Impresa familiare: il reddito evaso va imputato per intero all’imprenditore

Le quote di reddito spettanti ai collaboratori dell'impresa familiare vanno considerate come redditi di “puro lavoro” e non come redditi d'impresa. Di conseguenza, il maggior reddito accertato va riferito esclusivamente al titolare dell'impresa

Impresa familiare: il reddito evaso va imputato per intero all'imprenditore

In caso di accertamento all’impresa familiare, il maggior reddito accertato deve essere riferito soltanto al titolare dell’impresa, rimanendo escluso che possa essere attribuito pro-quota agli altri familiari collaboratori aventi diritto alla partecipazione agli utili d’impresa.

Dal punto di vista fiscale le quote spettanti ai collaboratori dell’impresa familiare vanno qualificate come redditi di “puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa, in quanto detti collaboratori non sono contitolari dell’impresa che ha natura individuale.

Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 33149/2023.

Impresa familiare: il reddito evaso va imputato per intero all’imprenditore, il principio in un caso pratico

La vicenda processuale ha origine dal ricorso proposto da un imprenditore di un’impresa familiare, esercente l’attività di commercio al dettaglio di carni, avverso un avviso di accertamento ai fini imposte dirette e IVA, contente la ricostruzione del reddito accertato presuntivamente con l’applicazione di una maggiore percentuale di ricarico medio.

Il ricorso era stato parzialmente accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale in merito alla percentuale di ricarico applicata mentre la CTR, per quanto di interesse, accoglieva il motivo dell’appello principale, proposto dal contribuente, riguardante l’omessa attribuzione alla collaboratrice dell’impresa familiare della quota del maggior reddito accertato ex art. 5, comma 4, del TUIR, pari al 35 per cento.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza di secondo lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 5 del TUIR e 2697 del Codice Civile, per avere la CTR erroneamente imputato alla collaboratrice dell’impresa familiare (coniuge del contribuente) una quota del maggior reddito accertato, peraltro in mancanza di alcuni adempimenti specificatamente previsti a tal fine, mentre alla stessa poteva essere riconosciuta solo la quota del reddito dichiarato.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la tesi erariale e ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione.

All’impresa familiare non si può applicare la disciplina prevista per le società

La specifica censura riguarda la questione dell’imputazione di una parte del maggior reddito accertato al collaboratore dell’impresa familiare. Sul punto è consolidato l’orientamento della Corte di legittimità per cui, in materia di impresa familiare, il reddito percepito dal titolare, che è pari al reddito conseguito dall’impresa, al netto delle quote di competenza dei familiari collaboratori, costituisce un reddito d’impresa.

Diversamente, le quote spettanti ai collaboratori - che non sono contitolari dell’impresa familiare - costituiscono redditi di “puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa, e devono essere assoggettati all’imposizione nei limiti dei redditi dichiarati dall’imprenditore.

Ne consegue che, dal punto di vista fiscale, in caso di accertamento di un maggior reddito imprenditoriale, lo stesso deve essere riferito soltanto al titolare dell’impresa, rimanendo escluso che possa essere attribuito “pro quota” agli altri familiari collaboratori aventi diritto alla partecipazione agli utili d’impresa.

Le quote spettanti ai collaboratori dell’impresa familiare vanno, dunque, qualificate come redditi di “puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa, in quanto detti collaboratori non sono contitolari dell’impresa che ha natura individuale.

In altre parole, all’impresa familiare non può essere applicabile, per incompatibilità, la disciplina prevista per le società.

La Corte di Cassazione ha quindi deciso per la cassazione della sentenza impugnata perché la CTR non si è attenuta ai suindicati principi, avendo deciso per la legittimità dell’imputazione al familiare collaboratore di una quota del maggior reddito accertato nei confronti del titolare dell’impresa.

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