Taglio del cuneo fiscale strutturale? Meccanismo da rivedere: c’è un freno agli aumenti di stipendio

Rosy D’Elia - Imposte

Il taglio del cuneo fiscale e contributivo così come previsto attualmente e confermato per il 2024 nel Disegno di Legge di Bilancio non è pronto per diventare strutturale. Secondo la simulazione dell'UPB, rischia di frenare gli aumenti di stipendio: oltre la retribuzione di 35.000 euro, con un euro in più se ne perdono 1.100

Taglio del cuneo fiscale strutturale? Meccanismo da rivedere: c'è un freno agli aumenti di stipendio

Il meccanismo di calcolo alla base del taglio del cuneo fiscale e contributivo attualmente in vigore, che sarà esteso al 2024 con la prossima Legge di Bilancio, rischia di frenare gli aumenti di stipendio.

La decontribuzione applicata per fasce di retribuzione e non per scaglioni può generare degli effetti distorsivi dal momento che, dopo i 35.000 euro, aggiungendo un solo euro se ne perdono 1.100.

“Nel caso di un eventuale prolungamento della misura agli anni successivi sarà necessario correggere il meccanismo di applicazione al fine di evitare penalizzazioni in sede di rinnovi contrattuali”.

Se deve diventare strutturale, deve cambiare: è questa la raccomandazione arrivata dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio nell’audizione sull’impianto della Manovra che si è tenuta presso l’Aula Convegni del Senato il 14 novembre 2023.

Taglio del cuneo fiscale: con un euro di aumento di stipendio se ne perdono 1.100

Come evidenzia il report Taxing Wages 2023 curato dall’OCSE, l’Italia con il valore del 45,9 per cento rientra tra i 5 paesi che hanno il costo del lavoro più alto.

Di un taglio del cuneo fiscale e contributivo strutturale se ne parla da anni, ce lo chiede anche l’Europa. Né i tempi, però, né i modi sono ancora maturi per adottarlo.

L’attuale meccanismo di decontribuzione, secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, deve essere rivisto. Attualmente si applica per fasce e non per scaglioni:

  • fino a 1.923 euro (circa 25.000 euro annui considerando tredici mensilità) è pari al 7 per cento;
  • aggiungendo un euro alla retribuzione e fino a 2.692 euro scende di un punto percentuale ed è pari al 6 per cento;
  • da 2.693 euro, e quindi, oltre i 35.000 euro annui è pari a zero.

Secondo le diverse simulazioni dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio senza un progressività mancano i presupposti per adottare in maniera permanente il taglio del cuneo fiscale e contributivo perché rischia di generare delle distorsioni sul mercato del lavoro.

L’aggiunta di un euro alla prima fascia di 25.000 euro annui genera una perdita di circa 150 euro all’anno, mentre fa perdere ben 1.100 euro quando si supera la seconda fascia dei 35.000 euro. Nel primo caso, infatti, il beneficio si riduce di un punto, nel secondo si perde del tutto.

Taglio del cuneo fiscale: eliminare il freno agli aumenti di stipendio

La provvisorietà del taglio del cuneo fiscale e contributivo, per ora in cantiere solo fino alla fine del 2024, rende meno preoccupate l’effetto freno su un eventuale aumento di stipendio.

Ma se adottata in maniera strutturale, una decontribuzione per fasce potrebbe avere un effetto boomerang di portata più ampia.

“Questo fenomeno assume rilevanza sostanziale qualora la decontribuzione dovesse essere trasformata da intervento temporaneo a permanente: da un lato, vi sarebbe un forte disincentivo al lavoro e, dall’altro, si renderebbe più complesso il raggiungimento degli accordi di rinnovo contrattuale, questione che assume particolare importanza in una fase di elevata inflazione”.

Si legge nel documento depositato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

Con un meccanismo di questo tipo, l’aumento di stipendio, che dal punto di vista fiscale sconterebbe già un’aliquota alta, dovrebbe anche essere così importante da compensare la perdita della decontribuzione.

Secondo le stime, nella fascia retributiva dei 35.000 euro vale la pena ottenere degli incrementi solo dai 2.000 euro in su.

In base ai dati diffusi l’11 luglio dall’OCSE, l’Italia risulta il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie: il picco dell’inflazione non ha portato a una crescita delle somme percepite e al termine del 2022, rispetto al periodo precedente la pandemia, si è registrata una riduzione del 7,5 per cento, nonostante il taglio del cuneo fiscale in versione ridotta sia stato già adottato dalla seconda parte del 2021.

Questo tipo di decontribuzione che pure nasce per favorire le lavoratrici e i lavoratori dipendenti rischierebbe, quindi, di rallentare ulteriormente la crescita degli stipendi italiani.

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