Occupazione e cura restano inconciliabili per le donne: in due anni le lavoratrici madri hanno firmato più di 86.000 dimissioni e risoluzioni consensuali. I dati dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro

Per le donne la cura è un lavoro: continuo, costante, gravoso. Ed è anche per questo che l’occupazione femminile fatica a decollare.
L’ennesima conferma arriva dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro: negli ultimi due anni le lavoratrici madri con un figlio o una figlia fino a tre anni hanno firmato 86.355 dimissioni e risoluzioni consensuali. Molti di meno i rapporti di lavoro interrotti dai neo papà: in totale 37.089.
Il divario di genere, che ha sempre caratterizzato il report INL sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali dei genitori, fa qualche passo indietro. Ma resta abissale, soprattutto se si considerano le motivazioni evidenziate dai lavoratori e dalle lavoratrici.
Per le donne sono i carichi di cura a determinare uno stop, per gli uomini la necessità di spostarsi su nuovi fronti professionali.
In due anni le lavoratrici madri hanno firmato più di 86.000 dimissioni: i dati INL
In linea con quanto previsto dal Testo Unico a tutela della maternità e paternità, perché la conclusione del rapporto di lavoro sia efficace, l’Ispettorato Nazionale deve convalidare le interruzioni dei rapporti di lavoro che si verificano nei primi tre anni di vita del bambino o della bambina o nei primi tre anni di accoglienza del minore.
Dopo una pausa negli aggiornamenti, lo scorso 20 maggio sono arrivati i dati sulle dimissioni e sulle risoluzioni degli ultimi due anni: nel 2023 si è avuto un picco, mentre il 2024 ha registrato un calo con 60.756 convalide totali. Alla flessione bisogna guardare ovviamente tenendo conto anche del calo della natalità.
Ma c’è un aspetto che, al di là delle oscillazioni, resta stabile: la questione è prevalentemente femminile. Negli ultimi due anni circa il 70 per cento dei casi di interruzione del lavoro ha riguardato le lavoratrici madri.
Perché le lavoratrici madri danno le dimissioni? I dati dell’INL
E il divario che si conferma negli anni non è solo numerico: per rilasciare il provvedimento di convalida, l’INL registra anche i motivi alla base della scelta, la lavoratrice o il lavoratore possono indicarne anche più di uno.
Le difficoltà di cura hanno un peso di primo piano nel 77,5 per cento dei casi per le donne, per gli uomini hanno un impatto sulla scelta solo per il 21,1 per cento delle situazioni (anno 2024).
Per i padri la motivazione principale è di carattere professionale: per il 72,2 per cento delle dimissioni e delle risoluzioni del 2023 e per il 66,6 per cento per quel che riguarda il 2024, rilevante è il passaggio a un’altra azienda.
Per le donne domina la necessità di prendersi cura dei figli e delle figlie e la difficoltà di poterlo fare, conservando il lavoro. Le cause? Dalla scarsità dei servizi di cura o all’assenza dei parenti di supporto, passando per questioni puramente aziendali: nodi genitoriali che per i padri non esistono.
“Si tratta, quindi, di uno scenario complesso che presenta, accanto alla prevalenza delle convalide femminili in assoluto, anche il radicamento sociale e stereotipale della funzione di cura come prettamente femminile; sebbene i dati mostrino uno spostamento degli equilibri verso la parità di genere, è presente ancora un ampio margine per conseguire l’equità di genere”.
Sottolinea lo stesso Ispettorato.
- Ispettorato Nazionale del Lavoro - Relazione sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali di madri e padri
- Anni 2023 e 2024
Ogni anno l’INL scatta una fotografia dei ruoli di genere, evidenziando come una situazione identica, l’interruzione del lavoro dopo essere diventati genitori, abbia una natura del tutto diversa per le donne e per gli uomini e, molto spesso, anche un esito opposto.
Nel primo caso le dimissioni rappresentano un rallentamento o una battuta d’arresto, nel secondo un nuovo inizio: d’altronde è questa la prospettiva che emerge anche dai dati che l’INPS ha pubblicato a fine 2024.
La maternità complica il rapporto con il lavoro, la paternità, al contrario, spesso è una spinta verso posizioni più stabili e avanzamenti di carriera.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: In due anni le lavoratrici madri hanno firmato più di 86.000 dimissioni