Versamento tardivo delle imposte: la sanzione si calcola solo sulla maggiorazione non versata

Versamento tardivo delle imposte: la sanzione si calcola solo sulla maggiorazione non versata. La percentuale dello 0,40% ha natura di interessi corrispettivi dell'imposta dovuta a favore dell'erario e l'omesso versamento solo di questa parte non determina la decadenza dal termine prorogato. A stabilirlo è l'Ordinanza della Corte di Cassazione numero 16645 del 4 agosto 2020.

Versamento tardivo delle imposte: la sanzione si calcola solo sulla maggiorazione non versata

La maggiorazione dello 0,40%, dovuta in caso di versamento delle imposte dirette e dell’IRAP entro trenta giorni dalla scadenza del termine di legge, ha natura di interessi corrispettivi dell’imposta dovuta a favore dell’erario, sicché l’omesso versamento della sola maggiorazione del termine dilatorio previsto dal Legislatore fiscale non determina la decadenza dal termine prorogato.

Di conseguenza la sanzione per tardivo versamento non deve essere calcolata sull’intera imposta dovuta ma solo sulla maggiorazione non versata.

Sono queste le interessanti conclusioni contenute nell’Ordinanza della corte di cassazione numero 16645 del 4 agosto 2020.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 16645 del 4 agosto 2020
Versamento tardivo delle imposte: la sanzione si calcola solo sulla maggiorazione non versata.

La decisione – La controversia trae origine dal contenzioso instaurato da una società avverso una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato.

Nell’atto de qua, atteso il tardivo pagamento del primo acconto Irap per l’anno d’imposta 2004 avvenuto il giorno successivo alla scadenza prevista per legge senza il contestuale versamento della maggiorazione del 0,40%, l’ente impositore aveva irrogato ed iscritto a ruolo la sanzione del 30% dell’intera imposta tardivamente corrisposta.

La società contestava la determinazione del quantum della sanzione, commisurata all’intero importo dell’acconto dovuto e tardivamente versato, invece che alla sola maggiorazione dello 0,40% dell’imposta stessa.

La CTP accoglieva il ricorso, ma la sentenza veniva riformata in sede d’appello.

Avverso tale decisione la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 17 d.P.R. n. 435 del 2001 perché la norma, nel consentire il pagamento differito, nei trenta giorni successivi alla scadenza, con la sola aggiunta della maggiorazione dello 0,40%, “esclude che il versamento sia da considerare tardivo, da cui la rilevanza, ai fini della sanzione, del solo importo (lo 0,40°/o) in concreto non versato”.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di doglianza della società e, decidendo nel merito, ha accolto l’originario ricorso della contribuente.

La decisione della cassazione parte dall’assunto che il versamento dell’acconto senza maggiorazione, tardivamente effettuato entro trenta giorni dalla scadenza di legge, deve ritenersi regolarmente assolto, non essendo condizionato dalla corresponsione della maggiorazione medesima.

In altre parole non è condivisibile la posizione dei giudici di merito secondo cui, in mancanza della maggiorazione dello 0,40%, “né il pagamento è regolare, né si perfeziona la fattispecie di «sanatoria», sicché la situazione realizzerebbe solo una tardiva inottemperanza dell’obbligo fiscale, da cui la sanzione ex art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 ancorata all’intera somma versata oltre il termine originariamente previsto”.

L’art. 17, co. 2 d.P.R. n. 435 del 2001, nel testo vigente ratione temporis, prevedeva che i versamenti dell’imposta derivanti dalla dichiarazione delle imposte sui redditi e sull’IRAP potevano essere effettuati “entro il trentesimo giorno successivo ai termini ivi previsti, maggiorando le somme da versare dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo”.

La disposizione, quindi, con riferimento al medesimo tributo, prevede due distinti termini per l’adempimento, che si diversificano solo per il riconoscimento a favore dell’Ufficio degli interessi maturati, determinati in via forfettaria.

Ne consegue, pertanto, “che il riconoscimento degli interessi non integra nell’economia della disposizione una “condizione” per accedere al secondo termine ma solo il «corrispettivo» riconosciuto all’Ufficio a fronte del “vantaggio” per il contribuente individuato nel maggiore periodo concesso per il pagamento (nonché, correlativamente, della più lunga disponibilità di una somma spettante all’erario)”.

D’altronde, la disciplina sul versamento dell’imposta non prevede l’omesso versamento della maggiorazione come specifica causa di decadenza dal beneficio dell’estensione del termine.

Ne deriva, quindi, che il pagamento operato nei trenta giorni successivi alla prima scadenza è, in ogni caso, tempestivo, integrando l’omesso versamento della maggiorazione solo un’ipotesi di pagamento parziale, con riflessi sulla determinazione della sanzione.

A riguardo la sanzione prevista dall’art. 13, co. 1, d.lgs. n. 471 del 1997, per cui chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, deve essere calcolata sulla sola differenza tra quanto versato (nella specie, l’importo originario dell’imposta) nel termine differito e quanto dovuto (l’importo dell’imposta più la maggiorazione).

I giudici della Corte di cassazione hanno concluso dichiarando il seguente principio di diritto: “la maggiorazione di cui all’art. 17, comma 2, d.P.R. n. 435 del 2001, ratione temporis applicabile, ha natura di interessi corrispettivi dell’imposta dovuta a favore dell’erario a fronte del maggior periodo di giorni 30 concesso al contribuente per il pagamento, sicché l’omesso versamento della sola maggiorazione nel più lungo termine costituisce pagamento parziale ma non determina la decadenza dal termine prorogato”.

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