Irap e autonoma organizzazione: quando si paga?

Autonoma organizzazione ai fini Irap: cos'è e quando possono dirsi verificati i presupposti di cui all'articolo 2 del decreto legislativo numero 446/1997.

Irap e autonoma organizzazione: quando si paga?

Una questione fondamentale in materia di IRAP è rappresentata dall’univoca individuazione del concetto di autonoma organizzazione previsto dall’articolo 2 del D.lgs. 446/1997.

In effetti, la definizione di attività autonomamente organizzata al fine dello scambio di beni e servizi si presenta come residuale e non oggettiva.

Per comprendere le difficoltà interpretative – ed i contrastanti orientamenti giurisprudenziali – appare utile analizzare innanzitutto le modalità con le quali il legislatore tributario si sia mosso per la definizione delle attività da assoggettare ad imposizione fiscale nel caso delle imposte sui redditi (Irpef ed Ires) e nel caso dell’imposta sul valore aggiunto (IVA).

Partiamo dall’inquadramento civilistico dell’attività dell’imprenditore.

Irap e autonoma organizzazione: la definizione di imprenditore ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA

L’articolo 2082 del codice civile definisce l’imprenditore come colui che “esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e di servizi”.

Le definizioni fiscali dell’imprenditore previste dal d.p.r. 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi – Tuir) e dal d.p.r. 633/1972 (decreto IVA), invece, prescindono dalla nozione di organizzazione, che per sua natura si presenta come residuale e non facilmente individuabile.

In particolare, l’articolo 55 del Tuir e l’articolo 4 del decreto IVA definiscono l’attività dell’imprenditore così come segue:

  • l’articolo 55 del Tuir definisce l’esercizio di imprese commerciali come “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’articolo 2195 del Codice civile, e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell’articolo 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzati in forma di impresa.

Sono inoltre considerati redditi d’impresa:

a) i redditi derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c.;

b) i redditi derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne;

c) i redditi dei terreni, per la parte derivante dall’esercizio delle attività agricole di cui all’articolo 32, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività di impresa.

3. Le disposizioni in materia di imposte sui redditi che fanno riferimento alle attività commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate nel presente articolo”.

  • Ai sensi dell’articolo 4 del d.p.r. 633/1972 – decreto IVA - per esercizio di imprese si intende “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma d’impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile”.

Qual è la ratio in una scelta di questo tipo da parte del legislatore tributario? I motivi che hanno determinato questa scelta risiedono nella volontà di legare il regime fiscale applicabile alle singole attività oggettivamente definite dagli articoli 2195 e 2135 del codice civile. In questo modo si è evitato di collegare l’obbligatorietà di un determinato regime fiscale al concetto di organizzazione che, come si diceva prima, si presenta come residuale e non facilmente individuabile.

Di conseguenza, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA vengono considerati imprenditori tutti quei soggetti che il codice civile considera lavoratori autonomi per effetto dello svolgimento di una delle attività ricomprese nelle norme civilistiche sopra citate.

Irap: definizione di autonoma organizzazione

Nel caso della disciplina Irap, invece, il legislatore tributario ha utilizzato un metodo assolutamente diverso. In questo caso, infatti, il tributo non è stato collegato ad alcuna norma di sistema, o comunque proveniente da altri settori dell’ordinamento, ma è previsto l’assoggettamento al tributo di qualunque attività “autonomamente organizzata”.

Qui il riferimento esclusivo è all’organizzazione, senza nessuna ulteriore connessione rispetto all’inquadramento civilistico dell’imprenditore/professionista/lavoratore autonomo.

In questo senso, la prevalente dottrina e la giurisprudenza hanno sin da subito sottolineato come questa particolare concezione portasse:

  • tutte le attività di impresa, in quanto tali, ad essere soggette ad Irap. Ciò in quanto l’attività di impresa implica di per sé l’elemento organizzativo (ivi compreso il caso del piccolo imprenditore così come definito dall’articolo 2083 del codice civile);
  • le attività di lavoro autonomo, invece, potrebbero non essere organizzate per cui occorre verificarne la struttura per poter dire o meno se esse debbano essere assoggettate ad Irap.

La giurisprudenza di questi anni è stata coerente con questa interpretazione, escludendo l’Irap nei confronti di quei soggetti che, pur essendo fiscalmente considerati imprenditori ai fini Irpef e Iva, da un punto di vista sostanziale e civilistico erano lavoratori autonomi privi di autonoma organizzazione.

Irap e autonoma organizzazione: la sentenza numero 9451/2016 della Corte di Cassazione

A questo proposito, molto interessante appare la recente sentenza della Corte di Cassazione numero 9451/2016 secondo la quale i requisiti necessari per la sussistenza dell’autonoma organizzazione nel presupposto dell’Irap sono tre :

  • il contribuente deve essere, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione dell’impresa;
  • il contribuente deve impiegare beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione;
  • il contribuente deve avvalersi in modo abituale e non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

Sia dal punto di vista dottrinale che giurisprudenziale, occorre osservare come questa impostazione non può assolutamente essere applicata al caso dei piccoli imprenditori che, invece, sono soggetti ad Irap in quanto possiedono per natura il requisito dell’autonoma organizzazione, ancorché minimale e non prevalente.

Irap, autonoma organizzazione: chi paga?

Ricapitolando: i soggetti che svolgono attività di impresa così come previsto dal codice civile possiedono per natura il requisito dell’autonoma organizzazione. Per coloro che, invece, svolgono attività professionale il requisito dell’autonoma organizzazione deve essere verificato caso per caso.

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