Se la Guardia di Finanza ritarda la verifica l’avviso anticipato è nullo

L'emissione in anticipo dell'avviso di accertamento in prossimità della scadenza del termine di decadenza non si può giustificare con i ritardi imputabili alle verifiche della Guardia di Finanza. E infatti l'Amministrazione finanziaria nel suo complesso è tenuta a rispettare i tempi. Lo stabilisce la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 11110 del 6 aprile 2022.

Se la Guardia di Finanza ritarda la verifica l'avviso anticipato è nullo

L’emissione anticipata dell’avviso di accertamento in prossimità della scadenza del termine di decadenza non può essere giustificata dai ritardi imputabili alle operazioni di verifica condotte dalla Guardia di Finanza.

L’obbligo del rispetto del termine dilatorio è rivolto all’Amministrazione finanziaria nel suo complesso, intesa come Ente impositore, sicché comunque l’agenzia fiscale è responsabile anche dei ritardi imputabili alla Guardia di finanza quale organo ispettivo collaterale.

Così ha deciso la Corte di Cassazione che, con l’Ordinanza n. 11110 del 6 aprile 2022.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 11110 del 6 aprile 2022
Il testo integrale dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 11110 del 6 aprile 2022.

La Sentenza – Il giudizio verte sull’impugnazione di un avviso di accertamento, che la società ha impugnato perché emesso prima del termine dilatorio previsto dall’art. 12, co. 7 della L. 212/2000 senza motivi di urgenza.

La CTR, in parziale riforma della sentenza della CTP, ha respinto il ricorso della società accertata ritenendo infondate le eccezioni di nullità eccepite dalla ricorrente.

Avverso la decisione d’appello la società ha proposto ricorso per cassazione lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, legge 212/2000 perché la CTR ha rigettato la sua eccezione di nullità dell’avviso di accertamento in quanto emesso ante tempus, essendo mancato il rispetto del termine dilatorio previsto dalla legge.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

È oramai principio acclarato che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale.

La violazione di tale obbligo rende l’atto invalido e quindi annullabile, con un distinguo a seconda della pretesa oggetto di contestazione: infatti, per i tributi armonizzati (ad es. l’IVA) l’atto è invalido se il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa; per i tributi non armonizzati, invece, la legislazione nazionale non pone tale vincolo.

Nel caso invece di contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione ex ante in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso ante tempus.

L’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus.

Il termine dilatorio, infatti, è posto per consentire lo svolgimento del contraddittorio procedimentale, che costituisce primaria espressione dei principi di collaborazione e buona fede tra Amministrazione finanziaria e contribuente ed è diretto a migliorare e rendere più efficace l’esercizio della potestà impositiva.

In altre parole, se viene dimostrato che vi è stato un accesso presso la sede del contribuente per una verifica fiscale, è senz’altro applicabile l’art. 12, comma 7, legge 212/2000 e non è necessaria alcuna “prova di resistenza” da parte della contribuente.

Dal lato probatorio sarà onere dell’Ufficio documentare la sussistenza in concreto delle ragioni dell’urgenza e provare che l’inosservanza del termine dilatorio non sia dovuta a inerzia o negligenza, ma ad altre circostanze che abbiano ritardato incolpevolmente l’accertamento ovvero abbiano reso difficoltoso con il passare del tempo il pagamento del tributo e necessario procedere senza il rispetto del termine.

Sul tema la Corte ha ribadito che la scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio.

Nel caso di specie le ragioni di urgenza sono state legate ai ritardi imputabili alla Guardia di Finanza nell’espletamento delle operazioni di verifica che hanno costretto l’Ufficio accertatore ad emettere un avviso di accertamento anticipato.

Anche tale circostanza non rappresenta una ragione motivata di urgenza perché la disposizione legislativa de qua ha come destinataria l’amministrazione finanziaria nel suo complesso, intesa come Ente impositore, sicché comunque l’agenzia fiscale è responsabile anche dei ritardi imputabili alla Guardia di finanza quale organo ispettivo collaterale.

Alla luce di tali considerazioni la CTR non ha dato corretta e puntale attuazione ai principi di diritto su enunciati riconoscendo l’urgenza scindendo illegittimamente l’attività accertativa in senso generale tra quella istruttoria della GdF e quella impositiva dell’Agenzia delle entrate.

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