una propria «aliquota media» - non può invocare l’applicazione, in relazione alla tassazione dei redditi esteri a lui imputati per trasparenza, dell’aliquota al 27%, giacché in tal modo reclamerebbe un trattamento agevolato.

La misura del 27% è (era) concepita dal legislatore come la soglia minima dell’aliquota media, e pertanto non viene in rilievo laddove non vi sia un’aliquota media unica aliquota applicabile, in tal caso, è l’aliquota ordinaria.

Sulla base di tale principio il ricorso proposto dall’ente impositore è stato accolto.

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