Giudicato esterno e impugnazione autotutela parziale

Con la sentenza numero 8226 del 22 marzo 2023, giudicato esterno e impugnazione di autotutela parziale sono sotto la lente di ingrandimento della Corte di Cassazione: i chiarimenti forniti

Giudicato esterno e impugnazione autotutela parziale

La Corte di Cassazione, con la sentenza 22 marzo 2023, n. 8226, ha chiarito alcuni importanti profili processuali, in tema, rispettivamente, di giudicato esterno e impugnazione di autotutela parziale.

Nel caso di specie, la contribuente aveva proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che, riformando la pronuncia di primo grado, aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso introduttivo, in quanto proposto avverso un provvedimento emesso in sede di autotutela (parziale), avente portata riduttiva rispetto alla pretesa già contenuta nell’avviso di accertamento riguardante il pagamento di Ici relativa all’anno 2009, anch’esso sub iudice.

La Commissione Tributaria Provinciale aveva riconosciuto il diritto all’esenzione, ritenendo che la ricorrente avesse dimostrato il requisito della dimora abituale presso l’immobile, pur avendo mantenuto la residenza anagrafica fino al 2010 in altro Comune.

La CTR, invece, aveva ritenuto che il provvedimento emesso in autotutela non fosse autonomamente impugnabile, qualora, come nella specie, il provvedimento originario fosse stato già oggetto di impugnazione e il relativo procedimento non si fosse ancora esaurito.

Per quanto di interesse, la ricorrente eccepiva l’omessa motivazione in ordine all’eccezione di estensione all’anno d’imposta 2009 del giudicato esterno formatosi relativamente all’anno di imposta 2008.

La ricorrente lamentava poi la erroneità della pronuncia in relazione alla affermata non ammissibilità della impugnazione di un atto di autotutela parziale.

Secondo la Suprema Corte le censure erano infondate.

I chiarimenti su giudicato esterno e impugnazione autotutela parziale

Evidenziano i giudici di legittimità che, quanto alla portata del giudicato esterno in materia tributaria, in ogni caso, l’efficacia espansiva nei rapporti di durata può incontrare un limite nell’autonomia dei singoli periodi di d’imposta, essendo stato da tempo chiarito che l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso si giustifica in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (cfr., Cass., SSUU, n. 13916/2006).

Se è vero infatti che vi possono essere elementi costitutivi a carattere tendenzialmente permanente, così come, ad esempio, le qualificazioni giuridiche che individuano vere e proprie situazioni di fatto, questo non vale però (come appunto nel caso della residenza abituale) in caso di fatti suscettibili di modifiche nel tempo.

Ricorda inoltre la Corte che l’efficacia preclusiva del giudicato non si estende, in generale, alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti (cfr., Cass., n. 7417/2019).

Altresì infondato, secondo la Cassazione, era poi il motivo di impugnazione in tema di autotutela parziale.

Rilevano a tal proposito i giudici di legittimità che, in tema di contenzioso tributario, l’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione in via di autotutela, o, comunque, il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui al Dlgs. n. 546/92, art. 19 e non è quindi impugnabile, non comportando questo alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto (consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento), laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un’autonoma impugnabilità del nuovo atto solo se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa.

La giurisprudenza ha poi anche chiarito come l’autoannullamento parziale può presentare differenti cause giustificative, a seconda che integri la pura riduzione quantitativa dell’originario credito erariale, ovvero una riduzione unita comunque alla ripresa a tassazione di altri profili impositivi (ancorché di entità complessivamente inferiore a quella originariamente pretesa).

Nel primo caso l’autoannullamento non comporta “nuova” imposizione , bensì un semplice ridimensionamento unilaterale del credito tributario, così da ingenerare una situazione non dissimile da quella che si definisce, in ambito processuale, di mera riduzione del petitum (sempre ammissibile, senza violazione del contraddittorio, nè dei divieti di mutatio e novità).

Nel secondo caso, invece, l’autoannullamento comporta comunque “nuova” imposizione (anche nel caso in cui sia quantitativamente più contenuta rispetto a quella iniziale), essendo dedotti presupposti e materie imponibili dapprima non rappresentati (per esempio, con ripresa a tassazione di altre voci e causali imponibili, non contemplate nel primo accertamento).

In tale evenienza, il contribuente deve essere allora posto in grado di contestare la nuova posizione assunta dall’ente impositore, mediante, appunto, l’impugnazione dell’avviso di accertamento a tal fine notificatogli (cfr., Cass., n. 29595 del 16/11/2018).

Le conclusioni della Corte di Cassazione

In sostanza, conclude la Cassazione, il contribuente deve essere posto nelle condizioni di non subire lesioni dei propri interessi rispetto a pretesi crediti nuovi, essendo d’altro canto invece superflue ulteriori azioni processuali nei casi in cui l’autoriduzione della pretesa tributaria non muti sostanzialmente il quadro delle ragioni sottese alle richieste impositive al contribuente già note.

Cosa che era per l’appunto successa nel caso in esame, laddove l’Amministrazione aveva semplicemente ridotto la pretesa impositiva da Euro 3.357,09 a Euro 2.227,89, riducendo unilateralmente il preteso credito tributario.

L’originario provvedimento impositivo risultava, peraltro, anche pacificamente impugnato, essendo quindi da escludere una lesione degli interessi della ricorrente, laddove, come detto, gli elementi costitutivi della pretesa erano rimasti immutati, salvo una riduzione del quantum.

Del pari, era da escludere una lesione dei suoi diritti di difesa, in quanto l’impugnativa relativa all’originaria pretesa era ancora sub iudice e in quel procedimento era anche stato acquisito, fin dal primo grado, anche l’ulteriore elemento del parziale annullamento della pretesa (cfr., Cass., n. 18625 del 07/09/2020 e Cass., n. 9521 del 2021).

In definitiva, a prescindere dallo specifico caso processuale, più in generale, quanto al tema degli effetti del giudicato esterno, giova evidenziare che la preclusione del giudicato opera nel caso di giudizi identici, nei quali cioè l’identità delle due controversie riguardi i soggetti, la causa petendi e il petitum.

Il processo tributario, rispetto a quello civile, conserva del resto una sua specificità, correlata al rapporto sostanziale che ne costituisce l’oggetto e questo anche in presenza di tributi non destinati allo Stato (come era anche nel caso sopra esaminato).

Per cui l’eventualità che il giudicato, formatosi in ordine a un periodo, possa avere efficacia preclusiva nel giudizio relativo al medesimo tributo per un altro periodo va limitata al solo caso in cui si discorra degli elementi rilevanti necessariamente comuni ai distinti periodi d’imposta, potendosi in quel caso e solo in quel caso desumersi che l’accertamento di fatto su tali elementi debba fare stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo d’imposta diverso.

In relazione alle imposte periodiche, pertanto, l’effetto di giudicato è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale (cfr., Cass., n. 17334 del 19/08/2020; Cass. n. 1300 del 2018; Cass. n. 18923 del 2011), essendo in sostanza necessario che si tratti di elementi aventi la caratteristica di eccedere il limitato arco temporale considerato dall’imposta periodica.

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