Non si può riqualificare come terreno edificabile il fabbricato da demolire

Gianfranco Antico - Imposte di registro, ipotecarie e catastali

Il fabbricato da demolire che viene venduto con annessa area pertinenziale non può essere considerato terreno edificabile e, di conseguenza, l'operazione va qualificata come cessione di fabbricato, con tutte le relative conseguenze fiscali. In questa guida completa Gianfranco Antico ci spiega tutti i passaggi giuridici, tecnici ed operativi per il corretto inquadramento fiscale dell'operazione

Non si può riqualificare come terreno edificabile il fabbricato da demolire

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 14004/2023, ha confermato che il fabbricato da demolire non è riqualificabile come terreno edificabile attraverso l’articolo 20 del T.U. numero 131/86.

L’Agenzia delle Entrate, nel caso considerato dall’ordinanza, ha riqualificato la compravendita intervenuta tra le parti, avente ad oggetto un edificio destinato ad albergo, in compravendita di terreno edificabile, con determinazione di una maggiore imposta, valorizzando, ai fini interpretativi, alcuni comportamenti delle parti anteriori e successivi alla conclusione del contratto (in particolare, la richiesta di permesso di costruire da parte dell’alienante, con previsione della demolizione e ricostruzione del fabbricato).

L’articolo 20 del testo unico in materia di imposta di registro - Dpr 131/1986

La Corte di Cassazione prende le mosse dall’articolo 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, che anteriormente alle modifiche ad esso apportate con la Legge di Bilancio 2018, prevedeva che:

“l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”

Secondo un primo orientamento la disposizione richiamata richiedeva che ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro si dovesse avere riguardo precipuamente al contenuto delle clausole negoziali e agli effetti giuridici dell’atto soggetto a registrazione, indipendentemente dal nomen iuris ad esso attribuito e aldilà dalla volontà delle parti, a nulla rilevando gli effetti economici di tale atto e gli elementi esterni all’atto stesso (Cass. n. 25005 del 2016; Cass. 2054 del 2017, Cass. n. 11959 del 1993, Cass. n. 75 del 1997).

Negli ultimi quindici anni, tuttavia, si era formato un filone giurisprudenziale, secondo cui tale norma aveva una portata più ampia, dandosi rilievo, ai fini della determinazione dell’imposta applicabile, all’intera operazione economica realizzata mediante il collegamento dell’atto sottoposto a registrazione con elementi extratestuali.

In un primo momento, la prevalente giurisprudenza di legittimità faceva riferimento alla portata essenzialmente antielusiva dell’articolo 20 del T.U.R. (testo unico imposta di registro), il quale, pertanto, aveva una funzione analoga a quella dell’oggi abrogato art. 37 bis d.P.R. n. 600/1973 (per approfondire si vedano: Cass. n. 14900/2001, n. 10273/2007, n. 6835/2013).

Questa impostazione venne successivamente abbandonata, sicché l’articolo 20 T.U.R. non veniva più ritenuto espressione di una clausola antielusiva, anche se la norma poteva consentire, comunque, di oltrepassare il nomen iuris e gli effetti negoziali dell’atto sottoposto a registrazione, per ricostruire la “causa reale” dell’intera operazione economica realizzata.

L’articolo 20 del testo unico dell’imposta di registro come disposizione di identificazione dell’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario

Pertanto, l’art. 20 T.U.R. non era solo “una norma interpretativa degli atti registrati”, ma una

“disposizione intesa ad identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario” ( Cass. n. 25001/2015)

che imponeva di dare rilevanza principale nell’imposizione di un negozio giuridico, alla causa reale e alla regolazione degli interessi realmente perseguita dalle parti anche se attraverso ulteriori accordi extratestuali, prescindendo però da “intenti elusivi” che potevano eventualmente ricorrere ( Cass. n. 7335 del 2014, Cass. n. 19752 del 2013).

Quindi l’art. 20 T.U.R. aveva natura di regola interpretativa e non di norma antielusiva, sicché l’Amministrazione finanziaria poteva procedere alla riqualificazione del negozio senza necessità di un previo contraddittorio endoprocedimentale (Cass. n. 8619 del 2018).

Sulla base di questo indirizzo, ampiamente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, veniva sottoposto ad imposizione non già l’atto in sé, ma l’intera operazione economica che l’atto intendeva realizzare, operazione che veniva individuata anche mediante il collegamento negoziale con elementi extratestuali alla luce dell’obiettivo economico concretamente perseguito e delle intenzioni delle parti.

Si riteneva, infatti, che:

“In tema di imposta di registro, l’articolo 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 (nella formulazione anteriore alla Legge numero 205/2017), deve essere inteso nel senso che, nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, l’Ufficio è tenuto ad attribuire rilievo preminente alla causa reale del negozio, ovvero alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali tra loro collegate”

Nel caso di specie, in applicazione del principio, la Corte di Cassazione ha ritenuto configurabile una cessione d’azienda nell’ipotesi di conferimento societario di un’azienda e di successiva cessione da parte del conferente a soggetti tersi delle quote della società, avendo riguardo alla vicinanza temporale degli atti (Cass. n. 13610 del 2018).

Le novità introdotte dalla Legge numero 205/2017 - Legge di Bilancio per l’anno 2018

Il Legislatore è, poi, intervenuto con l’art. 1, comma 87, della Legge numero 205/2017 (Legge di bilancio 2018), disposizione che ha apportato significative modifiche agli artt. 20 e 53 bis del d.P.R. n. 131 del 1986 (T.U.R.), rubricati rispettivamente:

  • “interpretazione degli atti”;
  • e “attribuzioni e poteri degli Uffici”;
  • vietando espressamente di utilizzare elementi estranei all’atto ai fini dell’interpretazione di quest’ultimo.

La conseguenza dell’intervento legislativo ha determinato:

l’impossibilità di utilizzare, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, l’art. 20 T.U.R. quale parametro per risolvere le eventuali discrepanze tra effetti negoziali ed gli effetti sostanziali dell’atto da registrare

L’articolo 20 T.U.R., infatti, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge Bilancio 2018, attualmente recita

“L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”

La Corte di cassazione, con indirizzo ampiamente condiviso, ha negato la natura interpretativa delle modifiche introdotte (ex plurimis v. Cass. n. 4407 del 2018; Cass. n. 4589 del 2019) dalla legge di Bilancio 2018 per due ordini di ragioni:

  • non vi sarebbe stata una esplicita previsione dell’efficacia retroattiva all’interno della norma stessa;
  • in ragione della mancanza di “adeguati motivi di interesse generale” per giustificare la retroattività della disposizione.

Come superare le difficoltà della retroattività della novità normativa

Il Legislatore, quindi, è intervenuto per superare le difficoltà interpretative della giurisprudenza in ordine alla retroattività della novità legislativa, affermando la natura di interpretazione autentica delle modifiche normative introdotte nel 2017 ed, in particolare, con l’art. 1, comma 1084, l. 145 del 2018 (Legge di bilancio previsionale per l’anno 2019) precisando:

“l’art. 1, comma 87, lettera a) della legge 205/2017, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131”

così definitivamente concludendo per portata pienamente retroattiva della norma.

A seguito dell’intervento legislativo, la Cassazione, con ordinanza n. 23549/2019, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale dell’art. 20 del T.U.R., ritenendo che tale norma, come modificata dalle leggi di Bilancio 2018 e 2019, contrastasse con l’articolo 53 e l’articolo 3 della Costituzione.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 158/2020, con riferimento alle argomentazioni espresse con la suddetta ordinanza, è intervenuta ad escludere i denunciati rilievi di incostituzionalità della Legge 145/2018, precisando che con riferimento all’art. 10 bis della Legge 212/2000 - lo Statuto dei Diritti del Contribuente - il ricorso alla “causa reale”, tassando un negozio diverso da quello posto in essere, si sostanzierebbe in una applicazione antielusiva dell’art. 20 T.U.R., senza tuttavia che possano trovare applicazione le garanzie proprie dell’articolo 10 bis.

La Consulta ha rilevato che l’art. 20 T.U.R., nell’attuale formulazione censurata, dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo l’intrinseca natura e secondo gli effetti giuridici dell’atto da registrare, indipendentemente dal titolo o dalla forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso (intesi quali effetti giuridici del negozio veicolato in un documento) prescindendo da quelli “extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

La Corte, infatti, afferma

“Va però preliminarmente ribadito che il senso fatto palese dal significato proprio delle parole della disposizione denunciata (secondo la loro connessione), i correlativi lavori preparatori (in particolare la relazione illustrativa all’art. 1, comma 87, della legge n. 25 del 2017) e tutti i comuni criteri ermeneutici (in particolare quello sistematico) convergono unicamente nel far ritenere la disposizione oggetto delle questioni come intesa a imporre che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi del medesimo d.P.R. n. 131 del 1986” (Corte cost. n. 158 del 2020)

Osserva la Corte, nella pronuncia numero 14004/2023, che i principi espressi dalla Consulta sono stati condivisi dall’Agenzia delle entrate nella risposta all’interpello n. 371/2020, riguardo a fattispecie relativa all’applicazione dell’art. 20 T.U.R. in ipotesi di conferimento di ramo d’azienda seguito da cessione della partecipazione.

Venendo all’esame della fattispecie negoziale per cui è causa, sulla base dei rilievi espressi

“devono essere condivise le conclusioni a cui è giunta la Commissione Tributaria Regionale, essendo chiara la statuizione dell’art. 20 T.U.R., come recentemente interpretata dalla Consulta, secondo cui l’imposta di registro va applicata in relazione all’intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto da registrare, indipendentemente dal titolo o dalla forma apparente, prendendo in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso (intesi quali effetti giuridici del negozio veicolato in un documento) prescindendo da quelli “extratestuali e dagli atti ad esso collegati”

Non può, pertanto, procedersi - come pretende di fare l’Agenzia delle Entrate – all’interpretazione del contratto concluso in base ad elementi extra-testuali, quali il comportamento delle parti anteriore o successivo alla stipulazione del contratto, che sono rilevanti ai fini dell’interpretazione civilistica del contratto, ma non anche, all’esito della novella, ai fini dell’interpretazione imposta dal diritto tributario per l’applicazione dell’imposta di registro.

Un eventuale collegamento negoziale con altri atti, così come gli eventuali elementi extra-testuali, possono assumere rilievo solo ed esclusivamente ai sensi dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, con le relative garanzie procedurali e previa dimostrazione dei relativi presupposti applicativi.

Possibilità che consente di superare anche i dubbi di compatibilità dell’attuale formulazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 con la normativa comunitaria.

Brevi note tecniche ed operative

Al di là della questione specifica esaminata dalla Corte nella pronuncia n. 1400/2023 -che di fatto autorizza la rettifica nell’ambito della contestazione dell’abuso del diritto e non attraverso l’art. 20, del TUR - le controversie concernenti l’impugnazione di avvisi di accertamento con i quali gli Uffici accertano la plusvalenza ai fini IRPEF nei confronti del venditore persona fisica, parificando la cessione di un fabbricato da demolire alla cessione di area edificabile, continuano ad essere sotto esame da parte dei giudici.

Per la Cassazione - ordinanza n. 15920/2017 - la norma, ai fini reddituali, tassa le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione

“non anche di terreni sui quali insiste un fabbricato, ancorché, come nella specie, le parti ne abbiano previsto la demolizione unitamente alla successiva edificazione, da parte dell’acquirente, di un nuovo immobile da trasferire in proprietà dell’alienante, non potendo la potenzialità edificatoria dipendere da elementi la cui realizzazione è futura ed eventuale, rimessa, peraltro, ad un soggetto diverso da quello interessato dall’imposizione” (sentenza numero 4361 del 20 febbraio 2017; sentenza numero 7853 del 20 aprile 2016)

Il “cambio di passo” dell’Agenzia delle Entrate

Ora, se ai fini dell’imposta di registro occorre tenere conto della riformulazione normativa, che impone anche per i casi in questione l’eventuale strada dell’abuso del diritto, il contenzioso tra Fisco e contribuenti sulla riqualificazione ai fini Irpef della cessione di edifici da demolire, considerata cessione di area edificabile piuttosto che cessione di fabbricato, continuava a proliferare.

Anche perché detta riqualificazione operata ai fini reddituali è stata spesso alimentata dalle rettifiche operate ai fini dell’imposta di registro, ante Legge di Stabilità 2018.

Tuttavia, sul punto, va registrato un decisivo cambio di passo dell’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello numero 312 del 4 settembre 2020, dove ha evidenziato che la circolare numero 23/E del 2020 ha considerato superate le indicazioni contenute nella risoluzione numero 395/E del 2008.

Articolo 11 Statuto dei diritti del Contribuente e articolo 67 del TUIR
Risposta all’interpello dell’Agenzia delle Entrate in materia di qualificazione fiscale dell’atto di cessione del fabbricato alla cessione di terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria ed eventuale conseguente generazione di plusvalenza imponibile
Trattamento fiscale delle plusvalenze derivanti dalla cessione di fabbricati cd "da demolire
Circolare numero 23/E del 29 luglio 2020
Cessione di fabbricati e terreni rientranti in un piano di recupero - art. 67 comma 1 del Tuir
Risoluzione Agenzia delle Entrate numero 395 del 22 ottobre 2008

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