La Corte di Cassazione, in merito ai controversi rapporti tra controlli fiscali e lettere anonime, ritiene illegittima l’autorizzazione all’accesso dell’Autorità Giudiziaria emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime
Il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo, fondato su prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’articolo 52 del DPR n. 633/1972, ha il potere-dovere di verificare la motivazione del decreto autorizzativo in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, così che deve negare la legittimità dell’autorizzazione qualora emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando consequenzialmente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove.
È questo il principio dettato dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 763/2024.
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Illegittima l’autorizzazione ai controlli fiscali da informazioni anonime: la pronuncia della Cassazione
L’Agenzia delle Entrate ha notificato ad un contribuente, nella qualità di titolare di una ditta individuale, un avviso di accertamento con cui l’Ufficio ha provveduto a riprendere a tassazione, per l’anno di imposta 2007, maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati.
La sentenza di primo grado, intervenuta a seguito del ricorso di parte, favorevole al contribuente, è stata ribaltata in appello, osservando, per quanto in questa sede ancora rileva, come, il rinvenimento di contabilità in nero legittimasse l’accertamento analitico induttivo nei confronti del contribuente fondato sui dati da quella emergenti, gravando il contribuente dell’onere della prova contraria, nella specie ritenuta non assolta, anche considerando che le attività di verifica si sono svolte:
“in presenza del legale rappresentante della società che all’esito ha sottoscritto il processo verbale di verifica, dando altresì atto di non aver nulla da eccepire sull’operato dei militari operanti.”
Da qui il ricorso di parte in Cassazione avverso tale decisione, contestando, in particolare, la “violazione dell’articolo 14 della Costituzione nonché degli articoli 33 del DPR n. 600 del 1973 e 52 del DPR 633 del 1972”, per avere la C.T.R. “indebitamente rigettato implicitamente il secondo motivo di ricorso che era stato accolto in primo grado e successivamente riproposto in sede di appello”, relativamente all’assunta illegittimità del provvedimento autorizzatorio del P.M., a monte, ed alla conseguente inutilizzabilità, a valle ed ai fini della ricostruzione del reddito, della documentazione recuperata presso l’abitazione di un soggetto terzo.
Ossservano gli Ermellini che la C.T.R., lungi dall’omettere di motivare avuto riguardo alla utilizzabilità delle prove acquisite per effetto dell’accesso domiciliare ha, al contrario, preso posizione, sia pure implicitamente (arg. da Cass., Sez. 3, 8.5.2023, n. 12131), sul punto, dapprima riportando le difese dell’Ufficio (“la fonte anonima era stata solo innesto di una serie di verifiche e controlli che avevano evidenziato i gravi indizi di violazione della norma tributaria a carico del contribuente” ) e del contribuente (“i Giudici non potevano dare legittimità all’autorizzazione all’accesso presso le abitazioni dei contribuenti sulla scorta di fonti anonime - l’accesso non poteva essere il primo atto dopo una denuncia anonima ma occorreva un minimo di indagine e riscontro”), assumendo una decisione che:
“postulando come utilizzabile, in concreto, la contabilità in nero reperita a seguito degli accessi domiciliari in questione, necessariamente sottende, quale antecedente logico-giuridico, la risoluzione (come detto, implicita), a favore della tesi erariale, della questione «a monte», concernente la legittimità di un’autorizzazione all’accesso domiciliare sulla base di una denunzia anonima.”
Per la Corte, tuttavia, siffatta decisione si appalesa errata, essendo sufficiente richiamare il principio affermato dalle Sezioni Unite (n. 16424/2002) in base al quale (Cass., Sez. U, 21.11.2002, n. 16424, Rv. 558642-01. Cfr. anche, più recentemente, Cass., Sez. 5, 18.10.2021, n. 28651):
“il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, in tema di imposta sul valore aggiunto, reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973, ha il potere-dovere (in ossequio al canone ermeneutico secondo cui va privilegiata l’interpretazione conforme ai precetti costituzionali, nella specie agli artt. 14 e 113 Cost. ), oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione, sia pure concisa o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente, circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria: sicché, nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando consequenzialmente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove.”
Controlli fiscali e lettere anonime: la giurisprudenza
Il nostro commento non può che prendere le mosse dal pronunciamento a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sentenza n. 16424/2002, confermata anche dalla giurisprudenza successiva (ex multis, Cass. civ., 16 ottobre 2009, n. 21974), che ha ritenuto illegittima l’autorizzazione all’accesso dell’Autorità Giudiziaria emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, per i motivi qui di seguito indicati.
La notizia, verbale o scritta, di fonte non individuata e non individuabile | Non può essere considerata un indizio, neanche quando indichi articolate e dettagliate circostanze potenzialmente riferibili al contribuente segnalato, tale da poter fondare un consistente sospetto |
La segnalazione anonima, dettagliata e circoscritta | Può solo essere valutata dagli organi di controllo fiscale ai fini dell’esercizio degli ordinari poteri ispettivi, anche tramite accesso nei luoghi in cui si svolge l’attività tassabile, per cui non è necessaria la ricorrenza di gravi indizi; in quest’ultima eventualità, ove gli atti ispettivi conducano all’acquisizione di indizi, vale a dire alla cognizione di circostanze di fatto astrattamente idonee a convertire la mera ipotesi di evasione fiscale in un apprezzamento della possibilità del verificarsi di essa, si determina la facoltà di procedere all’accesso domiciliare, sempre che il Procuratore della Repubblica reputi gravi gli indizi medesimi |
Sintesi | L’accesso all’abitazione non può essere il primo atto ispettivo dopo una denunzia anonima, occorrendo un minimo d’indagine e di riscontro, per acquisire la cognizione di fatti, sia pure dotati di semplice valore indiziario (Cfr. Cass. ord. n. 1348/2019, secondo cui lo scritto anonimo, anche in assenza di un riscontro aliunde, può ben costituire l’innesco di una attività di controllo per l’assunzione di dati conoscitivi, sia in sede penale che a maggior ragione in sede tributaria, che può indurre l’Ufficio ad attivare le indagini finanziarie e sulla base degli elementi emersi notificare legittimamente degli avvisi di accertamento) |
L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prescritta in materia di IVA dall’art. 52, del D.P.R.n.633/72 e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’art.33, del D.P.R.n.600/73, può essere motivata sinteticamente, specificando comunque i gravi indizi di violazioni fiscali, senza che questi possano ravvisarsi in notizie anonime, con la conseguenza che risultano inutilizzabili ai fini dell’accertamento tributario le prove reperite nel corso della perquisizione.
Così si esprime la Corte di Cassazione nella sentenza n. 20096/2018.
Per gli Ermellini, l’analisi sulla sussistenza dei gravi indizi di violazione fiscale, rilevati ed indicati, deve essere effettuata “ex ante” con prudente apprezzamento (Cfr. Cass. sent.n.9565 del 23 aprile 2007), così da assumere il valore non di un semplice nulla-osta, bensì di provvedimento valutativo della ricorrenza dei presupposti specifici, giustificativi dell’ingresso dei verificatori nell’abitazione (Cfr. Cass. sent. n. 26829 del 18 dicembre 2014).
Per la Corte, nei casi di specie, la nozione d’indizio è ricavabile dagli artt. 2727 e ss. del cod. civ. e di conseguenza la notizia (verbale o scritta) di fonte non individuata e non individuabile non può assurgere a dignità d’indizio (“una dichiarazione senza paternità, infatti, non rende noto alcun fatto, su cui poi innestare un giudizio di verosimile accadimento di un altro fatto, e può lasciare spazio soltanto a congetture od illazioni”, così si esprimono le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 16424/2002), così che:
“l’accesso all’abitazione non può essere il primo atto ispettivo dopo una denuncia anonima, occorrendo un minimo d’indagine e di riscontro, per acquisire la cognizione di fatti, sia pure dotati di semplice valore indiziario.”
Detta interpretazione garantista non muta neanche nelle ipotesi in cui la dichiarazione anonima o confidenziale risulti a posteriori attendibile.
Il rifiuto della Corte all’ingresso autoritativo nell’abitazione del contribuente a titolo meramente esplorativo, sulla scorta di pura supposizione, induce gli stessi giudici a ritenere inutilizzabili, a sostegno dell’accertamento tributario, le prove reperite nel corso della perquisizione, pur in assenza di una espressa disposizione sanzionatoria, facendola derivare “dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola”.
Rileviamo, tuttavia, che con la sentenza n. 12017/2007 la Cassazione ha osservato che:
“le irregolarità verificatesi nel corso di tale procedimento amministrativo, pertanto, se incidono sulla validità dell’accertamento tributario nei confronti del soggetto sottoposto alla verifica fiscale, non rendono inutilizzabile la notitia criminis che emerga nel corso della verifica stessa.”
In senso conforme, cfr. anche Cass. sez.III pen., sent. n. 11570 del 14 marzo 2018, secondo cui l’eventuale nullità dell’avviso di accertamento non determina l’inutilizzabilità nel campo penale, in quanto le patologie dell’atto di rettifica si esauriscono nell’ambito del processo tributario.
Come rilevato dalla Guardia di Finanza, nella circolare n. 1/2018, la sentenza della Corte di Cassazione a SS.UU. n. 16424/2002, richiamata nella pronuncia che si annota, ha concluso per l’illegittimità dell’autorizzazione all’accesso dell’Autorità Giudiziaria emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, anche nelle ipotesi in cui sussistano articolate e dettagliate circostanze potenzialmente riferibili al contribuente segnalato, tale da poter fondare un consistente sospetto.
Cosi Cass. SS. UU. n. 16424/2012:
“Ma il sospetto non è ancora indizio, e tantomeno prova, anche se può assumere influenza in relazione agli ampi poteri ispettivi degli uffici tributari, nel senso di consigliarne l’esercizio, se del caso, anche tramite accesso nei luoghi in cui si svolge l’attività tassabile (non abbisognante, come si è detto, della presenza di gravi indizi). Ove gli atti ispettivi approdino all’acquisizione di indizi, cioè alla cognizione di circostanze di fatto astrattamente atte a convertire la mera ipotesi di evasione od elusione fiscale in un apprezzamento di possibile verificarsi di essa, si apre la facoltà di procedere alla perquisizione domiciliare (sempre che il procuratore della Repubblica reputi gravi gli indizi medesimi), così utilizzandosi uno strumento di indagine particolarmente delicato, per il coinvolgimento della vita privata del contribuente e del suo nucleo familiare, ma certamente più efficace.”
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