La tassazione delle indennità per occupazione abusiva

Giovambattista Palumbo - Dichiarazione dei redditi

Tassazione indennità di esproprio: qualora il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l'occupazione acquisitiva siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l'entrata in vigore della L. n. 413/1991, la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento dell'indennizzo

La tassazione delle indennità per occupazione abusiva

Diversa giurisprudenza recente - si veda su tutte la sentenza n. 21841/2021 della Corte di Cassazione - ha chiarito le modalità di tassazione dell’indennità di occupazione illegittima di un terreno, nella misura del 20 per cento, ai sensi della L. 413/1991, art. 11.

Nel caso che approfondiamo oggi, a sostegno della richiesta di rimborso, i ricorrenti sostenevano che il presupposto impositivo e cioè il trasferimento del terreno si era verificato, per occupazione acquisitiva, prima della entrata in vigore delle disposizioni che assoggettavano a prelievo fiscale l’indennità di esproprio.

Il concetto di occupazione abusiva

Per capire i profili della questione, bisogna però fare prima una breve premessa sul concetto di occupazione acquisitiva, come nel tempo formulato dalla giurisprudenza.

Pur in assenza di un regolare decreto di esproprio e di una legittima procedura di occupazione del bene, la giurisprudenza ha infatti per molto tempo affermato che, ove l’Amministrazione avesse costruito un’opera pubblica sul bene del privato, si determinava l’acquisto della proprietà del terreno del privato in capo all’ente costruttore, laddove, in sostanza, il trasferimento del diritto di proprietà si realizzava con l’irreversibile trasformazione del fondo con destinazione ad opera o ad uso pubblico.

In tal caso, pertanto, il proprietario poteva chiedere unicamente la tutela per equivalente, e cioè il risarcimento del danno.

Questi principi sono stati però poi successivamente abbandonati alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha censurato questo istituto, affermando che l’occupazione e la manipolazione di un bene immobile privato da parte dell’Amministrazione, in assenza di atti espropriativi legittimi, costituiscono un illecito di diritto comune, ritenuto insuscettibile di determinare il trasferimento della proprietà, pur mantenendo il bene nella propria disponibilità e destinandolo in modo definitivo ed irreversibile ad un fine pubblico.

Questo non comporta però che alla pubblica amministrazione sia consentito invocare il mancato formale trasferimento della proprietà del bene illegittimamente occupato per negare al privato il risarcimento del danno.

Il caso affrontato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 21841 del 30 luglio 2021

Tanto premesso in termini generali, venendo al caso in esame, i contribuenti avevano chiesto il rimborso della somma che il Comune, nel corrispondere l’indennità di occupazione illegittima del terreno e risarcimento danni, dovuta come da condanna del Tribunale, aveva trattenuto, nella detta misura del 20 per cento, ai sensi della L. 413/1991, art 11, versandola all’Agenzia delle Entrate.

A sostegno della richiesta di rimborso, come detto, i contribuenti deducevano, tra le altre, che il presupposto impositivo e cioè il trasferimento del terreno si era verificato, per occupazione acquisitiva, prima della entrata in vigore delle disposizioni che assoggettavano a prelievo fiscale l’indennità.

Il ricorso veniva accolto in primo grado.

Il Comune e l’Agenzia delle Entrate proponevano quindi appello, ritenendo erronea la decisione nella parte in cui aveva ritenuto che il presupposto impositivo fosse maturato al momento dell’acquisto della proprietà da parte dell’ente.

La Commissione Tributaria Regionale accoglieva tuttavia l’appello dell’Ufficio, rilevando che era sufficiente che la percezione della somma che realizzava la plusvalenza fosse avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge 413/1991 (principio di cassa), a nulla valendo che il trasferimento del bene fosse avvenuto precedentemente.

Avverso tale sentenza i contribuenti proponevano infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, che la sentenza resa dal Tribunale, in esecuzione della quale essi avevano percepito le somme sottoposte a tassazione, aveva accertato che il trasferimento della proprietà in favore dell’ente era avvenuto nel 1984.

Il giudice tributario di primo grado, sulla scorta di detto accertamento, aveva dunque rilevato che il momento traslativo della proprietà era avvenuto in epoca molto anteriore all’entrata in vigore della legge 413/1991 e che vi era poi stato un ingiustificato ritardo nel pagamento, addebitabile alla pubblica amministrazione.

Evidenziavano quindi i ricorrenti che il principio di cassa, in applicazione del quale il giudice d’appello aveva riformato la sentenza di primo grado, subiva, in questo caso, una eccezione, avendo dunque errato il giudice di secondo grado ad accogliere l’appello dell’Agenzia e del Comune.

L’Amministrazione finanziaria insisteva invece sull’applicazione del principio di cassa e il Comune deduceva che non vi era stato alcun colpevole ritardo, in quanto l’ente aveva erogato il pagamento subito dopo la pubblicazione della sentenza che aveva accertato l’accessione invertita.

Il Comune chiedeva dunque che la Corte facesse chiarezza su quale fosse l’arco temporale oltre il quale il ritardo nel pagamento poteva essere ritenuto ingiustificato e se nel caso di occupazione appropriativa dovesse farsi riferimento all’epoca dell’estinzione del diritto dominicale, o all’epoca dell’accertamento del diritto al risarcimento del danno.

Il Procuratore Generale, per conto suo, riteneva fondato il motivo di ricorso, citando la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, ai fini del prelievo fiscale di cui all’art. 11, comma 5, L. n. 413 del 1991, qualora il decreto di esproprio, la cessione volontaria, o l’occupazione acquisitiva, siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della stessa Legge, la plusvalenza, nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento dell’indennizzo, non è imponibile.

Anche secondo la Suprema Corte la censura era fondata.

La tassazione delle indennità per occupazione abusiva: la posizione della Corte di Cassazione

Evidenziano i giudici di legittimità che “In tema di imposte sui redditi, ai fini del prelievo fiscale di cui all’art. 11, comma 5, L. n. 413 del 1991, è sufficiente che la percezione della plusvalenza derivante dall’espropriazione di beni sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto precedentemente; tuttavia qualora il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 cit., la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento dell’indennizzo, ponendosi una diversa interpretazione in contrasto con i principi costituzionali e convenzionali di cui agli artt. 97, 11 comma 1, e 111, comma 1 e 2, Cost. e 1, prot. 1, CEDU, da ritenersi violati ove l’applicazione retroattiva del regime fiscale non abbia garantito quel giusto equilibrio tra l’interesse generale e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo”" (Cass., 16629/2020; Cass., 1429/2013; Cass., 265/2016).

Il giudice d’appello non aveva dunque tenuto conto di questo principio, né aveva valutato in alcun modo la sussistenza di un ingiustificato ritardo nel pagamento da parte dell’Amministrazione, pur essendo la vicenda facilmente ricostruibile tramite l’esame della sentenza del Tribunale, che aveva applicato il principio dell’accessione invertita individuando il momento traslativo della proprietà, correlato alla irreversibile trasformazione del fondo, nella data del 15 dicembre 1984.

La Corte rileva del resto, a tal proposito, che non è mai stato in dubbio, sia nel periodo in cui si applicava il principio dell’accessione invertita, sia, ed a maggior ragione, dopo l’intervento della Corte Edu in materia, che il comportamento dell’Amministrazione, che occupi un bene pubblico con un titolo non regolare e che proceda in via di fatto a costruire un’opera pubblica senza emettere decreto di esproprio, integri un atto illecito di diritto comune.

E trattandosi di un atto illecito si applica allora la regola (art. 1219 c.c., comma 2) secondo cui il debitore è costituito in mora dal giorno dell’illecito, dovendo egli immediatamente risarcire il danno.

Pertanto, la difesa del Comune, che riteneva “incolpevole” il comportamento di attesa della sentenza di primo grado, appariva priva di consistenza, poiché all’ente non poteva sfuggire se l’opera che stava costruendo sul suolo privato fosse assistita o meno da legittimi atti della procedura espropriativa.

Né assumeva del resto rilievo la circostanza che, come detto, oggi non si applichi più il principio dell’accessione invertita, poiché all’epoca esso costituiva invece diritto vivente ed era quindi prevedibile dalle parti l’esito della contesa.

E, comunque, in ogni caso, rileva la Cassazione, la maturazione del diritto del privato al risarcimento del danno si riconnette al fatto e cioè all’atto illecito e non già al suo (ritenuto) effetto traslativo. Ciò anche in conformità alla giurisprudenza della Corte Edu, la quale ha osservato che il risarcimento rischia di perdere adeguatezza se il pagamento prescinde da elementi che possano ridurne il valore, quali il decorso di un considerevole lasso di tempo (Corte Edu, Grande Camera, Guiso- Gallisay c. Italia, Ricorso n. 58858/00, 22 dicembre 2009 § 105).

La sentenza del Tribunale, passata in giudicato, faceva quindi stato su tutti i fatti in essa accertati e tra questi anche riguardo alla data in cui era maturato il credito dei privati.

A tale data e solo a tale data bisognava quindi fare riferimento nell’individuare la disciplina fiscale applicabile ratione temporis.

A prescindere dallo specifico caso processuale, in termini più generali, giova dunque anche evidenziare quanto segue.

Pur non rimettendosi in discussione, quale momento rilevante ai fini della tassabilità, il criterio della percezione delle indennità, in qualità di redditi diversi, a prescindere dalla eventuale anteriorità del titolo che le ha generate, la Cassazione evidenzia, in sostanza, come si debbano comunque considerare eventuali situazioni peculiari, connotate da un ingiustificato ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nella corresponsione della stessa indennità, che abbia cagionato al soggetto espropriato un danno in conseguenza della modifica normativa nel frattempo intervenuta; danno che non avrebbe subito ove il pagamento fosse avvenuto nel termine “ragionevole” di definizione dei procedimenti amministrativi.

Una diversa interpretazione risulterebbe del resto in contrasto con i principi costituzionali:

  • di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), non potendosi consentire che lo Stato, nella sua veste di debitore, possa trarre vantaggio dal proprio inadempimento, costituito dall’aver tardato ingiustificatamente di corrispondere il dovuto;
  • del giusto processo e della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), dovendosi evitare che il contribuente, già danneggiato dal comportamento dilatorio della P.A., sia poi anche sottoposto ad ulteriori oneri fiscali.

Con l’art.11 della L. n. 413 del 1991, che ha modificato l’art. 81, 1° comma, lett. b) del Tuir (all’epoca norma di riferimento in materia di redditi diversi, ora disciplinati dagli artt. 67 e ss.), del resto, come visto, il legislatore ha deciso di assoggettare all’imposta personale sui redditi, le plusvalenze conseguenti alla percezione di indennità di esproprio o di somme comunque percepite nel corso di procedimenti espropriativi e acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime.

Sotto il profilo dell’imposizione, le plusvalenze connesse ad indennità di esproprio si inquadrano peraltro nella disciplina dei redditi diversi, dovendosi quindi applicare i canoni interpretativi connessi alle fattispecie che delimitano tale categoria reddituale.

In questa ottica, dalla lettura dell’art. 67 citato, emerge che le plusvalenze non d’impresa, per assumere rilevanza ai fini impositivi, devono essere “realizzate”.

Il riferimento alla realizzazione operato dalla norma serve per individuare il momento in cui la plusvalenza viene materialmente ad esistenza, che è però indipendente da quello in cui assume rilevanza per il prelievo.

Il legislatore, introducendo il criterio di cassa per la tassazione delle plusvalenze non d’impresa, ha infatti operato una scelta chiara: indipendentemente dal momento in cui è venuta ad esistenza la plusvalenza (realizzazione), essa viene colpita dal prelievo nel periodo d’imposta in cui è si è verificata la percezione del corrispettivo.

Ma se tale momento viene artatamente rinviato, le conseguenze di tale comportamento non possono essere subite dal contribuente.

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