Quota 100, dipendenti pubblici svantaggiati rispetto ai privati

Stefano Paterna - Pubblica Amministrazione

Quota 100 dipendenti pubblici: regole e novità nel decretone con il quale il governo raggiunge l'obiettivo della modifica della Fornero. Permangono le differenze di trattamento tra dipendenti pubblici e privati a svantaggio dei primi: in particolare per quel che riguarda liquidazione e “finestre” di uscita dal lavoro.

Quota 100, dipendenti pubblici svantaggiati rispetto ai privati

Finalmente quota 100 per i dipendenti pubblici! Il decretone di giovedì 17 gennaio ha finalmente messo nero su bianco i criteri per andare in pensione con 38 anni di contributi e 62 di età anche per gli statali.

Già prima della sua uscita il provvedimento era stato investito da una “salva” di polemiche di parte sindacale. Ora si può dire che quelle polemiche non erano del tutto giustificate, ma che la “mitica” riforma della legge Fornero è appunto solo questo, ovvero un mito soprattutto per quel che riguarda i dipendenti della pubblica amministrazione.

Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: la quota 100 consentire a chi avrà i requisiti di andare in pensione prima è una cosa positiva e quindi un successo dell’esecutivo Conte per due ordini di motivi:

  • il primo è di equità sociale, ovvero non schiacciare di fatto la pensione di anzianità su quella di vecchiaia;
  • il secondo è legato al necessario ricambio generazionale nella pubblica amministrazione ed è tra gli elementi che possono favorire lo sviluppo economico sia in termini di efficienza dell’apparato pubblico, sia di riduzione della disoccupazione giovanile.

Quota 100 dipendenti pubblici: il nodo del Tfr/Tfs e le uscite svantaggiate rispetto ai privati

Tuttavia, non si può negare che il testo del decreto sulla quota 100 presentato infine dal governo gialloverde non è il superamento della legge Fornero.

Innanzitutto, perché stando ai calcoli fatti da Il Sole 24 Ore lo “sconto” di tempo viene pagato assai caro dai lavoratori (sia pubblici, sia privati) con una riduzione dell’assegno che oscilla intorno al 25 per cento per cinque anni di anticipo. Ma poi soprattutto per il fatto che non elimina la differenziazione in negativo per i lavoratori del pubblico impiego rispetto a quelli del settore privato.

Il nodo del Tfr o Tfs nel caso dei dipendenti pubblici è abbastanza emblematico.

Il governo orgogliosamente assicura che riceveranno una buonuscita di 30mila euro, ovvero circa la metà di quanto spetterebbe alla media degli interessati. Il 95 per cento degli interessi di tale somma anticipata dalle banche a carico dello Stato, il restante a carico del lavoratore.

Il saldo della liquidazione raggiungerà i “fortunati” dopo anni. Ora trattandosi di una parte (differita) della retribuzione del lavoratore pubblico, tutto ciò appare come il proseguimento di una grave discriminazione che difficilmente si può annoverare nella categoria delle “medaglie al valore” del governo Conte-Salvini-Di Maio.

La differenza di trattamento permane, inoltre, per quanto riguarda le “finestre” di uscita dal lavoro: mentre i dipendenti del settore “privato” le avranno dopo tre mesi dalla maturazione dei requisiti, per quelli pubblici ci saranno dopo sei. Questi ultimi potranno uscire da lavoro solo dal mese di agosto dell’anno in corso, in particolare quelli della scuola da settembre, mentre i “privati” da aprile.

Quota 100: una riduzione del danno?

A confermare queste criticità è ad esempio una nota diffusa dalla Cisl nazionale, di certo non una delle organizzazioni sindacali più critiche:

“Si penalizzano ancora i lavoratori del pubblico impiego perché per loro il pagamento della pensione si sposta in avanti di 6 mesi così come la soluzione trovata per anticipare in parte il pagamento del trattamento di fine servizio tramite il sistema bancario, sebbene sia un’opportunità, non possiamo considerarla ancora la soluzione alla questione posta, e cioè trattamenti uguali per dipendenti pubblici e privati. Inoltre, se aver bloccato l’incremento dei requisiti per aspettativa di vita sulla pensione anticipata e per i lavoratori precoci è un passo positivo questo non basta perché bisogna bloccare l’incremento dei requisiti anche per la pensione di vecchiaia, per la quale quest’anno sono richiesti 67 anni di età che aumenteranno ancora nel futuro”.

La stessa Cisl infatti ha confermato la manifestazione nazionale del 9 febbraio, con Cgil e Uil, per cambiare la politica economica di Palazzo Chigi.

Alla luce di quanto detto, il decretone sembra ispirarsi alla filosofia della riduzione del danno o meglio una forma attenuata della Fornero tanto aborrita dal ministro degli Interni, Matteo Salvini. Insomma, davvero pochino per chi aveva annunciato una rivoluzione.

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