I caregiver familiari hanno diritto a chiedere modifiche all’orario di lavoro per assistere la persona con grave disabilità. Il principio espresso dalla Corte di giustizia dell’Unione europea

Anche se non sono affetti da disabilità, i caregiver che assistono familiari devono essere tutelati contro le discriminazioni indirette sul lavoro che possono scaturire dalla condizione della persona assistita.
Questo in sintesi il principio espresso dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza C-38/24 pubblicata il 12 settembre.
Secondo la Corte il principio di non discriminazione sancito dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali non può essere interpretato in modo restrittivo.
Ai sensi della direttiva quadro sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, il divieto di discriminazione indiretta fondata sulla disabilità si estende anche a un lavoratore che ne è vittima a causa dell’assistenza che fornisce a suo figlio, affetto da una grave forma di disabilità.
Si può cambiare orario di lavoro per assistere un familiare disabile?
La sentenza della Corte di giustizia UE pubblicata ieri apre a nuove tutele per i lavoratori e le lavoratrici che subiscono discriminazioni sul lavoro per via del loro impegno nell’assistenza a familiari affetti da una grave disabilità.
Le condizioni di impiego e di lavoro devono essere adattate per consentire ai genitori di occuparsi del loro figlio senza rischiare di subire una discriminazione indiretta.
Questo il principio alla base della sentenza che ha risposto a un rinvio pregiudiziale da parte della Corte di Cassazione italiana su un caso che riguarda una lavoratrice con un figlio minore affetto da grave disabilità e da un’invalidità totale, la quale ha chiesto al datore di lavoro di essere assegnata a un posto di lavoro con orario fisso e non su turni, così da potersi occupare del figlio.
Il datore di lavoro le ha accordato, provvisoriamente, alcuni accomodamenti, rifiutando però di renderli permanenti. La donna ha quindi contestato tale rifiuto, con il caso finito prima in Cassazione e poi alla Corte europea per via dei dubbi sull’interpretazione del diritto dell’Unione in materia di tutela contro la discriminazione indiretta di un lavoratore che si occupa di suo figlio minore gravemente disabile, pur non essendo disabile egli stesso.
Chi assiste un figlio con disabilità può richiedere modifiche alle condizioni di lavoro
Come anticipato, la Corte ha risposto, in sintesi, che il divieto di discriminazione indiretta fondata sulla disabilità, come previsto dalla direttiva quadro sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (Direttiva 2000/78/CE del Consiglio UE), si estende anche al lavoratore o alla lavoratrice che ne è vittima per via dell’assistenza che fornisce a suo figlio, affetto da disabilità.
Già in altre occasioni, infatti, la Corte aveva dichiarato che tale direttiva mira a combattere ogni forma di discriminazione fondata sulla condizione di disabilità e vieta la discriminazione diretta “per associazione”, fondata appunto sull’handicap.
Inoltre, precisa la Corte, le disposizioni della citata direttiva devono essere lette alla luce del principio di non discriminazione, del rispetto dei diritti dei minori e del diritto all’integrazione delle persone disabili previsti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in combinato con quanto disposto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
Da tali atti, ricorda la Corte, risulta che, per salvaguardare i diritti delle persone disabili, specialmente quelli dei minori, il principio generale di non discriminazione riguarda la discriminazione indiretta “per associazione” fondata sull’handicap.
L’obiettivo è quello di garantire la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro anche ai loro genitori, così da evitare che questi ultimi possano subire un trattamento sfavorevole sul loro posto di lavoro a causa della situazione dei loro figli.
Secondo la Corte, dunque, per garantire l’uguaglianza tra i dipendenti, il datore di lavoro è tenuto ad adottare soluzioni ragionevoli idonee a consentire loro di fornire l’assistenza necessaria ai figli disabili, con il limite del carattere sproporzionato che tale onere potrebbe comportare per il datore di lavoro.
Questo significa che quando il lavoratore o la lavoratrice non disabile si trova ad assistere un figlio affetto da grave disabilità, l’azienda è chiamata a valutare adeguate modifiche organizzative, come appunto la riassegnazione del dipendente a un posto di lavoro con orario compatibile, così da rendere possibile lo svolgimento dell’attività.
Obbligo comunque limitato dal principio di proporzionalità, per cui le modifiche non devono comportare un eccessivo onere finanziario o gestionale per l’impresa, tenendo conto delle dimensioni, delle risorse e della possibilità di ricorrere a sostegni pubblici.
Sta al giudice nazionale il compito di verificare che la domanda del lavoratore non rappresenti un simile onere.
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