L’accesso agli atti nei procedimenti tributari

Accesso agli atti nei procedimenti tributari: dopo la notifica dell’avviso di accertamento deve riconoscersi al soggetto sottoposto a controllo fiscale la piena manifestazione del suo diritto di difesa e non sono ammesse deroghe all’accesso, al di fuori di specifiche e circostanziate esigenze di salvaguardia dell’ordine pubblico e di repressione della criminalità

L'accesso agli atti nei procedimenti tributari

Il Consiglio di Stato, con la storica sentenza 3492/2021, ha chiarito qual è la disciplina in materia di accesso agli atti tributari, stabilendo che dopo la notifica dell’avviso di accertamento deve comunque riconoscersi al soggetto sottoposto a controllo fiscale la piena manifestazione del suo diritto di difesa, non essendo ammesse deroghe all’accesso, al di fuori di specifiche e circostanziate esigenze di salvaguardia dell’ordine pubblico e di repressione della criminalità.

Nel caso di specie oggetto della presente analisi, il contribuente, esercente attività odontoiatrica, presentava all’Amministrazione finanziaria domanda di accesso alla “Relazione informativa” della Guardia di Finanza, relativa ad indagini fiscali condotte nei suoi confronti e sulla cui base il Procuratore della Repubblica aveva anche autorizzato la perquisizione del domicilio.

L’accesso agli atti nei procedimenti tributari: il caso della Sentenza numero 3492/2021

La richiesta veniva giustificata per esigenze difensive connesse ad un avviso di accertamento, notificatogli dall’Amministrazione finanziaria a conclusione delle predette indagini e nel frattempo impugnato davanti la Commissione Tributaria.

L’Amministrazione accoglieva l’istanza di accesso solo parzialmente, consentendo l’estrazione di copia della relazione informativa, ma con la secretazione dell’intero Paragrafo “1. Informazione”, motivata attraverso il richiamo all’art. 4 del decreto ministeriale n. 603 del 1996.

Il contribuente, vistosi rigettare l’istanza di riesame proposta avanti la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’art. 25, comma 4, della legge n. 241 del 1990, adiva quindi il giudice amministrativo, chiedendogli di condannare l’Amministrazione resistente ad esibire la relazione informativa nella sua integrità e, in subordine, ad esibirla oscurando i nominativi dei denunzianti o esponenti.

In ulteriore subordine, ad esibire la relazione informativa, in modo tale da consentire all’istante di comprendere se l’informazione fosse derivata da denunzia, segnalazione o esposto anonimi, ovvero da denunzia, segnalazione o esposto proveniente da persona e fisiche o giuridiche individuate.

Il Tar, con sentenza n. 247/2020, in accoglimento del ricorso, ordinava all’Amministrazione resistente di esibire la relazione informativa in versione integrale, con il solo oscuramento delle generalità del denunciante, segnalante o esponente.

Avverso tale sentenza l’Amministrazione finanziaria proponeva quindi appello, sostenendo che la sentenza di primo grado era erronea per i seguenti motivi:

  • i) il giudice non aveva considerato il grave nocumento che l’integrale ostensione del documento (da cui poteva derivare la rivelazione indiretta dell’identità della fonte informativa, nonostante l’oscuramento delle sue generalità) avrebbe determinato, in via generale, sulla proficuità delle attività informative svolte dalla Guardia di Finanza, facendo venir meno il legittimo affidamento delle fonti confidenziali nel rappresentare eventuali illeciti agli organi di polizia;
  • ii) la finalità di difesa perseguita dal contribuente risultava già pienamente soddisfatta con il rilascio di una significativa parte della “Relazione informativa”, nella cui introduzione si evinceva chiaramente che la fonte confidenziale ‒ essendo qualificata come “attendibile” e “non retribuita” ‒ non era anonima, ma direttamente conosciuta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza, il quale ne aveva valutato la credibilità;
  • iii) il giudice di primo grado non aveva svolto alcuna considerazione di merito in punto di “indispensabilità” delle informazioni contenute nel Paragrafo 1 della “Relazione informativa” ai fini di difesa nel procedimento tributario;
  • iv) l’operatività del decreto ministeriale n. 603 del 1996 doveva essere riconosciuta ai sensi del comma 2 dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990, che ha imposto alle singole Pubbliche Amministrazioni di individuare con provvedimento di natura regolamentare le categorie di documenti sottratte all’accesso.

L’accesso agli atti nei procedimenti tributari: la decisione del Consiglio di Stato

Secondo il Consiglio di Stato la sentenza di primo grado andava integralmente confermata.

Evidenziano i giudici di appello che l’accesso procedimentale è consentito a coloro ai quali gli atti stessi, direttamente o indirettamente si rivolgono, e che se ne possano eventualmente avvalere per la tutela di una posizione soggettiva legittimante.

Quest’ultima è costituita da una “situazione giuridicamente rilevante” (comprensiva anche degli interessi diffusi) e dal collegamento qualificato tra questa posizione sostanziale e la documentazione di cui si pretende la conoscenza.

L’interesse, per la cui tutela è attribuito il diritto di accesso è dunque nozione diversa e più ampia rispetto all’interesse all’impugnativa, cosicché la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente da una lesione della propria sfera giuridica (in ciò, rileva il CdS, si sostanzia la c.d. “autonomia” del diritto di accesso).

Venendo dunque al caso di specie, secondo il Consiglio di Stato, sussisteva senza dubbio il concreto interesse giuridico della parte appellante ad accedere alla “Relazione informativa” della Guardia di Finanza che la riguardava, e sulla cui base l’Amministrazione finanziaria aveva poi sottoposto a tassazione le manifestazioni di capacità contributiva ritenute occulte.

Il contribuente, in via generale, ha infatti diritto ad accedere a tutta la documentazione che attiene alla gestione del rapporto di imposta, dalla cui conoscenza possano emergere vizi sostanziali o procedimentali dell’atto di accertamento.

Nel caso in esame, pertanto, la conoscenza del Paragrafo “1. Informazione” (che plausibilmente si riferiva ad una denunzia, segnalazione o esposto) rivestiva un interesse “strumentale” al fine di contestare la veridicità e l’attendibilità delle informazioni raccolte, così da consentire un sindacato di legittimità sugli atti d’indagine e sull’accesso domiciliare disposto dalla Procura della Repubblica.

Né, contrariamente a quanto sembrava ritenere l’Amministrazione appellante, occorreva provare che tali esigenze difensive fossero “indispensabili”.

La decisione del giudice di primo grado, secondo il CdS, era anche conforme ai canoni indicati alla lettera g), comma 2, dell’art. 9, del Reg. UE n. 2016/679, secondo cui “il trattamento [...] necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri [...] deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l’essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato”, non essendo pertanto proporzionato estendere l’oscuramento dei dati contenuti in tali documenti, oltre a quanto strettamente necessario a celare l’identità (attraverso l’oscuramento dei nominativi e degli altri eventuali elementi di identificazione indiretta) del segnalante.

Procedimenti tributari e accesso agli atti: conclusioni

Secondo quanto rileva il Consiglio di Stato nella sentenza in commento, nel caso dell’accesso agli atti, l’ordinamento (agli articoli 59 e 60 del Codice di protezione dei dati personali) definisce tre livelli di protezione dei dati personali:

  • per i dati “comuni” si richiede la “necessità” dell’accesso;
  • per i dati sensibili (origine, convinzioni religiose, filosofiche, politiche, sindacali) si richiede la “stretta indispensabilità” dell’accesso;
  • per i dati “super-sensibili”, che attengono alla sfera più intima della persona umana, come la sfera sessuale o la salute, si richiede la necessità di una situazione di “pari rango”.

I criteri citati prevedono, per i dati comuni, la prevalenza della disciplina dell’accesso su quella della protezione dei dati personali e l’applicazione di un meccanismo di bilanciamento più articolato nel caso di dati sensibili e super sensibili, richiedendosi, in tali casi, una maggiore intensità della situazione giuridica che il richiedente intende tutelare con l’accesso.

Grava del resto comunque sulla parte interessata l’onere di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario (o, addirittura, strettamente indispensabile, se concerne dati sensibili o giudiziari) per la cura o la difesa dei propri interessi.

Non spetta invece alla pubblica amministrazione (e al giudice dell’accesso) soppesare, in via di prognosi, l’astratta idoneità della pretesa ostensiva a corroborare la linea difensiva perseguita in sede tributaria dal richiedente l’accesso, in quanto ciò compete soltanto al giudice avanti il quale la prova viene assunta (come da ultimo precisato anche dal CdS - Adunanza Plenaria n. 4 del 18 marzo 2021).

La giurisprudenza del Consiglio di Stato è poi consolidata nel ritenere che l’esclusione del diritto di accesso nei procedimenti tributari, sancita dall’art. 24, comma 1, lettera b), della legge 7 agosto 1990, n. 241, va interpretata nel senso che, soltanto nella fase di pendenza del procedimento tributario, gli atti relativi ad un accertamento fiscale sono inaccessibili, non rilevando, al contrario, alcuna esigenza di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento (che si ha con l’adozione del provvedimento definitivo di accertamento), essendo tale fase deputata solo alla tutela in giudizio delle proprie situazioni giuridiche soggettive, eventualmente ritenute lese dal provvedimento impositivo (ex plurimis, Sez. IV, 3 dicembre 2018, n. 6825; Sez. IV, 22 giugno 2018, n. 3847; Sez. III, 11 ottobre 2017, n. 4724).

In tal senso, come conferma anche la pronuncia in commento, va allora interpretato anche l’art. 4 del decreto ministeriale n. 603 del 1996, il quale, in attuazione dell’art. 24, comma 2, della legge n. 241del 1990, individua fra le categorie di documenti inaccessibili per motivi attinenti all’ordine ed alla sicurezza pubblica, nonché alla prevenzione ed alla repressione della criminalità, i seguenti: “a) documenti relativi all’attività investigativa, ispettiva e di controllo dalla cui diffusione possa comunque derivare pregiudizio alla prevenzione e repressione della criminalità nei settori di competenza anche attraverso la conoscenza delle tecniche informative ed operative nonché degli atti di organizzazione interna, quando questa possa pregiudicare le singole attività di indagine; […] d) atti e documenti attinenti alla identità e gestione delle fonti confidenziali ed alle informazioni fornite dalle fonti stesse, individuate o anonime, nonché contenute in esposti da chiunque inoltrati”.

E quindi, in definitiva, dopo la notifica dell’avviso di accertamento deve riconoscersi al soggetto sottoposto a controllo fiscale la piena manifestazione del suo diritto di difesa, non essendo ammesse deroghe all’accesso, al di fuori, appunto, di specifiche e circostanziate esigenze di salvaguardia dell’ordine pubblico e di repressione della criminalità, che non possono però essere motivate in modo “stereotipato” o generico, semplicemente richiamando l’appartenenza ad una categoria “nominata”.

Tale conclusione si giustifica del resto anche in ragione del principio di “parità delle armi”, tenuto conto che l’Amministrazione finanziaria, destinataria dell’istanza di accesso documentale, è portatrice di un proprio interesse, diretto ed opposto rispetto a quello del contribuente, cosicché a quest’ultimo va riconosciuta, sia nel procedimento (art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212) che nel processo (art. 111 della Costituzione), ampia facoltà di prova contraria.

Procedimenti tributari e accesso agli atti: osservazioni

Tanto premesso, bisogna anche evidenziare come le conclusioni del supremo consesso amministrativo non coincidano del tutto con quelle raggiunte in passato dalla Cassazione, in sede prettamente tributaria.

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 27126 del 23 ottobre 2019, ha per esempio affermato che il diritto di accesso agli atti è escluso, tra le altre ipotesi previste dall’art. 24 della L. 7 agosto 1990, n. 241, nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano.

Per quanto qui di interesse, in quell’occasione, il contribuente denunciava violazione degli artt. 7 e 12 della L. n. 212/2000 e 22 e ss. della L. n. 241/1990, nella parte in cui la decisione impugnata, quanto all’attuazione del contraddittorio, aveva escluso che esso potesse sostanziarsi, oltre che nella presa visione della documentazione acquisita in sede di indagini ed informazioni (in quel caso da Organismi esteri) dall’Amministrazione finanziaria, nel diritto di estrarne copia e di prendere appunti quanto al contenuto, nonché, una volta emanati gli atti impositivi, nel diritto del contribuente di accedere agli atti ad essi prodromici, imputando invece al contribuente l’aver tenuto un comportamento pretestuoso nel rifiuto dell’esame della documentazione offerta in visione dall’Amministrazione finanziaria, avendo il contribuente sostenuto di non essere in condizione, senza il rilascio di copia, di potere compiutamente esercitare il proprio diritto di difesa.

Con particolare riferimento al diritto di accesso vantato in quel caso dal ricorrente, la Suprema Corte riteneva la censura infondata.

Evidenziavano infatti i giudici di legittimità che era lo stesso contribuente a ricordare che il diritto di accesso agli atti è escluso, tra le altre ipotesi previste dall’art. 24 della L. 7 agosto 1990, n. 241, secondo quanto previsto nel comma 1, lett. b) di detta norma, “nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano”.

Tuttavia, secondo il ricorrente, detta norma andava comunque letta tenuto conto della disposizione di cui al comma 7 dello stesso art. 24 (primo periodo), che si porrebbe come vera e propria norma di chiusura del sistema, e secondo cui “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare e per difendere i propri interessi giuridici”.

In realtà, rilevava la Cassazione, posto che l’art. 25, comma 1, della citata L. n. 241/1990, stabilisce che il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti previsti dalla legge medesima, la limitazione dell’accesso riguardo all’estrazione di copia, ove ritenuta dal contribuente non adeguatamente giustificata alla stregua dell’art. 24, comma 1, lett. b) della L. n. 241/1990, avrebbe dovuto essere impugnata dalla parte privata dinanzi al giudice amministrativo, nelle forme e termini previsti dall’art. 25 cit. (cfr., Cass., Sezioni Unite, 27 maggio 1994, n. 5216). Cosa che invece, almeno in quel caso, non era stata fatta.

Nella specie, inoltre, secondo la Suprema Corte, il fatto che lo stesso contribuente avesse ammesso che la documentazione in oggetto gli era stata messa a disposizione nella fase amministrativa rendeva non adeguato a supportare la fondatezza dell’assunto di parte ricorrente il richiamo alla pronuncia del Consiglio di Stato sez. 4, 6 febbraio 2019, n. 908, secondo cui l’Amministrazione è obbligata a rendere disponibile al contribuente la documentazione attinente alla gestione del rapporto d’imposta, ciò che si era appunto verificato nella fattispecie in esame.

In conclusione e al di là degli specifici casi processuali, si può dunque evidenziare che il diritto di accesso prevale sull’esigenza di riservatezza di ogni eventuale terzo ogniqualvolta l’accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente (conf., C.d.S., Sez.6, Sentenze n. 5362 del 29/07/2004 e n. 4436 del 31/07/2003).

L’art. 24 della legge n. 241 del 1990, come visto, stabilisce però espressamente l’esclusione dell’accesso agli atti nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano.

Ne consegue allora che, vigente il principio di specialità, occorre fare di volta in volta riferimento alle relative disposizioni normative “di settore”.

In particolare allora, quanto ai procedimenti tributari concernenti l’emissione dell’atto di accertamento (inteso come provvedimento finale), la conoscenza degli elementi a sostegno della pretesa impositiva dovrebbe essere assicurata e garantita dall’obbligo di motivazione, essenziale per la stessa validità del provvedimento, fatta salva la conoscibilità degli atti richiamati nel provvedimento finale. Principio generale, ormai acquisito tra le disposizioni dello Statuto e che dunque vale come lex specialis anche in ambito tributario.

Sono invece da ritenere senz’altro esclusi dal diritto di accesso la documentazione relativa a corrispondenza epistolare, atti, consulenze, pareri resi fra le unità organizzative interne dell’Amministrazione.

L’art. 12 dello stesso Statuto del Contribuente, inoltre, dispone che il contribuente ha il diritto di essere informato delle ragioni che giustificano le verifiche fiscali.

In tema di accesso agli atti, la preclusione inerente gli atti del procedimento tributario deve essere quindi intesa in senso relativo.

Ciò nonostante, però, è pur sempre necessario che, versandosi in tema di accesso di atti relativi al richiedente, ma anche, eventualmente, a soggetti terzi, il richiedente segnali e specifichi la consistenza del proprio interesse all’accesso, indicando le ragioni per le quali ritiene che l’acquisizione di determinati atti potrebbe essergli utile (non indispensabile) a fini difensivi, in quanto la pendenza di un contenzioso tributario non determina l’automatica insorgenza di una generalizzata legittimazione del contribuente interessato a conoscere ogni e qualsiasi atti posto in essere dall’Amministrazione tributaria (cfr., Tar Lazio, Sez. 3, Sent. n. 7511/14).

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