Tecniche retoriche nell’ambito del processo tributario

Giovambattista Palumbo - Leggi e prassi

Tecniche di udienza, processuali e retoriche nell'ambito del processo tributario: dai precedenti giurisprudenziali all'importanza dell'ascolto

Tecniche retoriche nell'ambito del processo tributario

Il buon esito di un giudizio dipende da tanti fattori. Tra questi assumono un ruolo fondamentale anche le tecniche processuali e retoriche, sia in relazione alla redazione (e lettura) degli atti che nell’ambito dello svolgimento della pubblica udienza.

Soffermandoci in questa sede sulla partecipazione alla pubblica udienza, la stessa è infatti forse il momento centrale dell’intero processo, rappresentando la sede privilegiata per esporre al meglio le proprie ragioni (difensive o accusatorie).

E nel farlo anche l’utilizzo di alcuni “trucchetti”, naturalmente pur sempre nella correttezza giuridica e deontologica dei rapporti tra le parti, possono senza dubbio influire sull’esito del giudizio.

Tecniche retoriche e processuali: dai precedenti giurisprudenziali ai messaggi non verbali

Nel gioco delle parti, ad esempio, potrà senz’altro avere particolare efficacia la produzione in aula di precedenti giurisprudenziali (preferibilmente di legittimità, oppure di merito ma sulla stessa vicenda in giudizio e magari ad opera della stessa Commissione) che confermino la tesi sostenute.

Nella pubblica udienza, inoltre, la messa in opera di vere e proprie tecniche retoriche di “persuasione”, che spesso fanno la differenza tra un bravo, ma “opaco”, difensore e un brillante (e soprattutto efficace) difensore, possono determinare la vittoria o la sconfitta.

In tal senso le tecniche di comunicazione forense possono essere utili non solo a convincere il giudice della bontà delle proprie tesi, ma anche a comprendere le contromosse altrui, in modo da prevenirle, o comunque contrastarle con successo.

Anche l’osservazione della controparte può servire del resto a capire quali possono essere i punti deboli della sua difesa e quali invece i punti di forza da evitare, o comunque cercare di sottovalutare; così come l’osservazione delle reazioni del giudice alle nostre argomentazioni può servire a capire su quali tesi insistere di più (perché risultano al giudice “gradite”) e su quali invece insistere di meno (o proprio lasciar perdere).

Bisogna del resto essere sempre consapevoli che la verità in ordine a ciò che stiamo dicendo, al di là delle parole, traspare anche dai messaggi non verbali che trasmettiamo all’esterno (il nostro inconscio in sostanza non riesce a dire bugie): alcuni oratori messi davanti ad una telecamera a simulare una pubblica udienza, nel sostenere tesi in cui non credevano, facevano segno di no con la testa o con le mani; anche se tali segnali sono impercettibili ad occhio nudo (vedendosi soltanto con la telecamera al rallentatore), vengono comunque recepiti dal subconscio del giudice, che, senza sapere perché, avrà comunque la sensazione che ciò che stiamo dicendo non sia vero.

La prima regola di ogni dialogo (e tanto più di quello processuale) è comunque quella di non annoiare il proprio interlocutore.

Una delle prime regole che pertanto deve caratterizzare la comunicazione forense è quella della sinteticità, dovendosi evitare di:

  • parlare troppo a lungo;
  • girare intorno al punto.

Sarà invece necessario supportare la propria posizione fornendo fatti, informazioni e ragionamenti, senza esagerare con le argomentazioni e lasciando in particolare da parte quelle più deboli, le quali, invece che convincere “meno”, possono per converso ed automaticamente far apparire più corrette le tesi della controparte: il ragionamento in sostanza è che se sono deboli le tesi di una parte sono necessariamente forti quelle della controparte.

Non bisogna del resto mai dimenticare che dieci ottime argomentazioni attireranno sempre meno l’attenzione di una sola argomentazione “sbagliata”: l’essere umano tende infatti sempre a ricercare il punto debole.

Tecniche retoriche e processuali in ambito tributario: anche l’ascolto ha il suo peso

Anche l’ascolto, d’altro canto, non deve mai essere solo passivo, ma anche attivo.

Ascoltare l’interlocutore è infatti il primo metodo di indagine al fine di un’efficiente elaborazione della propria risposta.

Oltre che una regola di educazione e correttezza professionale, inoltre, mostrare attenzione per l’esposizione della controparte (e soprattutto non interromperla mai e permettere che esaurisca sempre il proprio discorso) rappresenta anche una buona presentazione verso il giudice.

Così, nell’esposizione delle proprie tesi, si potrà poi riassumere quanto detto dalla parte, cercando magari di darne un’interpretazione a proprio favore (non esistono infatti argomenti più forti che quelli usati dalla controparte, se servono a corroborare le nostre tesi).

Per fare una buona pubblica udienza è necessario in ogni caso essere consapevoli delle proprie capacità:

  • delle reali capacità di comunicazione in pubblico;
  • delle abilità comunicative da acquisire;
  • delle abilità comunicative da migliorare;
  • delle differenze sostanziali tra la realtà oggettiva e la nostra rappresentazione mentale della realtà.

Solo essendo consapevoli dei nostri punti di forza li si potrà sfruttare. Solo essendo consapevoli dei nostri punti di debolezza li si potrà superare.

E infine la regola principale: bisogna sempre ricordarsi che non stiamo parlando per far vedere quanto siamo bravi.

Non stiamo parlando per ripetere quanto già abbondantemente scritto nei propri atti.
Il solo ed unico scopo della pubblica udienza è convincere il giudice.

La strategia di udienza dovrà quindi essere finalizzata a questo obiettivo, valorizzando come detto i punti di forza delle nostre tesi, e facendolo in modo sintetico e chiaro.

Poi, certo, avere ragione o torto nel merito…potrebbe anche aiutare.

Questo sito contribuisce all'audience di Logo Evolution adv Network