Cessione di opere d’arte: se lo scopo è lucrativo è attività d’impresa

Emiliano Marvulli - Imposte

Colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio di opere d'arte, anche in maniera non organizzata, per trarre profitto produce reddito d'impresa da assoggettare a tassazione. Lo chiarisce la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 6874 dell’8 marzo 2023

Cessione di opere d'arte: se lo scopo è lucrativo è attività d'impresa

Il mercante di opere d’arte è colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio, anche in maniera non organizzata imprenditorialmente, con il fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere.

In tale ipotesi il reddito prodotto va qualificato come reddito d’impresa e l’operazione assoggettata a IVA.

Diversamente, il collezionista è colui che acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza. Ai fini fiscali questi non è soggetto ad alcuna imposizione.

Questo l’interessante principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 6874 dell’8 marzo 2023.

Cessione di opere d’arte al centro dell’Ordinanza della Corte di cassazione numero 6874 del 2023

La controversia deriva da un avviso di accertamento notificato a un contribuente con cui l’Agenzia delle entrate aveva determinato il reddito d’impresa ai fini IRPEF e IRAP, in relazione al commercio di opere d’arte imputato in capo al contribuente.

Nel ricorso proposto avverso l’atto impositivo il contribuente si dichiarava invece mero collezionista, che cedeva solo occasionalmente opere d’arte, con la conseguente inapplicabilità dell’imposizione.

La CTP rigettava il ricorso, ritenendo che la pluralità di elementi forniti dall’ufficio fossero idonei a qualificare il contribuente come commerciante d’arte.

La CTR ha confermato la corretta qualificazione come imprenditore del contribuente, preso atto della cadenza regolare con cui negli anni avvenivano le transazioni di opere d’arte per importi notevoli, in aggiunta agli altri elementi forniti dall’ufficio, quali interviste, partecipazioni a incontri in tale veste: tutti elementi idonei ad escludere la ricorrenza della figura del collezionista.

Avverso tale sentenza il contribuente ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, che è stata chiamata a esprimersi sul tema della corretta qualificazione del contribuente, se come mercante d’arte, e quindi come imprenditore come preteso dall’Agenzia, o come collezionista, come dedotto dal ricorrente, quale soggetto privato che occasionalmente effettua transazioni aventi ad oggetto opere d’arte.

Con riferimento alla qualificazione del soggetto come imprenditore, la Corte ha preliminarmente rilevato che la legislazione fiscale e quella civilistica non sono coincidenti in quanto l’art. 2082 c.c. considera imprenditore chi svolge un’attività economica organizzata in modo professionale, mentre l’art. 55 TUIR non richiede il requisito dell’organizzazione, ma la mera professione abituale delle attività di cui all’art. 2195 c.c., anche non svolta in modo esclusivo.

Cessione di opere d’arte: in presenza dello scopo lucrativo, c’è l’attività d’impresa

Con riferimento specifico al mercante d’arte, il Collegio di legittimità ne ha riconosciuto la qualità di imprenditore commerciale in presenza di una rudimentale organizzazione aziendale e dell’acquisto, per la rivendita, di numerose opere d’arte, nonché dello svolgimento di attività promozionali.

In particolare la reiterazione di atti, oggettivamente suscettibili di essere qualificati come atti d’impresa rende manifesto che non si tratta di operazioni isolate, ma di attività professionalmente esercitata.

Il medesimo principio è applicabile anche all’IVA, considerato che l’art. 4, co. 1, del DPR n. 633 del 1972, intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, anche se non esclusiva.

Preso atto che la normativa fiscale non prevede una normativa specifica sulla tassazione delle compravendite di opere d’arte effettuate dai privati, la Corte di Cassazione ha precisato che va definito come mercante di opere d’arte colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio, anche in maniera non organizzata imprenditorialmente, al fine di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere.

Il collezionista è, invece, chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza. Se, quindi, il soggetto è qualificato come mercante di opere d’arte, questi è soggetto passivo IRPEF e IVA mentre, se è qualificato come collezionista, non è prevista alcuna forma di tassazione.

Nel caso di specie il contribuente accertato è stato correttamente qualificato come mercante-imprenditore sulla base di una serie univoca di elementi dimostrati dall’ufficio finanziario, quali: l’alienazione di opere di artisti di rilievo, la cadenza regolare negli anni e per importi notevoli, le interviste dove lo stesso contribuente si qualificava come mercante d’arte e la partecipazione ad incontri in tale veste.

Sulla base di tali motivazioni la Corte di cassazione ha respinto il motivo di ricorso e ha cassato con rinvio la sentenza di secondo grado.

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