Global minimum tax dal 2024: che cos’è e perché viene introdotta?

Rosy D’Elia - Imposte

Si va verso l'approvazione del decreto legislativo che introdurrà ufficialmente dal 2024 la global minimum tax in Italia: ma che cos'è questa imposta minima al 15 per cento che le multinazionali sono chiamate a pagare? La novità arriva da una riforma fiscale globale contenuta in un accordo tra i paesi OCSE

Global minimum tax dal 2024: che cos'è e perché viene introdotta?

Il Consiglio dei Ministri di lunedì 16 ottobre si preannuncia ricco: sul tavolo non solo il Documento Programmatico di Bilancio che apre ufficialmente i lavori per l’approvazione della prossima Manovra, ma anche il decreto legislativo che introdurrà in Italia la global minimum tax dal 1° gennaio 2024.

L’imposta minima al 15 per cento arriva da lontano, rientra nella riforma fiscale globale voluta dai paesi OCSE, e dopo un lungo iter si appresta ad assumere forma concreta su un piano locale.

A versarla saranno gruppi multinazionali o nazionali con ricavi consolidati non inferiori 750 milioni di euro in almeno due dei quattro esercizi precedenti. Ma vediamo più nel dettaglio cos’è la global minimum tax e perché viene introdotta.

Che cos’è la global minimum tax in arrivo dal 2024?

Per comprendere appieno la novità che il Governo approverà con il prossimo Consiglio dei Ministri bisogna fare dei passi indietro.

Dopo un confronto durato anni, 139 paesi, membri dell’OCSE e del G20, hanno concordato sulla necessità di approvare una riforma fiscale globale basata su due pilastri:

  • un nuovo sistema dei diritti di imposizione delle maggiori imprese multinazionali alle giurisdizioni in cui sono realizzati gli utili: è stato previsto per le grandi aziende con un fatturato sopra i 20 miliardi di euro e una redditività superiore al 10 per cento, prima dell’applicazione delle tassazione, il pagamento delle imposte anche nei Paesi in cui operano e non solo dove hanno la sede legale. La convenzione multilaterale di attuazione è stata approvata dall’OCSE proprio ieri, 11 ottobre;
  • una tassazione minima effettiva pari ad almeno il 15 per cento per i grandi gruppi multinazionali con fatturato globale superiore a 750 milioni di euro per “ridurre le possibilità di erosione della base imponibile e di trasferimento degli utili”.

La global minimum tax, che è in arrivo anche in Italia dal 1° gennaio 2024, quindi rende concreto il secondo pilastro della riforma fiscale approvata su scala mondiale e prevede l’introduzione di una imposta minima del 15 per cento per le multinazionali.

Ma il percorso dal globale al locale è stato lungo con una importante tappa intermedia in UE: a fine 2022 è stata approvata la direttiva per introdurre negli Stati membri la nuova imposta minima per le grandi imprese.

Sullo schema di riforma condiviso su un piano internazionale, l’UE ha confezionato la traccia da seguire per introdurre il nuovo modello di tassazione apportando alcuni accorgimenti, sintetizzati dal nostro Ministero dell’Economia e delle Finanze nei seguenti punti:

  • l’estensione della disciplina ai gruppi nazionali di imprese con fatturato globale almeno pari a 750 milioni di euro;
  • l’imposizione integrativa per tutte le imprese localizzate in uno Stato membro a bassa imposizione, incluse le controllanti capogruppo che applicano l’imposta minima integrativa.

Gli Stati membri hanno tempo fino a fine anno per mettere nero su bianco le regole di attuazione della global minimum tax partendo proprio dalla traccia europea. L’Italia, quindi, si appresta a rispettare la scadenza approvando il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2022/2523 del Consiglio del 14 dicembre 2022.

Uno schema del testo, che si compone di 52 articoli, è già disponibile dallo scorso settembre: il Ministero dell’Economia e delle Finanze, infatti, lo ha messo a disposizione per raccogliere i commenti di associazioni di categoria, ordini professionali ed esperti della materia.

Come funziona e perché viene introdotta la global minimum tax dal 2024

La consultazione si è chiusa il 1° ottobre e nel Consiglio dei Ministri di lunedì dovrebbe arrivare il testo definitivo modificato o integrato proprio alla luce delle indicazioni ricevute.

Come si legge nella presentazione MEF che ha accompagnato il decreto legislativo che introdurrà la global minimum tax, si prevede “una imposizione integrativa (la c.d. Top-Up Tax) che risponde all’esigenza avvertita, a livello internazionale, di individuare i grandi gruppi di imprese che non scontano un livello minimo di imposizione nei vari Paesi in cui operano e in cui producono reddito”.

In linea generale, dovrebbero debuttare tre imposte:

  • l’imposta minima integrativa (IIR): sono chiamate a pagarla le imprese controllanti localizzate in Italia di gruppi multinazionali o nazionali in relazione alle imprese soggette ad una bassa imposizione, ovvero inferiore al 15 per cento, che fanno parte del gruppo;
  • l’imposta minima suppletiva (UTPR): a versarla una o più imprese di un gruppo multinazionale localizzate in Italia in relazione alle imprese che fanno parte del gruppo soggette ad una bassa imposizione quando non è stata applicata, in tutto o in parte, l’imposta minima integrativa equivalente in altri Paesi;
  • l’imposta minima nazionale (QDMTT), dovuta in relazione alle imprese di un gruppo multinazionale o nazionale che sono soggette a una bassa imposizione e si trovano in Italia.

Queste, in estrema sintesi, le novità contenute nello schema di decreto legislativo in consultazione fino al 1° ottobre che dovrà essere approvato nella sua versione definitiva nel Consiglio dei Ministri di lunedì 16 ottobre.

A livello globale l’imposta minima al 15 per cento viene introdotta per recuperare tassazione dalle multinazionali e mettere un freno al fenomeno del dumping fiscale: le maggiori entrate fiscali stimate a livello mondiale sono pari a 150 miliardi di dollari all’anno con la tassazione minima globale e si prevede una riassegnazione di oltre 125 miliardi di dollari di profitti al territorio in cui sono stati prodotti. Secondo le analisi, i vantaggi maggiori saranno per le economie dei paesi in via di sviluppo.

Ma anche l’Italia, chiamata a dare forma concreta agli accordi internazionali, spera di poter recuperare risorse da utilizzare per coprire i costi della prossima Legge di Bilancio.

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