Perché le donne non lavorano? Più di una su tre per la cura della famiglia

Rosy D’Elia - Leggi e prassi

C'è una strada per arginare gli effetti economici del declino demografico: aumentare l'occupazione, soprattutto quella femminile. Ma serve un cambio di paradigma: servono servizi di cura, non bastano i bonus

Perché le donne non lavorano? Più di una su tre per la cura della famiglia

L’Italia è in pieno declino demografico: dalle pensioni alla spesa sanitaria, riduzione e invecchiamento della popolazione pongono problemi economici. Semplificando in maniera estrema: allo Stato servono più risorse e allo stesso tempo ci sono sempre meno persone a contribuire.

Ma, come ha sottolineato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio nell’audizione di oggi, 8 luglio, l’Italia ha un tesoretto di potenziale forza lavoro. E può cogliere una paradossale opportunità: bisogna portare al lavoro 12 milioni di inattivi e inattive, più della metà (53,7 per cento) del totale degli occupati.

Per farlo, però, bisogna conoscere le ragioni che tengono le persone lontane dal lavoro. Per le donne non ci sono dubbi: più di una su tre non lavora per la cura della famiglia, la stessa situazione riguarda circa un uomo su trentatré.

Per potare le donne nel mondo del lavoro non c’è bonus assunzione che tenga, servono nuovi servizi.

Favorire l’occupazione femminile per arginare il declino demografico: servono servizi di cura

Nella paradossale opportunità offerta dall’alto numero di persone inattive presenti in Italia “per delineare efficaci interventi occorre conoscerne le motivazioni, così come la distribuzione per genere, età e territorio”, sottolinea l’Ufficio Parlamentare di Bilancio con l’audizione che si è tenuta oggi, 8 luglio, alla Camera.

La questione è soprattutto femminile: due terzi delle persone lontane dal mercato del lavoro è rappresentato dalle donne, con un picco nel Mezzogiorno. E allora bisogna chiedersi: perché le donne non lavorano?

La ragione principale arriva dai dati forniti sempre dall’UPB: il 35 per cento resta a casa e non cerca un’occupazione perché deve occuparsi dei figli e delle figlie o di familiari anziani. E solo il 3 per cento degli uomini si trova nella stessa situazione.

Il divario non stupisce, ma sottolinea alcuni aspetti che non possono essere più ignorati e che non sono più rilevanti solo in ottica di genere ma, anche e soprattutto, in ottica demografica.

È tempo di superare il modello di welfare familiare fatto di sussidi più che di servizi, che parte e arriva a un sistema di famiglia basato su una netta divisione dei ruoli, chiedendo alle donne di dare risposte ai bisogni di cura.

Dalle pensioni alla spesa sanitaria, la sostenibilità passa anche da un cambio di passo sul welfare

Serve un cambio di paradigma. Da decenni in Italia, invece, si segue la strada dei bonus assunzione come strumento principale per avvicinare le donne al mercato del lavoro. Ma favorire, nella maggior parte dei casi, i datori di lavoro con delle decontribuzioni è come curare il sintomo sbagliato.

Lo dimostrano anche i primi dati diffusi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali sui nuovi bonus assunzione, operativi dopo diverse vicissitudini: nelle prime due settimane dall’avvio 55.525 domande hanno riguardato i contratti a tempo indeterminato tra aziende e under 35, solo 4.960 richieste sono arrivate per le lavoratrici.

È l’offerta di lavoro femminile che deve crescere. E per farlo serve agire prima di tutto in due direzioni tra loro complementari:

  • dagli asili nido, ancora molto al di sotto degli standard, alle strutture per la Long term care, è necessario potenziare, o meglio costruire, una rete di servizi di cura per cercare all’esterno della famiglia le risposte che si possono trovare, ad oggi, perlopiù all’interno;
  • bisogna ridurre il costo del lavoro femminile nell’economia familiare, non solo agendo sulla scarsità dei servizi ma anche correggendo un sistema di tassazione e agevolazioni caratterizzato da distorsioni di genere, come quelle date dalla detrazione per il coniuge a carico o dal calcolo dell’ISEE.

Affrontare il tema della gestione della cura è una questione urgente e cruciale perché i tempi cambiano, anche per il tradizionale equilibrio familiare, garantito dal lavoro non retribuito delle donne.

“La maggiore richiesta di cure e supporto potrebbe non trovare risposta all’interno della famiglia, soggetta a trasformazioni che potrebbero ridimensionare i sostegni informali oggi disponibili, mentre gli attuali sistemi di welfare non sono ancora del tutto preparati ad affrontare gli effetti della mutata composizione demografica della popolazione”.

Si legge nel testo dell’audizione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

Le esigenze aumentano, le famiglie si trasformano. Ed è tempo di guardare oltre la garanzia femminile che potrebbe, in ogni caso, non bastare più.

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