Reperibilità del lavoratore: quando si qualifica come orario di lavoro?

Eleonora Capizzi - Leggi e prassi

La reperibilità del lavoratore rientra nell'orario lavorativo quando determina vincoli tali da pregiudicarne il tempo libero. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia con due diverse sentenze - C-344/19 e C-580/19 - pubblicate entrambe il 9 marzo del 2021.

Reperibilità del lavoratore: quando si qualifica come orario di lavoro?

Reperibilità del lavoratore: l’obbligo di rimanere a disposizione del datore di lavoro può essere considerato orario di lavoro quando determina vincoli tali da pregiudicare il tempo libero.

Questo è il principio sancito da due diverse sentenze della Corte di Giustizia Europea entrambe pubblicate il 9 marzo 2021 (C-344/19 e C-580/19). Il danno arrecato, peraltro, non ricorre quando le difficoltà di gestione del tempo libero siano causate da fattori naturali estranei al datore di lavoro o da libere scelte del lavoratore.

Per comprendere pienamente la portata di questo postulato bisogna però partire dalle vicende da cui hanno preso le mosse le pronunce citate e che hanno visto i lavoratori perdere in giudizio.

Reperibilità del lavoratore: quando si qualifica come orario di lavoro?

La Corte di Giustizia Europea, con le due sentenze del 9 marzo 2021 relative alle cause C-344/19 e C-580/19, ha affermato che un periodo di guardia o messa a disposizione del lavoratore in regime di reperibilità costituisce orario lavorativo solo se “i vincoli imposti pregiudichino in modo assai significativo la sua facoltà di gestire, nel corso di tale periodo, il proprio tempo libero”.

Corte di Giustizia Europea - sentenza causa 580/19 del 9 marzo 2021
Scarica la sentenza su obbligo di reperibilità come orario di lavoro

I lavoratori protagonisti delle vicende poste all’attenzione della Corte, infatti, ritenevano che, a causa delle restrizioni dovute alla natura della prestazione lavorativa, i loro periodi di reperibilità dovessero essere riconosciuti nella loro interezza come orario di lavoro ed essere remunerati di conseguenza, a prescindere dall’effettivo svolgimento o meno di un lavoro concreto durante gli intervalli di reperibilità.

La ragione del rigetto di entrambe le istanze, però, sta proprio nel tipo di attività lavorativa svolta dai due istanti il cui stato di reperibilità, a causa delle caratteristiche intrinseche della prestazione, va per forza ad incidere sull’organizzazione del tempo libero indipendentemente dagli obblighi imposti dal datore di lavoro.

La prima delle due cause riguardava un tecnico incaricato di assicurare il funzionamento di centri di trasmissione televisiva situati in zone montane, che, dopo aver terminato l’orario di lavoro ordinario, doveva garantire sei ore al giorno di reperibilità.

Corte di Giustizia Europea - sentenza causa 344/19 del 9 marzo 2021
Scarica la sentenza sulla reperibilità come orario lavorativo

Ore durante le quali, però, non aveva l’obbligo di restare sul posto di lavoro con l’unica incombenza di essere raggiungibile per telefono ed essere in grado di arrivare sul posto entro un’ora quando richiesto. Trattandosi, però, di area montana, l’obbligo di reperibilità gli impediva di spostarsi e di gestire liberamente il proprio tempo libero.

Il secondo lavoratore era invece un vigile del fuoco il quale era tenuto garantire dei periodi di reperibilità, in aggiunta ai normali orari di lavoro, in cui doveva mettersi a disposizione e, in caso di chiamata, essere in grado di raggiungere la stazione entro venti minuti.

Quando la reperibilità è orario di lavoro? Le motivazioni della Corte di Giustizia

La Corte di Giustizia Europea ha, come anticipato, rigettato le richieste dei due lavoratori mettendo in chiaro che un periodo di reperibilità si qualifica come orario di lavoro solo nell’ipotesi in cui sull’addetto o sull’operatore gravi l’obbligo di rimanere sul luogo di lavoro al di fuori dell’orario ordinario, che deve essere diverso dal suo domicilio.

La Corte, peraltro, precisa che si deve fare esclusivo riferimento ai vincoli imposti al lavoratore dalla normativa nazionale, da un accordo collettivo o dal datore di lavoro e non dalle contingenze naturali, quali le asperità del territorio o la distanza dal luogo di lavoro come nei casi in esame.

Sul punto prendiamo a titolo esemplificativo la sola pronuncia riferita alla causa 344/19, che si esprime nei seguenti termini:

Un periodo di prontezza in regime di reperibilità, nel corso del quale un lavoratore debba unicamente essere raggiungibile per telefono ed essere in grado di raggiungere il proprio luogo di lavoro, in caso di necessità, entro un termine di un’ora (...) costituisce, nella sua interezza, orario di lavoro, soltanto qualora (...) i vincoli imposti a tale lavoratore durante il periodo suddetto sono di natura tale da pregiudicare (...) la facoltà per quest’ultimo di gestire liberamente, nel corso dello stesso periodo, il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti e di dedicare questo tempo ai propri interessi. Il fatto che gli immediati dintorni del luogo in questione presentino un carattere poco propizio per le attività di svago è privo di rilevanza ai fini di questa valutazione”.

In conclusione, è vero che l’obbligo di reperibilità si qualifica come orario di lavoro solo qualora sussistano vincoli tali da pregiudicare il lavoratore nella gestione del tempo libero, ma è altrettanto vero che questo pregiudizio non può derivare dalla natura dell’attività lavorativa - dal luogo di lavoro per esempio - né da scelte arbitrarie del dipendente.

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