Ok alla detrazione dell’IVA se la spesa è documentata, pur in presenza di una fattura generica

Con una fattura compilata in maniera generica, viene meno il diritto alla detrazione IVA ma l'Amministrazione deve tener conto di altri documenti, messaggi o informazioni complementari forniti dal soggetto passivo capaci di integrare i dati mancanti. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 32369 del 2022.

Ok alla detrazione dell'IVA se la spesa è documentata, pur in presenza di una fattura generica

In linea di principio la fattura compilata in forma generica fa venir meno il diritto alla detrazione dell’IVA da parte dell’utilizzatore. Tuttavia, ai fini della verifica del diritto alla detrazione, l’Amministrazione Finanziaria deve tenere conto anche di eventuali altri documenti, messaggi o informazioni complementari forniti dal soggetto passivo che possono integrare i dati oggettivamente mancanti nelle fatture.

Questo l’interessante principio recato nell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 32369 pubblicata il 3 novembre 2022.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 32369 del 3 novembre 2022
Il testo dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 32369 del 3 novembre 2022

I fatti – La controversia attiene al ricorso avverso un avviso di accertamento relativo agli anni d’imposta 2012 e 2013 con il quale l’Ufficio finanziario ha contestato l’indetraibilità dell’IVA e l’indeducibilità delle imposte dirette in relazione a una serie di fatture per l’estrema genericità delle indicazioni riportate nei documenti fiscali.

Il ricorso è stato respinto dalla CTP mentre la CTR ha accolto parzialmente l’appello della parte contribuente.

Il giudice d’appello ha chiarito che, sebbene la generica indicazione contenuta nelle fatture contestate “prestazioni per vostro conto”, isolatamente considerata nella sua estrema genericità, non è conforme ai criteri di legge, tuttavia i dati oggettivamente mancanti nelle fatture erano del tutto integrabili con l’ulteriore documentazione in possesso della ditta appellante, in particolare con riferimento al contratto di collaborazione con la società emittente le fatture e al registro con i nominativi delle pratiche evase.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, con cui ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché dell’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, per non essere deducibili i costi indicati in fattura in virtù della loro genericità.

La Corte di cassazione ha ritenuto infondate le doglianze del contribuente e ha rigettato il ricorso originariamente proposto, così confermando la fondatezza dell’avviso di accertamento.

Ai fini della deducibilità del costo recato in fattura, e della detraibilità della relativa IVA, la Corte di cassazione ha richiamato la pronuncia. n. 22940 del 2018 secondo cui, in tema di IVA, sebbene l’irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti prescritti dall’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, faccia venir meno la presunzione di veridicità di quanto rappresentato nella stessa, l’amministrazione finanziaria deve tenere conto anche di eventuali altri documenti, messaggi o informazioni complementari forniti dal soggetto passivo.

Applicando tale principio al caso di specie, la documentazione prodotta dal contribuente, in particolare il contratto di collaborazione e il registro delle pratiche evase, rendono ragionevolmente credibile che si trattasse di fatture riferibili alla ditta emittente per il recupero di un credito in via stragiudiziale.

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