Imposizione di registro su disposizioni enunciate

Giovambattista Palumbo - Imposte di registro, ipotecarie e catastali

L'imposizione di registro su disposizioni enunciate al centro della Sentenza della Corte di Cassazione n. 30466 del 2022: dall'inquadramento della vicenda alle conclusioni dei giudici di legittimità, fino ad arrivare alle conclusioni generali

Imposizione di registro su disposizioni enunciate

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 30466 del 2022, ha chiarito il trattamento impositivo di registro relativamente alle disposizioni solo enunciate in un altro atto.

Nel caso di specie, i contribuenti proponevano ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale, in parziale accoglimento del loro appello, aveva ritenuto legittimo, salvo che in punto sanzioni, l’avviso di rettifica e liquidazione per imposta di registro ed ipocatastale, loro notificato dall’Agenzia delle Entrate in relazione ad un atto di compravendita di un terreno edificabile.

Nell’atto di compravendita, infatti, l’Agenzia delle Entrate aveva individuato la rievocazione e ratifica di varie disposizioni negoziali concernenti alcune particelle catastali.

Per effetto della ratifica, rilevava l’Amministrazione finanziaria, veniva enunciata una divisione di fatto, in forza della quale una particella veniva assegnata per intero ad una persona (di cui gli odierni ricorrenti erano eredi), mentre altra particella veniva attribuita ad altri due fratelli e, per essi, ai loro eredi.

A fronte dell’assegnazione al loro dante causa della detta particella, si prevedeva che gli eredi non avessero diritto sul prezzo della vendita concernente l’altra particella.

Corte di Cassazione - Sentenza numero 30466 del 2022
Il testo integrale della Sentenza numero 30466 del 17 ottobre 2022

I fatti della Sentenza della Corte di cassazione n. 30466 del 2022 sull’imposizione di registro

Stante l’enunciazione della divisione di fatto (mai registrata), secondo l’Agenzia delle Entrate, i contribuenti dovevano corrispondere l’imposta complementare di registro sul valore complessivo, alla data della registrazione, ex articolo 53 Dpr. 131/86, delle due particelle sottoposte a divisione.

La Commissione Tributaria Regionale aveva in particolare osservato che:

  • l’avviso di rettifica e liquidazione era adeguatamente motivato;
  • gli odierni ricorrenti, assieme ad altri, avevano ratificato un precedente atto di vendita e convalidato “l’atto di divisione avvenuto come descritto nel rogito notarile”;
  • l’obbligo di pagamento dell’imposta di registro gravava, in solido con gli altri coobbligati, sui contribuenti in quanto sottoscrittori dell’atto pubblico di compravendita, indipendentemente dalla natura meramente dichiarativa del contratto;
  • stante la ravvisata buona fede dei contribuenti, a seguito della “confusione” che emergeva dal richiamato atto notarile, in ordine alla tassabilità della divisione, sussistevano i presupposti per la eliminazione delle sanzioni.

Tanto premesso, con il primo motivo di ricorso, si lamentava l’omessa pronuncia su un fatto decisivo e discusso tra le parti, posto che l’atto in esame non aveva riguardato la particella richiamata (già oggetto di un precedente atto di compravendita), che non sussisteva alcun atto di divisione tra i venditori dell’altra particella e che gli stessi contribuenti, odierni ricorrenti (già proprietari della prima particella) erano comunque intervenuti in atto non per vendere, ma semplicemente per dichiarare il proprio consenso alla vendita tra altri soggetti.

Tale motivo di impugnazione, secondo la Corte era per più versi inammissibile e comunque era infondato dal momento che la Commissione Tributaria Regionale - contrariamente all’assunto - aveva esaminato e valutato il fatto costituito dalla rilevanza in atto della particella pervenuta jure successionis ai ricorrenti; particella anzi presa dal giudice regionale a riferimento tanto ai fini dell’atto di divisione enunciato nella compravendita, quanto ai fini della sua avvenuta alienazione.

Sotto un secondo profilo la Suprema Corte rilevava che l’intera doglianza si basava su una determinata lettura del rogito fatto oggetto dell’avviso di rettifica e liquidazione opposto (nel senso che da esso non sarebbe stata desumibile alcuna divisione, né interessamento negoziale della medesima particella), senza tuttavia che l’atto notarile in questione fosse stato - se non trascritto in ricorso - quantomeno in esso riportato e ricostruito nei suoi passaggi dispositivi essenziali, così da porre la Corte di legittimità in condizione di vagliarne, secondo criteri di specificità ed autosufficienza, l’effettivo contenuto in rapporto alla doglianza.

In terzo luogo, il motivo in esame sottendeva in realtà una erronea interpretazione del contratto da parte del giudice di merito (quanto a ricostruzione della volontà negoziale delle parti e dei suoi effetti giuridici), senza tuttavia farsi carico della natura meramente fattuale che la questione interpretativa del contratto veniva così ad assumere, non essendo pertanto la stessa devolvibile al giudice di legittimità se non attraverso la evidenziazione - del tutto mancante - dei parametri interpretativi legali che il giudice di merito avrebbe violato ex artt.1362 cod. civ..

Con un secondo motivo di ricorso i contribuenti deducevano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 22 Dpr. 131/86, dal momento che tra atto enunciato (l’asserita divisione verbale) ed atto enunciante (rogito) non vi era identità di soggetti, essendo anzi gli stessi ricorrenti rimasti sostanzialmente estranei alla compravendita.

Secondo la Suprema Corte anche tale motivo di impugnazione era infondato.

Imposizione di registro su disposizioni enunciate: la posizione della Corte di Cassazione

Evidenziano i giudici di legittimità che la decisione impugnata non risultava in contrasto, ma era conforme al disposto dell’art.22 cit., secondo cui (primo e secondo co.):

“1. Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69. 2.

L’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non da’ luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono gia’ cessati o cessano in virtu’ dell’atto che contiene l’enunciazione” (…).

La giurisprudenza della Cassazione ha in proposito stabilito (cfr., Cass. n. 25706/20) che:

“in tema di imposta di registro, la tassazione per enunciazione ha quale presupposto l’indicazione, nell’atto soggetto a registrazione, di tutti gli elementi, natura e contenuto, del rapporto giuridico tra le parti, tanto nel caso in cui venga stipulato in forma scritta, quanto in quella orale, con la conseguenza che, ai fini della tassazione, è insufficiente un generico rinvio ad un rapporto tra le stesse parti non denunziato, essendo necessario che le circostanze enunciate siano sufficienti in sé a dare certezza di quel rapporto giuridico, senza ricorrere ad elementi non contenuti nell’atto”.

La conformità del decisum al dettato legislativo derivava dunque dal fatto che - nella concretezza del caso - il giudice del merito aveva appurato che l’atto a rogito dedotto in giudizio recava in effetti l’enunciazione di un atto di divisione, e che “l’atto di divisione avvenuto come descritto nel rogito notarile fu convalidato”.

Riferiva poi ancora il giudice di secondo grado che i contribuenti, nel ricorso introduttivo, avevano affermato che erano in buona fede, in quanto indotti “a confidare nella intassabilità dell’atto di divisione enunciato nell’atto di compravendita”.

Gli stessi ricorrenti risultavano del resto sottoscrittori dell’atto pubblico di compravendita sopra richiamato, non potendosi quindi contestare che gli stessi rispondevano in solido per il pagamento dell’imposta di registro con tutti gli altri contraenti.

In sostanza, nell’atto enunciante (rogito) erano contenuti, come richiesto dalla legge e dalla giurisprudenza di legittimità, tutti gli elementi identificativi certi dell’atto enunciato (divisione con assegnazione verbale di particelle pacificamente non registrata) e la conseguente esclusione degli assegnatari (rectius: del loro dante causa) dal diritto ad una quota del corrispettivo rinveniente dalla vendita della particella non assegnata.

Quanto poi, in particolare, alla identità soggettiva tra atto enunciante ed atto enunciato, la Cassazione evidenzia che rilevava in primo luogo quanto accertato dal giudice di appello in ordine al fatto che i contribuenti, odierni ricorrenti, avevano sottoscritto l’atto enunciante in quanto portatori di un interesse proprio; e, in secondo luogo, rilevava comunque quanto dai medesimi riferito negli atti di causa e nello stesso ricorso per cassazione, secondo cui, pur non essendo specificamente interessati all’atto di compravendita della particella, essi avevano in effetti partecipato all’atto medesimo, così da prestare il proprio consenso all’operazione di cessione del terreno edificabile, evidentemente ritenuto essenziale per il buon fine dell’intera operazione.

Rileva inoltre la Corte che l’affermazione secondo cui non vi sarebbe stata identità soggettiva legittimante la tassazione ex articolo 22 cit., stante il sostanziale disinteresse degli odierni ricorrenti per la vendita della particella, non dava conto della complessità ed articolazione negoziale del rogito in esame (enunciante), e dell’intento delle parti di dare in esso conto e ragione dei titoli di provenienza e di spettanza dei vari lotti oggetto di complessiva cessione alla società; attività, quest’ultima che implicava – tra le altre - proprio la necessità di richiamare (enunciare) la suddetta divisione, in quanto titolo legittimante e definitorio della proprietà dei ricorrenti.

Il tutto portava quindi a concludere come, nella fattispecie in esame, vi fosse stato, in effetti, quell’“intervento” della parte nell’atto, che, ex art. 22 cit., giustifica appunto la tassazione per enunciazione.

Infine, per quanto di interesse, con un terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentavano l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, dato dalla insussistenza del preteso atto di divisione, posto che le particelle in esame non erano mai state fatte oggetto di divisione.

Anche tale censura, tuttavia, secondo la Cassazione era infondata.

Evidenziano infatti i giudici che rilevavano a tal proposito le stesse ragioni già evidenziate nella disamina del motivo precedente, laddove, in primo luogo, la Commissione Tributaria Regionale aveva dimostrato come non vi fosse stato alcun omesso esame, posto che - al contrario - il giudice di merito aveva specificamente valutato, esaminato e preso posizione sulla sussistenza dell’atto di divisione enunciato, tanto da ritenerlo avvenuto come descritto nel rogito notarile e qui convalidato, risultando per contro irrilevante la natura meramente dichiarativa del contratto (…).

In secondo luogo, poi, l’esistenza della divisione, come visto, era stata non solo appurata dal giudice del merito, ma anche riconosciuta in giudizio dagli stessi contribuenti (salvo farne discendere diversi effetti giuridici di non imponibilità).

Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.

Imposizione di registro su disposizioni enunciate: le conclusioni

In sostanza, occorre in tali casi stabilire se un atto soggetto a registrazione solo in caso d’uso sia assoggettabile ad imposizione solo ed esclusivamente in tale ipotesi, ovvero anche quando sia solo enunciato in altro atto registrato, ovvero, ancora, se tale enunciazione configuri o meno un caso d’uso.

Rileva al riguardo la Suprema Corte che, alla stregua della dizione letterale dell’art. 6 del Dpr. n. 131 del 1986, deve escludersi che il mero richiamo dell’atto non registrato in atto registrato possa configurare un’ipotesi d’uso (cfr., Cass. n. 5946/2007; n.16662/2020; Cass., n. 23414 del 24.08.2021).

Secondo la Cassazione, se il legislatore ha specificato che “se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 69”, è allora evidente che poiché l’enunciazione non configura, un «uso», deve allora concludersi per l’assoggettamento di tali atti all’imposta, a prescindere dall’“uso” e sulla base della sola enunciazione.

La norma richiede peraltro espressamente, quale presupposto di sua applicazione, la corrispondenza tra le parti intervenute nell’atto enunciato e in quello enunciante, laddove con tale termine ci si riferisce però non solo alle parti che hanno sottoscritto l’atto enunciante e quello enunciato, bensì anche a tutti i soggetti che, pur non essendo intervenuti in atto e non avendolo sottoscritto, risentono direttamente dei suoi effetti.

La disposizione si riferisce, quindi, a tutte le parti sostanziali, da intendersi nel senso di una relazione di “essenzialità” tra quelle intervenute nei due atti.

In conclusione, i rapporti sottostanti all’atto non registrato sono comunque da assoggettare all’imposta di registro, anche se solo enunciati.

Ad esempio, allora, anche l’eventuale condanna del fideiussore, enunciata nel decreto ingiuntivo, comporta un’obbligazione autonoma rispetto a quella derivante dalla condanna del debitore principale, come tale soggetta anche ad autonoma imposizione.

L’imposta di registro è del resto un’imposta d’atto.

E colpisce quindi ogni singolo atto che possa esprimere una qualche capacità contributiva.

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