Chiusura partita Iva del professionista deceduto: i chiarimenti AdE

Chiusura partita Iva del professionista deceduto: entro 6 mesi, ma solo se non ci sono parcelle ancora da incassare. Per gli eredi i chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate su tempi e regole da rispettare nella risoluzione numero 34 dell'11 marzo 2019.

Chiusura partita Iva del professionista deceduto: i chiarimenti AdE

Chiusura partita Iva del professionista deceduto: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate per gli eredi sui tempi da considerare e, più in generale, sulle regole da rispettare per la cessazione dell’attività nella risoluzione numero 34 dell’11 marzo 2019.

Come previsto dall’articolo 35-bis del Decreto numero 633 del 1972, la partita IVA dovrebbe essere chiusa entro sei mesi dalla morte del contribuente. Nel caso in cui, però, ci siano fatture da incassare o prestazioni da fatturare gli eredi devono tenerla aperta fino a quando non viene incassata l’ultima parcella.

Agenzia delle Entrate - Risoluzione numero 34/E dell’11 marzo 2019
Interpello ex articolo 11, comma 1, lettera a) legge 27 luglio 2000, n. 212 - Eredi del professionista.

Chiusura partita Iva del professionista deceduto: le regole da rispettare per gli eredi

Questa è, in estrema sintesi, la regola da applicare alla chiusura della partita Iva del professionista deceduto, come si legge nella risoluzione numero 34/E dell’Agenzia delle Entrate dell’11 marzo 2019.

Lo spunto per accendere i riflettori sulla questione arriva dall’erede di un professionista che negli anni passati ha emesso fatture con IVA ad esigibilità differita, che non sono state ancora riscosse alla data del decesso e per cui probabilmente ci sarà da attendere più dei 6 mesi previsti per la chiusura della partita IVA.

Inoltre l’erede specifica che il defunto ha effettuato prestazioni professionali non ancora fatturate al momento della morte.

Nel caso, in esame, dunque come si legge nel documento dell’Agenzia delle Entrate è possibile una deroga all’articolo 35 bis del Decreto numero 633 del 1972, che regola la chiusura della partita iva in caso di decesso e al comma 1 recita:

“Gli obblighi derivanti, a norma del presente decreto, dalle operazioni effettuate dal contribuente deceduto possono essere adempiuti dagli eredi, ancorché i relativi termini siano scaduti non oltre quattro mesi prima della data della morte del contribuente, entro i sei mesi da tale data.

L’Agenzia delle Entrate specifica, inoltre, che una lettura sistematica dell’articolo 35-bis del citato d.P.R., consente di applicare anche alla figura del professionista quanto disposto dal comma 2, secondo cui:

Resta ferma la disciplina stabilita dal presente decreto per le operazioni effettuate, anche ai fini della liquidazione dell’azienda, dagli eredi dell’imprenditore.

Chiusura partita Iva del professionista: le regole da applicare per la cessazione dell’attività

Nell’argomentare la risposta all’erede, che deve occuparsi della chiusura della partita Iva del professionista deceduto, e nel motivare la deroga al limite dei 6 mesi, l’Agenzia delle Entrate ricostruisce il quadro normativo a cui far riferimento per la cessazione dell’attività professionale.

Come già evidenziato nella circolare numero 11/E del 2007, si parte dall’assunto che la cessazione dell’attività professionale, e di conseguenza l’estinzione della partita IVA, è vincolata alla conclusione di tutti gli adempimenti collegati alle operazioni attive e passive effettuate.

Ne deriva che il professionista che non opera più non può estinguere la partita IVA in presenza di corrispettivi per prestazioni rese in tale ambito e ancora da fatturare nei confronti dei propri clienti.

Ulteriori precisazioni sono riportate nella risoluzione numero 232/E del 20 agosto 2009, in cui si legge:

“La cessazione dell’attività per il professionista non coincide, pertanto, con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile (perché, ad esempio, non è decorso il termine di prescrizione di cui all’art. 2956, comma 1, n. 2 del codice civile) l’attività professionale non può ritenersi cessata”.

Infine l’Agenzia delle Entrate chiude il cerchio riportando, come ultimo riferimento a sostegno della risposta, la sentenza n. 8059 del 21 aprile 2016 della Corte di Cassazione, in cui si pronuncia nel modo che segue:

“Il compenso di prestazione professionale è imponibile ai fini IVA, anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione; e questo perché […] il fatto generatore del tributo IVA e, dunque, l’insorgenza della correlativa imponibilità vanno identificati […] con la materiale esecuzione della prestazione, giacché, in doverosa aderenza alla disciplina Europea, la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3, va intesa nel senso che, con il conseguimento del compenso, coincide, non l’evento generatore del tributo, bensì, per esigenze di semplificazione funzionali alla riscossione, solo la sua condizione di esigibilità ed estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione.”

Tutti i principi, riportati nella risoluzione 34/E del 2019. secondo l’Agenzia delle Entrate sono applicabili anche agli eredi del professionista.

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