La riforma fiscale dei “redditi diversi”

Gianfranco Antico - Dichiarazione dei redditi

Redditi diversi: definizione fiscale, esempi e cosa cambierà per i contribuenti

La riforma fiscale dei “redditi diversi”

Come è ormai noto, l’art.5 del Disegno di legge delega per la riforma fiscale (DDL AC 1038) reca i principi e i criteri direttivi per la revisione dell’Irpef.

In particolare, la lettera h), del comma 1, dell’articolo 5, definisce i criteri specifici per riformare alcune fattispecie contenute nell’articolo 67, del T.U. n. 917/86, vero e proprio contenitore dove, di fatto, confluiscono tutti redditi che non trovano spazio nelle altre determinate categorie specifiche (redditi fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi d’impresa).

La norma, infatti, presenta una varietà di figure reddituali, non collegate fra loro, accomunate solo dal fatto che comunque determinano un incremento di ricchezza, slegato dai requisiti richiesti dai redditi fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, lavoro autonomo, e d’impresa.

La disposizione costituisce una norma di chiusura, in quanto non vi è una definizione generale di redditi diversi, ma essi vengono enumerati singolarmente e in via residuale, in quanto non facenti parte di altre tipologie di reddito.

Riforma fiscale dei redditi diversi: le linee guida

Il disegno di legge in particolare prevede le seguenti linee di riforma:

  • la revisione del criterio di determinazione delle plusvalenze realizzate a seguito di cessione, a titolo oneroso, di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, stabilendo che qualora la proprietà degli stessi sia acquistata per effetto di donazione si assume, in ogni caso, come prezzo di acquisto quello pagato dal donante. Secondo l’articolo 67, comma 1, lettera a) del TUIR sono imponibili (come redditi diversi) le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici. Ai sensi dell’art.67, comma 1, lettera b), TUIR sono imponibili in ogni caso le plusvalenze relative agli immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni nonché, in ogni caso, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria; nell’ipotesi di immobili acquisiti per donazione e successivamente ceduti, i cinque anni decorrono dalla data di acquisto da parte del donante. Come rilevato nel Dossier del Senato, l’art.68, comma 1, del T.U.n.917/86, chiarisce per gli immobili citati (di cui alla lettera b) del comma 1 dell’art.67) acquisiti per donazione, si assume come prezzo di acquisto o costo di costruzione quello sostenuto dal donante. L’articolo 68, comma 2, del T.U. n. 917/86 reca, invece, il criterio di determinazione del costo o valore di acquisto delle aree edificabili, distinguendo l’acquisto dell’area a titolo oneroso da quello a titolo gratuito: il costo di acquisto per l’area acquisita a titolo gratuito è determinato in base al valore dichiarato nelle relative denunce o atti registrati, ovvero in sostanza quello definito o dichiarato ai fini delle imposte di successione o donazione, aumentato di ogni altro costo successivo inerente;
  • la previsione, a regime, di un’imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni e dei terreni, anche edificabili, con possibilità di stabilire aliquote differenziate in ragione del periodo di possesso del bene, così da superare le diverse norme temporanee, che di volta in volta hanno prorogato la facoltà (di cui alla legge n. 448 del 2001) di rideterminare ai fini fiscali i valori delle partecipazioni possedute in società non quotate e dei terreni (sia agricoli sia edificabili), sulla base di una perizia giurata di stima, assoggettando il valore rideterminato a imposta sostitutiva rateizzabile;

Le plusvalenze conseguite dai collezionisti

La legge delega di riforma fiscale prevede altresì l’introduzione della disciplina sulle plusvalenze conseguite dai collezionisti, al di fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa, di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, nonché, più in generale, di opere dell’ingegno di carattere creativo appartenenti alle arti figurative, escludendo i casi in cui è assente l’intento speculativo, compresi quelli delle plusvalenze relative ai beni acquisiti per successione e donazione (oggi il legislatore non disciplina specificamente il regime fiscale delle cessioni di opere d’arte).

Il mercante d’arte produce reddito d’impresa, in quanto svolge professionalmente e abitualmente un’attività intermediaria di circolazione dei beni, anche in assenza di un’organizzazione imprenditoriale per trarre profitto (art.2195 del codice civile).

Anche gli acquisti saltuari di opere d’arte da parte di persone fisiche finalizzati a successive cessioni a scopo di lucro, possono generare “redditi diversi” ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera i) del Tuir, ma solo se sussiste la connessione di una pluralità di atti preordinati al conseguimento di un reddito.

In sostanza può essere soggetta a tassazione l’operazione di colui che compra e rivende un’opera d’arte con finalità speculativa.

Con la sentenza n. 21776/2011, la Cassazione ha affermato che si devono

escludere quelle condotte che si esauriscono nel semplice atto traslativo del diritto a titolo oneroso, atteso che la predetta nozione implica necessariamente una pluralità di atti coordinati e diretti alla realizzazione del medesimo scopo che può trovare riscontro nel caso in cui si accerti la stretta relazione funzionale - verificata in base a concreti elementi circostanziali tra l’atto di acquisto a quello successivo di vendita, ovvero anche nel compimento di una serie di atti intermedi volti a incrementare il valore del bene funzione della successiva vendita

Al riguardo, anche la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che se la compravendita di oggetti di antiquariato genera un importo rilevante, il requisito della frequenza è trascurabile e l’operazione ha rilievo ai fini fiscali (Cassazione, sentenze n. 2711/2006 e n. 8196/2008).

Se l’attività amatoriale di acquisto di beni di valore può non rilevare fiscalmente, che certamente può costituire un mezzo alternativo di investimento, una volta accertata la sussistenza di un’attività commerciale, si è in presenza di una impresa, con tutte le conseguenze fiscali, e ciò anche in assenza di un’organizzazione imprenditoriale (cfr. Cass. ord.n.6874 dell’8 marzo 2023, che opera una precisa distinzione fra mercante di opere d’arti, speculatore occasionale e collezionista, dettando le regole fiscali: il mercante d’arte genera redditi d’impresa ex artt. 55 ss. TUIR e di passività ai fini IVA come previsto dall’art. 4 del DPR 633/72; lo speculatore occasionale potrà generare i redditi diversi di cui all’art. 67, c. 1, lett. i), TUIR non trovando però assoggettamento ai fini IVA per mancanza del requisito dell’abitualità; il collezionista invece non sarà soggetto ad alcuna imposizione. Osserva la Corte che la dottrina ha enucleato gli elementi su cui fondare la diversa qualificazione, quali: lo scopo dell’acquisto, la frequenza e il numero delle transazioni, la durata del possesso, le attività finalizzate a facilitare la vendita e infine l’esame delle ragioni che hanno portato all’alienazione.

La giurisprudenza ha individuato il discrimine sulla base del requisito dell’abitualità, di cui all’art. 55 TUIR sopra richiamato in tema di reddito d’impresa.

Questa Corte ha così rinvenuto in ragione di elementi significativi idonei a dimostrare la sistematicità e la professionalità dell’attività d’impresa: numero delle transazioni effettuate, importi elevati, quantitativo di soggetti con cui venivano intrattenuti rapporti, varietà della tipologia di beni alienati, statuendo che non rileva, ai fini impositivi, che il profitto conseguito venga capitalizzato in beni e non in denaro, in quanto porta sempre intrinsecamente un arricchimento del patrimonio personale del soggetto (Cass. 31 marzo 2008, n. 8196). È così stata rinvenuta un’attività commerciale in presenza simultaneamente della rilevanza dell’investimento e dell’esclusione dell’utilizzo nella sfera personale dei beni oggetto di compravendita (Cass. 20 dicembre 2006, n. 27211).

Sul punto segnaliamo pure l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 34442/2021, secondo cui l’effettivo conseguimento di un utile o di un profitto non è un elemento indefettibile dell’attività impresa, così che l’acquisto non occasionale di orologi preziosi e articoli di gioielleria di importo elevato, in presenza di ulteriori elementi indiziari, può indurre l’Ufficio a ritenere che il contribuente abbia esercitato attività d’impresa in nero.

Per gli Ermellini, il ragionamento del giudice d’appello – secondo cui la parte privata non ha esercitato “una attività commerciale” perché non ha conseguito alcun “utile”, in mancanza della rivendita della merce acquistata all’asta – non tiene conto degli elementi presuntivi (ex art. 39, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973) che, al contrario, avevano indotto l’Ufficio a ritenere che il contribuente fosse un evasore totale in relazione all’attività, esercitata in nero, di vendita di oggetti preziosi , per la quale non aveva nemmeno istituito le scritture contabili.

In secondo luogo, la sentenza non considera che l’effettivo conseguimento di un “utile” o di un “profitto” non sono elementi indefettibili dell’attività d’impresa.

Se l’attività amatoriale di acquisto di beni di valore può non rilevare fiscalmente, che certamente può costituire un mezzo alternativo di investimento, una volta accertata la sussistenza di un’attività commerciale, si è in presenza di una impresa, con tutte le conseguenze fiscali, e ciò anche in assenza di un’organizzazione imprenditoriale.

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