Indagini finanziarie anche sui conti di parenti e collaboratori

La Cassazione torna ad occuparsi di indagini finanziarie e di articolo 32 del dpr 600/1973: ecco l'ultima importante pronuncia degli ermellini nell'ordinanza 22089/2018.

Indagini finanziarie anche sui conti di parenti e collaboratori

Le indagini finanziarie effettuate sui conti di una società o di un professionista sono estendibili anche ai rapporti intestati a parenti o a collaboratori perché lo stretto legame, familiare o societario, e la presenza di elementi indiziari, quali ad esempio l’assenza di attività economiche esercitate dagli intestatari dei conti, “rendono altamente probabile” che le movimentazioni finanziarie riscontrate sui conti di tali soggetti siano riferibili a fatti imponibili della società o del professionista.

È onere del contribuente sottoposto a indagine dimostrare in maniera analitica l’estraneità di tali operazioni all’attività di impresa o professionale e spetta poi al giudice di merito verificare l’efficacia dimostrativa di tali prove ai fini del superamento della presunzione legale.

Sono queste le importanti precisazioni fornite dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 22089/2018.

Indagini finanziarie, accertamento ed interpretazione dell’articolo 32 del dpr 600/1973
Ordinanza Corte di Cassazione numero 22089/2018
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I fatti – L’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento ai fini IRPEF e IVA sulla base delle risultanze di un processo verbale di contestazione, redatto dalla Guardia di Finanza a seguito di una verifica fiscale condotta nei confronti di un libero professionista.

L’atto impositivo recava il recupero a tassazione del maggior reddito ricostruito in via presuntiva in base alla documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accesso, costituita da 48 schede clienti da cui si ricavava un volume di affari incongruente con quello dichiarato, ed alle movimentazioni verificate sia sul conto corrente bancario cointestato con il coniuge, che su quello intestato ai genitori del professionista, sul quale questi aveva delega ad operare.

Il ricorso proposto dal contribuente era accolto dalla CTP. Avverso tale decisione proponeva appello l’Agenzia delle Entrate, parzialmente accolto dalla CTR nei limiti solo di alcune delle operazioni effettuate sul conto corrente intestato ai genitori del professionista, in quanto espressamente riconosciute dallo stesso come operazioni non dichiarate.

Avverso tale statuizione l’Ufficio finanziario ha proposto ricorso per cassazione, deducendo come motivo principale violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 del D.P.R. n. 600 del 1973. A parere della ricorrente, la CTR aveva errato nell’escludere la ripresa a tassazione di tutte le somme movimentate sul conto corrente intestato ai genitori del professionista quali compensi professionali non contabilizzati, perché questi non aveva prodotto idonea giustificazione, come invece era suo onere.

Il motivo principale è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza impugnata.

La decisione – La controversia attiene all’esame del cd. “accertamento bancario”, fondato sulla ricostruzione delle movimentazioni finanziarie non giustificabili da parte dell’imprenditore o del lavoratore autonomo. Tale modalità di accertamento è regolata dall’articolo 32, comma 1, numero 2 del DPR n. 600/1973 secondo cui “sono considerati ricavi o compensi le movimentazioni effettuate nell’ambito dei rapporti finanziari del contribuente, salvo che questi non indichi il soggetto beneficiario delle movimentazioni non risultanti dalle scritture contabili”.

Come si dirà meglio di seguito, riguardo al tema della prova contraria posta a carico del contribuente per superare la presunzione prevista dal citato art. 32 non è sufficiente una prova generica “ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività.”

I giudici della Suprema Corte hanno fissato un importante principio, oramai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la presunzione di riferibilità delle somme al reddito professionale “si applica, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore o i soci ed i congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica, anche alle movimentazioni effettuate su questi ultimi, poiché in tal caso, infatti, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci, e perfino dei loro familiari, debbano — in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario — ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica.”

In buona sostanza lo stretto rapporto familiare e la composizione ristretta del gruppo sociale sono circostanze idonee a giustificare la riferibilità delle movimentazioni verificate sui conti correnti bancari di tali soggetti all’attività economica del contribuente verificato, sempreché siano riscontrati elementi sintomatici in tal senso, quali l’assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti, tali da giustificare i versamenti e i prelevamenti riscontrati nonché l’esistenza di un rapporto di collaborazione con la società o il professionista sottoposti a indagine.

La presunzione di redditi sottratti a tassazione prevista dall’articolo 32 del DPR 600 del 1973 è una presunzione legale “juris tantum” che comporta l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, a cui spetta il compito di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili. A tal fine deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con l’indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili.

È specifico compito del giudice di merito verificare l’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, “rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale.”

La sentenza impugnata è stata cassata perché non conferme ai suddetti principi. I giudici di merito, infatti, hanno immotivatamente escluso la riferibilità a compensi non contabilizzati delle somme rinvenute sul conto corrente intestato ai genitori del professionista, sul quale costui aveva la delega ad operare e che veniva utilizzano anche per uso professionale, come peraltro espressamente riconoscimento dallo stesso contribuente.

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