Il concetto di legittimo affidamento

La Corte di Cassazione ha chiarito i contorni del concetto di legittimo affidamento nell'ambito dell'Ordinamento tributario italiano. Tale principio trova applicazione in presenza di un atto amministrativo tipizzato

Il concetto di legittimo affidamento

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 223 del 2024, ha chiarito i contorni del concetto di legittimo affidamento nell’ambito del nostro Ordinamento tributario.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato ad una società un avviso di accertamento con il quale contestava maggiori tributi IRES e IRAP, con riferimento all’anno 2007, per un ammontare superiore ai trenta milioni di euro.

La società impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, proponendo numerose censure, tra cui la violazione del principio di unicità dell’accertamento tributario e della normativa vigente in tema di accertamento con adesione, l’illegittimità della contestazione di perdite ritenute indeducibili nell’anno 2007, ma in relazione alle quali nulla era stato contestato in relazione all’anno 2006, e comunque criticando l’infondatezza di tutti i rilievi contestati.

La Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso, con sentenza poi confermata anche in secondo grado.

Il concetto di legittimo affidamento: il caso di specie

Avverso la pronuncia adottata dalla Commissione Tributaria Regionale la società proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la violazione dell’art. 10 della legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente) e degli artt. 3 e 97 della Costituzione, per non avere la CTR rilevato il vizio dell’atto impositivo, in quanto emesso sebbene i documenti su cui lo stesso si fondava fossero stati ripetutamente esaminati in relazione ad anni precedenti dall’Amministrazione finanziaria, senza formulare rilievi, con violazione, in sostanza, del principio del legittimo affidamento.

La contribuente contestava poi che la Commissione Tributaria Regionale non aveva rilevato l’illegittimità del disconoscimento di perdite della società incorporata, riportate in anni successivi dalla società incorporante, perché già esposte dalla incorporante nella dichiarazione dei redditi dell’anno precedente e non contestate dall’Ente impositore, essendosi peraltro definite le contestazioni relative all’anno precedente mediante accertamento con adesione, ed essendo ormai maturati i termini di decadenza per l’espletamento di un accertamento in relazione a questo anno.

I motivi di ricorso, secondo la Corte di Cassazione, presentavano elementi di connessione, e potevano essere trattati congiuntamente, dovendosene affermare la infondatezza.

I giudici di legittimità rilevano che la ricorrente evidenziava, tra l’altro, che la condotta dell’Amministrazione finanziaria aveva importato la “violazione delle norme in tema di buona fede e affidamento, in una con quelle che, più in generale, governano il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa”, laddove la società aveva subito reiterate verifiche e controlli, in relazione alle medesime annualità d’imposta oggetto di accertamento; tutte verifiche concluse senza contestazioni, o mediante contestazioni definite con atto di adesione.

La Cassazione ricorda a tal proposito che “ai fini della configurabilità di una situazione di legittimo affidamento del contribuente è necessario un comportamento espresso dell’amministrazione in ordine all’esistenza di un diritto proveniente dall’organo competente dell’amministrazione (...) le circostanze addotte dal contribuente”, relative alla mancata contestazione di irregolarità nei previ controlli effettuati anche in relazione a precedenti anni d’imposta, “risultano ontologicamente inidonee a fondare una situazione di legittimo affidamento. Ciò per l’assorbente considerazione che l’art. 10 della legge nr. 212/00 fa riferimento a comportamenti posti in essere dal contribuente in conformità ad indicazioni provenienti dall’Amministrazione o in conseguenza di errori da essa commessi e, pertanto, a situazioni nelle quali la condotta è condizionata da preesistenti indicazioni provenienti dall’Amministrazione finanziaria medesima. Per contro, le sopra descritte circostanze fattuali si riferiscono agli esiti dei controlli effettuati dall’Amministrazione con riguardo a comportamenti già posti in essere dal contribuente”.

La disposizione invocata, rileva la Corte, opera quindi espresso riferimento a comportamenti posti in essere dal contribuente in conformità ad indicazioni provenienti dall’Amministrazione, o in conseguenza di errori da essa commessi, e, pertanto, a situazioni nelle quali la condotta del contribuente è condizionata da preesistenti indicazioni provenienti dall’Amministrazione finanziaria medesima, che, nel caso di specie, mancavano del tutto.

Non solo.

A latere del fatto che l’art. 10 della legge n. 212 del 2000, invocato dalla contribuente, attiene alla specifica materia delle sanzioni, inoltre, stante l’autonomia dei periodi d’imposizione tributaria, il dato di fatto che l’Amministrazione finanziaria non avesse contestato, in relazione all’anno precedente, una violazione fiscale, il cui prorogarsi degli effetti aveva indotto l’Agenzia delle Entrate ad effettuare la contestazione in anno successivo, non importava comunque alcuna lesione del diritto di difesa del contribuente e del suo legittimo affidamento.

Molte possono essere infatti le ragioni per le quali l’Amministrazione finanziaria non contesta una violazione, pur sussistente in relazione ad un anno d’imposta: ad esempio perché è decaduta dai termini di legge per provvedervi, oppure perché ritiene, con riferimento ad un determinato periodo d’imposta, preferibile stipulare con il contribuente un accordo conciliativo.

Ma questo non preclude la possibilità di contestare i perduranti effetti della violazione con riferimento a successivi anni d’imposta.

E, per di più, nella specie, l’Amministrazione finanziaria aveva anche chiarito di avere tenuto conto degli esiti dell’accertamento con adesione stipulato in relazione ad anni precedenti con la contribuente.

Il concetto di legittimo affidamento: il parere della Cassazione

A prescindere dallo specifico caso processuale, giova dunque in conclusione evidenziare che non aver emesso alcun provvedimento impositivo per gli anni pregressi non può ingenerare alcun legittimo affidamento (cfr., anche Cass. n. 8548 del 27/03/2019).

L’inerzia impositiva non può essere infatti presa ad indicazione a cui adeguare il proprio comportamento, riscontrando una “aspettativa legittima” in capo al contribuente nel caso in cui l’Amministrazione ritenga tassabili fattispecie che, in precedenza, aveva considerato non soggette ad imposta.

Il principio di buona amministrazione impone infatti, sempre, nei limiti della decadenza, di richiedere l’imposta, laddove, peraltro, come detto, il legittimo affidamento potrebbe, semmai, valere ai fini delle sole sanzioni e non certo per le imposte.

Il principio del legittimo affidamento trova del resto applicazione unicamente ove sia presente un atto amministrativo tipizzato e non invece in caso di atti di contenuto meramente esecutivo di situazioni personali.

È vero che la giurisprudenza costituzionale, comunitaria ed amministrativa afferma la natura “immanente”, anche nell’ordinamento tributario, del principio della tutela del legittimo affidamento.

Tale principio, come detto, trova però applicazione solo laddove sia presente un atto amministrativo tipizzato, diretto, ex lege, a regolare la situazione personale, concreta ed attuale del contribuente.

Ma non nel caso in cui la società riceva, anche reiteratamente, conferme implicite quanto alla propria interpretazione del sistema normativo, che possono certamente avere l’effetto di agevolare il modus operandi della società contribuente, rafforzandone la convinzione di non agire contra legem, ma che non producono comunque alcun limite alla (successiva) azione di controllo dell’Amministrazione.

E, in ogni caso, anche laddove esista una interpretazione formale contenuta in circolari o risoluzioni, questa non sarebbe in grado di vincolare né i contribuenti, né i giudici, né tanto meno ad assurgere a fonte di diritto (cfr., Cass., n. 18618 del 11/07/2019).

Le circolari in materia tributaria non costituiscono infatti fonte di diritti e obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, non è esonerato dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, essendo esclusa, eventualmente, soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi (cfr., (cfr., Cass. n. 17588 del 21/06/2021; Cass. n. 12635 del 19/05/2017; Cass. n. 10195 del 18/05/2016; Cass. n. 3757 del 09/03/2012; Cass. n. 2133 del 14/02/2002).

Peraltro, in caso contrario, risulterebbe violato l’art. 53 Cost., ammettendosi, in sostanza, che, sia pur in presenza della capacità contributiva, l’interpretazione (eventualmente anche erronea) dell’Ufficio, contraria all’applicazione del tributo, possa derogare al dettato costituzionale.

La circolare, del resto, non vincola neppure la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata (cfr., Cass., S.U. n. 23031 del 02/11/2007).

La stessa Corte di giustizia ha del resto già ampiamente chiarito che, se è vero che il diritto ad avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamentosi estende a ogni individuo in capo al quale un’autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito” (ex multis, CGUE 14 giugno 2017, in causa C-26/16, punto 76; CGUE 9 luglio 2015, in causa C-183/14, punto 44; CGUE 5 marzo 2015, in causa C-585/13, punto 95), tuttavia “il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’amministrazione” (CGUE 11 aprile 2018, in causa C-532/16, punto 50; CGUE 6 febbraio 1986, in causa C-162/84, punto 6).

In conclusione, rientra, pertanto, nella specifica competenza del giudice nazionale stabilire se, avuto conto della specificità del caso concreto, sussistano i presupposti per il riconoscimento della inapplicabilità del tributo, ovvero, più semplicemente, delle sanzioni e degli interessi.

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