Esenzione IMU per l’immobile assegnato in sede di separazione

Esenzione IMU e assegnazione di immobile in sede di separazione: la giurisprudenza della Corte, nella Sentenza della Corte di Cassazione n. 2747/2023, si allinea ai chiarimenti resi dalla Corte Costituzionale l'importante sentenza n. 209/2022

Esenzione IMU per l'immobile assegnato in sede di separazione

Nella fattispecie in commento, un contribuente ha proposto ricorso avverso un avviso di accertamento relativo all’IMU su un immobile di sua proprietà.

La competente CTP rigettava il ricorso, mentre in secondo grado la competente CTR accoglieva il gravame.

I giudici di secondo grado ritenevano che il contribuente avesse dimostrato che la sua abitazione costituiva casa familiare avendo allegato copia del decreto presidenziale con cui era stata disposta la sua assegnazione in sede di separazione alla moglie affinché vi vivesse insieme ai figli.

Ciò premesso, il Comune ha proposto ricorso in Cassazione avverso la pronuncia di secondo grado.

Esenzione IMU in caso di separazione. Il ricorso in Cassazione e il richiamo ai chiarimenti forniti nella sentenza della Corte Costituzionale

La Corte ha respinto il ricorso del Comune riconoscendo la spettanza dell’esenzione IMU in capo al contribuente sulla base delle seguenti motivazioni.

I giudici della Suprema Corte hanno riconosciuto la congruità della motivazione addotta dai giudici di seconde cure.

In particolare, la Corte ha condiviso la parte della sentenza della CTR in cui si riconosce che il contribuente aveva dimostrato che la sua abitazione costituiva casa familiare avendo allegato copia del decreto presidenziale con cui era stata disposta la sua assegnazione in sede di separazione alla moglie affinché vi vivesse insieme ai figli, presumendo che fino ad allora fosse stata impressa quella destinazione all’immobile.

La Corte fa leva sulla recente pronuncia resa dalla Corte costituzionale n. 209 del 2022 che ha dichiarato illegittimo l’articolo 13, comma 2, quarto periodo, del D.L. n. 201 del 2011 nella lettura penalizzante sul “nucleo familiare”, che appare in contrasto con le disposizioni recate dagli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione.

Vengono al riguardo riportati alcuni dei ragionamenti effettuati nei passaggi salienti della pronuncia della Consulta.

Si parte dalla premessa per cui non possono ritenersi conformi al nostro ordinamento costituzionale quelle misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile.

Invece, il riferimento contenuto nel quarto periodo del comma 2 dell’articolo 13, del DL n. 201 del 2011, al nucleo familiare, comporta che finché non avviene la costituzione del nucleo familiare, la norma consente a ciascun possessore di immobile che vi risiede anagraficamente e dimori abitualmente di godere dell’esenzione IMU anche se unito in una convivenza di fatto: in tal caso infatti i partner avranno diritto ad una doppia esenzione in quanto ciascuno di essi potrà considerare il proprio immobile come abitazione familiare.

Invece la scelta di accettare che il proprio rapporto affettivo sia regolato dalla disciplina del matrimonio o dell’unione civile preclude la possibilità di mantenere la doppia esenzione anche laddove effettive esigenze tra cui quelle di natura lavorativa possano determinare ed imporre la scelta di differenti residenze anagrafiche.

Via libera all’esenzione IMU in un caso di assegnazione di immobile in sede di separazione

La Consulta ha quindi censurato, nell’ambito della misura fiscale di favore, il passaggio, realizzatosi nella evoluzione normativa della misura fiscale, dalla valutazione di una situazione meramente oggettiva (la residenza e al dimora abituale del possessore dell’immobile a prescindere dalla circostanza che si trattasse di soggetti singoli, coabitanti, coniugati o uniti civilmente) al rilievo dato ad un elemento soggettivo (la relazione del possessore dell’immobile con il proprio nucleo familiare).

L’introduzione di questo elemento soggettivo si è risolto in una radicale penalizzazione dei possessori di immobili che hanno costituito un nucleo familiare, che se residenti in Comuni diversi, si sono visti escludere dalla esenzione entrambi gli immobili.

La Corte Costituzionale ha dichiarato inoltre l’illegittimità del quinto periodo del comma 2 dell’articolo 13, del DL n. 201 del 2011, che per i componenti del nucleo familiare, limita l’esenzione ad uno solo degli immobili siti nel medesimo Comune e dell’articolo 1, comma 741, lettera b) della legge n. 160 del 2019, come modificato dall’art. 5-decies del Dl 146 del 2021, che ha previsto che essi optino per una sola agevolazione quando hanno residenze e dimore abituali diverse.

La Consulta ha poi precisato che in “un contesto come quello attuale”, caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, risulta meno rara l’ipotesi in cui persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale.

Pertanto, ai fini del riconoscimento dell’esenzione sulla “prima casa”, il non ritenere sufficiente - per ciascun coniuge o persona legata da unione civile - la residenza anagrafica e la dimora abituale in un determinato immobile, determina un’evidente discriminazione rispetto ai conviventi di fatto i quali, in presenza delle medesime condizioni, si vedono invece accordato, per ciascun rispettivo immobile, tale beneficio fiscale.

La Corte ha dunque ristabilito il diritto all’esenzione per ciascuna abitazione principale delle persone sposate o in unione civile ma ha ritenuto opportuno chiarire che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” ne possano usufruire.

Da questo punto di vista, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale responsabilizzano “i comuni e le altre autorità preposte ad effettuare adeguati controlli”, controlli che “la legislazione vigente consente in termini senz’altro efficaci”.

Ciò premesso, il ricorso del Comune non è quindi stato accolto non avendo lo stesso rilevato nel corso del giudizio dei profili tali da mettere in discussione il quadro normativo e giurisprudenziale prospettato in materia.

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