Decreto ingiuntivo esecutivo: c’è l’imposta proporzionale anche se il debitore fallisce

Gianfranco Antico - Imposte di registro, ipotecarie e catastali

La Corte di Cassazione si è espressa sul tema del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo: la tassazione con imposta proporzionale c'è anche se il debitore è successivamente fallito

Decreto ingiuntivo esecutivo: c'è l'imposta proporzionale anche se il debitore fallisce

In tema di imposta di registro sugli atti dell’autorità giudiziaria, il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, emesso nei confronti di un debitore successivamente fallito, è soggetto ad imposta di registro proporzionale, rilevando ai fini impositivi la natura esecutiva del titolo e non la sua concreta eseguibilità al momento dell’imposizione.

È questo, sinteticamente, il principio dettato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 2734/2024.

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Decreto ingiuntivo esecutivo soggetto ad imposta proporzionale: la pronuncia della Cassazione nel caso di specie

Una società ha impugnato l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, relativo ad un decreto ingiuntivo emesso con la formula di provvisoria esecuzione dal tribunale, sostenendo, per quel che ci interessa in questa sede, la non tassabilità in misura proporzionale sia dell’operazione finanziaria posta a base del richiesto provvedimento monitorio che del decreto medesimo.

I giudici di primo grado hanno respinto il ricorso e l’allora CTR ha confermato tale decisione, dichiarando l’inammissibilità della proposizione della questione dedotta nel giudizio di appello, concernente la perdita di esecutività del decreto a seguito della sentenza dichiarativa di fallimento della società ingiunta, e rilevando, comunque, che il decreto è tassabile nella misura richiesta, alla luce del disposto dell’art. 37 del D.P.R. n. 131/86, il quale impone il pagamento dell’imposta di registro anche se l’atto giudiziario è stato impugnato e, pertanto, a prescindere dalla proposizione dell’opposizione, atteso che ciò che rileva è l’apposizione della formula esecutiva al decreto ingiuntivo e non il successivo fallimento dell’ente.

Da qui il ricorso di parte in cassazione contestando la decisione del giudice di appello, per aver sostenuto che, ai fini dell’imposta di registro, relativa ai decreti ingiuntivi esecutivi, revocati nel procedimento di opposizione ex art. 645 del c.p.c. o per altra ragione, si applichi l’imposta nella misura proporzionale.

Nella specie, è stato emesso un decreto ingiuntivo munito della clausola di provvisoria esecutorietà e che, successivamente, la dichiarazione di fallimento avrebbe determinato, ad avviso della contribuente, la privazione della esecutività del decreto tassato.

Il pensiero degli Ermellini

Per gli Ermellini, la censura è priva di pregio.

Non vi è alcuna deduzione in ordine ad un’eventuale definitiva revoca del decreto all’esito del giudizio di opposizione. Non si pone dunque la questione degli effetti fiscali della revoca del decreto ingiuntivo operata all’esito del giudizio di opposizione con statuizione oramai definitiva.

Com’è noto, l’art. 37, comma 1, del D.P.R. n. 131/86, prevede che:

“Gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere, sono soggetti all’imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato; alla sentenza passata in giudicato sono equiparati l’atto di conciliazione giudiziale e l’atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l’amministrazione dello Stato.”

Perché sorga l’obbligo di pagare l’imposta in questione, non è necessario che sia adottato un provvedimento definitivo, essendo sufficiente l’esistenza di un atto tra quelli appena elencati, ferma restando l’operatività dei conguagli e dei rimborsi a seguito dell’adozione di una decisione passata in giudicato.

Con riferimento alle sentenze, la Corte richiama dei propri precedenti, con i quali è stato già affermato che:

“in tema di imposta di registro, ai sensi del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 37, comma 1, la sentenza che definisce il giudizio – anche solo parzialmente e pur non passata in giudicato è soggetta a tassazione, sicché l’Ufficio del registro provvede legittimamente alla liquidazione, emettendo il relativo avviso, che è impugnabile per vizi, formali o sostanziali, inerenti all’atto in sé, al procedimento che lo ha preceduto, oppure ai presupposti dell’imposizione. Né l’eventuale riforma, totale o parziale, della decisione nei successivi gradi di giudizio, e fino alla formazione del giudicato, incide sull’avviso di liquidazione, integrando, piuttosto, un autonomo titolo per l’esercizio dei diritti al conguaglio o al rimborso dell’imposta da far valere in via autonoma e non nel Corte di Cassazione - copia non ufficiale 8 di 16 procedimento relativo all’avviso di liquidazione.”

(V. cfr. Cass. del 25/07/2022, n. 23162; Cass. del 18/02/2021, n. 4327; Cass., Sez. 6-5, del 16/05/2018, n. 12023; Cass., Sez. 6-5, del 05/06/2014, n. 12736; Cass., Sez. 5, del 29/05/2006, n. 12757).

In particolare, si è ritenuto che il provvedimento di sospensione della provvisoria esecuzione (ancorché seguito dalla completa riforma in senso favorevole al contribuente) non è idoneo ad incidere sull’avviso di liquidazione, stante la perdurante esistenza della sentenza di condanna che ne rappresenta il fondamento, con salvaguardia dell’eventuale diritto al rimborso spettante al contribuente, non ricollegandosi il presupposto del tributo all’efficacia esecutiva della sentenza ma, per l’appunto, all’esistenza di un titolo giudiziale soggetto a registrazione (ex multis, Cass. del 13.04.2018, n. 12480).

In alcuni casi, la stessa Corte ha ridimensionato le conseguenze del principio appena riportato, ritenendo che, qualora il provvedimento giudiziario sia stato definitivamente riformato, l’Amministrazione finanziaria, che abbia correttamente emesso l’avviso di liquidazione dell’imposta principale e la relativa cartella di pagamento senza procedere alla riscossione (così Cass., Sez. 5, del 11/06/2019, n. 15645):

“non ha interesse a ricorrere per cassazione avverso la sentenza di annullamento della cartella, emessa dal giudice tributario d’appello, essendo venuto meno il presupposto dell’imposta, il cui pagamento determinerebbe la necessità dell’immediato rimborso.”

Per gli stessi motivi, proprio con riferimento all’imposta applicata su di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, è stato ritenuto che, qualora il provvedimento giudiziario sia stato definitivamente annullato e sia, quindi, venuta meno l’attribuzione patrimoniale che giustifica il tributo, l’Amministrazione finanziaria non ha interesse a ricorrere per cassazione avverso la sentenza di annullamento della cartella, emessa dal giudice tributario d’appello (Cass., Sez. 5, Sentenza del 12/11/2014, n. 24097).

Tuttavia, specificano i giudici di Piazza Cavour:

“si tratta di casi diversi da quello in esame, ove, al provvedimento inizialmente adottato, e soggetto ad imposta proporzionale, non è sopravvenuta una decisione passata in giudicato, che ha annullato il provvedimento stesso, a cui devono assimilarsi le ipotesi in cui la decisione definitiva revoca o dichiara nullo il decreto opposto.”

Nell’ipotesi in cui il debitore sia fallito, è vero che tutte le procedure esecutive individuali a suo carico restano impedite e che l’insinuazione al passivo è possibile solo se il decreto è munito della formula ex art. 647 cod.proc.civ.:

“ma il provvedimento monitorio non perde l’esecutività nei confronti del soggetto tornato in bonis. In continuità con tali principi, va quindi ritenuto che l’imposta di registro mira a colpire una dichiarazione di credito azionabile esecutivamente, per un determinato importo, in quanto la stessa viene ritenuta di per sè una manifestazione di capacità contributiva, senza che rilevi se l’esecuzione al momento dell’imposizione sia in concreto possibile e “se lo sia in forma individuale o concorsuale”.”

I giudici di vertice, quindi, operano un distinguo:

  • il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, costituisce titolo per l’ammissione del credito allo stato passivo, senza possibilità di esclusione, non essendo consentito al Curatore ed al Giudice Delegato rimettere in discussione l’esistenza del credito (si vedano tra l’altro, Cass. 28553/2011, 22549/2010, 22959/2007; Cass. 3.09. 2018, n.. 21583; Cass. 14.11. 2018, n. 29243);
  • il decreto ingiuntivo non opposto, munito della clausola di provvisoria esecuzione prima della dichiarazione di fallimento, come avvenuto nella specie, costituisce titolo idoneo all’ammissione allo stato passivo e quindi alla partecipazione alla procedura concorsuale, previa valutazione del giudice delegato. La possibilità di insinuazione al passivo, quale chirografaro, del creditore munito di titolo che non sia provvisto di decreto ingiuntivo dotato di formula ex art. 647 cod.proc.civ., non esclude affatto l’esecutività del titolo nei confronti del soggetto dichiarato fallito, una volta tornato in bonis, come anticipato.

L’esegesi letterale della norma in esame esclude, dunque, che:

“la dichiarazione di fallimento possa essere assimilata alla sentenza passata in giudicato ovvero alla conciliazione giudiziale oppure alla transazione stragiudiziale, tenuto conto che il legislatore ha individuato specificamente le ipotesi in cui l’esecutività del decreto ingiuntivo viene meno attribuendo di conseguenza il diritto al rimborso (Cass. del 6.10.2020, n. 21821, in motiv.; Cass. del 18 febbraio 2021, n. 4327). 7.2. L’opponibilità o meno del decreto esecutivo alla massa dei creditori soltanto se divenuto già definitivo nel giorno dell’apertura della procedura determina solo una limitazione soggettiva dell’esecutività e salva la possibilità di procedere nei confronti del debitore tornato in bonis.”

Il principio di diritto

Il principio di diritto espresso:

“in tema di imposta di registro sugli atti dell’autorità giudiziaria, il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso nei confronti di un debitore successivamente fallito è soggetto ad imposta di registro proporzionale, ai sensi del d.P.R. del 26 aprile 1986, n. 131 artt. 37 e 8, comma 1, lett. b), della tariffa allegata, rilevando ai fini impositivi la natura esecutiva del titolo e non la sua concreta eseguibilità al momento dell’imposizione; del resto, la sentenza dichiarativa di fallimento delimita soggettivamente l’esecutività del decreto ingiuntivo rispetto alla massa dei creditori, ma non la elide nei confronti del fallito, una volta tornato in bonis, poiché solo l’intervento di una decisione definitiva che, all’esito del giudizio di opposizione, revochi o annulli o dichiari la nullità del decreto ingiuntivo opposto esclude la debenza del tributo ex art. 37 d.P.R. n. 131 del 1986.”

Decreto ingiuntivo esecutivo tassato con imposta proporzionale: la giurisprudenza

Ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37 e 8, comma 1, lett. b), parte prima, della Tariffa allegata, i decreti ingiuntivi esecutivi sono soggetti ad imposizione nella misura proporzionale del 3 per cento (salvo conguaglio in base a successiva sentenza passata in giudicato), indipendentemente dal rapporto giuridico ad essi sottostante, considerato che presupposto dell’imposta è “la natura esecutiva del decreto ingiuntivo” (vale a dire, la clausola di provvisoria esecutorietà) e non già l’apposizione della formula esecutiva con la quale si intraprende l’esecuzione, in quanto l’imposta è applicata sulla base della esecutività del decreto e non già della sua esecuzione in concreto, né dell’apposizione della formula esecutiva da parte della cancelleria.

La stessa Cassazione, nella sentenza in esame, ha affermato che il legislatore ha inteso far riferimento a tutti i decreti ingiuntivi non opposti o provvisoriamente eseguibili, muniti della relativa formula secondo la nozione processual/civilistica, indipendentemente dal fatto che essi, per le più diverse evenienze, siano rimasti in concreto ineseguiti; a nulla rileva che i decreti ingiuntivi in concreto (e non solo astrattamente) siano eseguibili, cioè possano essere portati ad effetto loro proprio mediante azioni esecutive individuali.

In ordine all’enunciazione di atti non registrati, l’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nel disporre al comma 1 che “se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69”, ha inteso includere fra gli atti assoggettati ad imposta anche quelli soggetti a registrazione in caso d’uso.

Infatti (Cass. del 14.03.2007, n. 5946; Cass. del 29/03/2022, n. 8669; Cass. del 13/11/2020, n. 25706):

“poiché la mera enunciazione degli atti soggetti a registrazione in caso d’uso, ai sensi del precedente art. 6, non configura, di per sé, un uso, deve ritenersi che tali atti siano assoggettati all’imposta a prescindere dall’uso dei medesimi di cui all’art. 6, e quindi sulla base della sola enunciazione.”

Orientamento che ha trovato conferma nella successiva evoluzione giurisprudenziale essendosi affermato che:

“l’art. 22, comma primo, del d.P.R. n. 131 del 1986, stabilisce che se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate; ne consegue che va assoggettato ad imposta di registro il contratto di mutuo, enunciato in un provvedimento monitorio.”

(Cass. del 12.05.2008, n. 11756 e Cass. del 13.10.2010, n. 15585; v. anche Cass. del 7.11.2012, n. 4096, secondo cui: “In tema di imposta di registro, ove viene colpita la singola manifestazione di ricchezza e la connessa capacità contributiva, vale il principio dell’autonomia dei singoli negozi, come si desume in modo inequivoco dalla previsione dell’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, la quale stabilisce che, se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate”).

Sulla base di tale orientamento, osservano gli Ermellini nella pronuncia che si annota, la sola enunciazione di un atto non registrato in un atto soggetto a registrazione è condizione sufficiente a legittimare la soggezione all’imposta di registro dell’atto enunciato e non registrato, nonostante si tratti di atto soggetto a registrazione in caso d’uso e l’enunciazione non possa ritenersi in sé una ipotesi di “uso dell’atto” (cfr. Cass. del 30.10.2015, n. 22243; Cass. del 13/11/2020, n. 25706).

Pertanto:

“se in un atto sono enunziate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute, ai sensi dell’art. 22, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986, l’imposta di registro si applica anche alle disposizioni enunziate; ne consegue l’imponibilità del contratto di mutuo enunciato nel provvedimento monitorio, a prescindere dall’effettivo uso del finanziamento medesimo, trattandosi di atto avente ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, finalizzato a determinare una modificazione della sfera patrimoniale e suscettibile di valutazione economica (Cass. del 12.12.2019, n.32516).”

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