Divorzio: la deducibilità dell’assegno periodico corrisposto al coniuge

Gianfranco Antico - Dichiarazione dei redditi

I contribuenti possono portare in deduzione gli assegni periodici corrisposti al coniuge dopo il divorzio. Una panoramica della normativa in vigore

Divorzio: la deducibilità dell'assegno periodico corrisposto al coniuge

Come è noto, i contribuenti possono dedurre dal reddito gli assegni periodici corrisposti al coniuge, anche se residente all’estero, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento di matrimonio, e di divorzio, con esclusione della quota di mantenimento dei figli, ex art.10, comma 1, lett. c), del Testo Unico n. 917/86.

Tale norma prevede che sono deducibili dal reddito complessivo:

“gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria.”

Specularmente, detti assegni periodici costituiscono per il coniuge che ne beneficia redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e:

“si presumono percepiti, salvo propria contraria, nella misura e alle scadenze risultanti dai relativi titoli (artt. 50, comma 1, lett. i) e 52, comma 1, lett. c), del TUIR).”

È necessario, altresì, l’indicazione in dichiarazione del codice fiscale del coniuge al quale sono stati corrisposti gli assegni periodici.

Divorzio: la deducibilità dell’assegno periodico corrisposto al coniuge

Gli assegni periodici sono deducibili nella misura in cui risultano dal provvedimento dell’autorità giudiziaria. Di fatto, i requisiti necessari, che devono sussistere, per dedurne i costi, sono i seguenti:

  • deve essere intervenuta la separazione legale ed effettiva, ovvero lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ( in caso di separazione di fatto, l’eventuale corresponsione volontaria di assegni non fa sorgere alcun diritto alla deduzione);
  • la somma corrisposta deve essere pari a quella determinata dal giudice;
  • deve trattarsi di somme corrisposte periodicamente.

Se la somma indicata nel provvedimento è comprensiva anche della quota relativa al mantenimento dei figli, salva diversa indicazione, si considera destinata al mantenimento di questi ultimi il 50 per cento della somma, indipendentemente dal numero dei figli (art. 3 del DPR n. 42 del 1988). La quota-parte destinata al mantenimento dei figli non è deducibile dal coniuge che la corrisponde.

Vediamo, quindi, le indicazioni di prassi fornite dalla Entrate nella maxi circolare n. 15/2023, che richiamando i precedenti di prassi, costituisce un vero e proprio manuale.

Indicazioni di prassi richiamate
R. M. n. 448/2008 Le maggiori somme corrisposte al coniuge a titolo di adeguamento Istat sono deducibili solo nel caso in cui la sentenza del giudice preveda espressamente un criterio di adeguamento automatico dell’assegno dovuto all’altro coniuge. Resta esclusa, quindi, la possibilità di dedurre assegni corrisposti volontariamente al fine di sopperire alla mancata indicazione da parte del Tribunale di meccanismi di adeguamento dell’assegno di mantenimento
R. M. n. 157/2009 Gli assegni alimentari periodici corrisposti dal contribuente all’ex coniuge, tramite trattenute sulle rate di pensione, sono deducibili anche qualora tali importi siano utilizzati dal contribuente in compensazione di un credito vantato nei confronti dell’ex coniuge per somme eccedenti al dovuto che sono state versate in suo favore
C. M. n. 17/2015 (risposta 4.1) È deducibile anche il cd “contributo casa”, ovvero le somme corrisposte per il pagamento del canone di locazione e delle spese condominiali dell’alloggio del coniuge separato che siano disposte dal giudice, quantificabili e corrisposti periodicamente. La quantificazione del “contributo casa”, se non stabilito direttamente dal provvedimento dell’autorità giudiziaria, può essere determinato per relationem, qualora il provvedimento preveda, ad esempio, l’obbligo di pagamento dell’importo relativo al canone di affitto o delle spese ordinarie condominiali relative all’immobile a disposizione dell’ex coniuge. Nel caso in cui dette somme riguardino l’immobile a disposizione della moglie e dei figli, la deducibilità è limitata alla metà delle spese sostenute
C. M. n. 15/2023 Sono deducibili le somme corrisposte in sostituzione dell’assegno di mantenimento per il pagamento delle rate di mutuo intestato all’ex coniuge, nel caso in cui dalla sentenza di separazione risulti che l’altro coniuge non abbia rinunciato all’assegno di mantenimento

Assegni una tantum

La deduzione non spetta per le somme corrisposte in unica soluzione al coniuge separato o divorziato (Circolare n. 50/2002, risposta 3.1).

In ordine agli assegniuna tantum” ricordiamo che essi sono sempre stati ritenuti indeducibili; in senso favorevole alle Finanze si segnala la sentenza della Corte di Cassazione (n. 16462/2002), che ha ritenuto indeducibile l’assegno di divorzio “una tantum” (in senso conforme anche Cass. n. 23659/2006), in quanto liberamente concordato dai coniugi per definire una volta per tutte i loro rapporti per mezzo di una attribuzione patrimoniale, rendendo così non più rivedibili le condizioni pattuite (cfr. per tutti ordinanza n. 383/2001 della Corte Costituzionale che ha messo la parola fine alle querelle, dal momento che l’assegno versato una tantum ha natura patrimoniale e non reddituale).

In senso conforme va registrata la R.M. n. 153/E/2009, che ha risposto ad una istanza di interpello, concernente l’interpretazione dell’art. 10, comma 1, lett. c), del TUIR.

  • R.M. n. 153/2009
  • Quesito:
    • L’istante fa presente di essersi separato dalla moglie nel 1998 e di corrispondere alla stessa un assegno di mantenimento mensile di … euro, come previsto dal provvedimento provvisorio dell’autorità giudiziaria. In relazione ai versamenti periodici dell’assegno di mantenimento, l’istante ha sempre beneficiato della deduzione dal reddito complessivo ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), del TUIR. Il contenzioso consensuale per il divorzio, iniziato nel 2007, potrebbe concludersi con una sentenza che preveda in capo all’istante l’obbligo di versare al coniuge un assegno mensile, o collegato ad altra cadenza periodica, per un periodo di tempo definito (es: 5.000 euro per ventiquattro mesi). L’istante chiede di sapere se anche tali assegni possano essere dedotti dal reddito complessivo, rilevando che con circolare 12 giugno 2002, n. 50/E, punto n. 3.1, l’amministrazione finanziaria ha precisato che la deduzione dal reddito complessivo prevista per gli assegni periodici corrisposti al coniuge, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, non spetta nell’ipotesi in cui il versamento sia effettuato in unica soluzione. “Sulla base di quanto riportato sopra, sembrerebbe quindi che solo le somme corrisposte al coniuge in unica soluzione non possano essere dedotte dal reddito complessivo”. Premesso ciò, l’istante ritiene che, qualora la sentenza di divorzio preveda a suo carico l’obbligo di versare al coniuge, entro un determinato arco temporale, degli assegni con cadenza periodica, tali assegni possano essere dedotti dal reddito complessivo.|
  • Soluzione:
    • Le Entrate, prendono le mosse dal dettato normativo specifico, secondo cui l’art. 5, comma 6, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, recante la disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, così come modificata dalla legge 6 marzo 1987, n. 74. Osserva l’Agenzia che la possibilità di disciplinare gli interessi economico patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio ha riflessi sul piano fiscale in quanto in ragione della forma di regolamentazione prescelta l’assegno “assume natura reddituale e, conseguentemente, diventa fiscalmente rilevante l’onere sopportato dal coniuge che lo eroga”. Il legislatore, rileva l’Agenzia, “nell’assimilare gli assegni in questione ai redditi di lavoro dipendente ha tenuto conto del fatto che gli stessi sono corrisposti con cadenza periodica e, come tali, assimilabili al pagamento di una retribuzione stabilita a tempo e potenzialmente vitalizia. Ciò pur in assenza di un collegamento con una prestazione lavorativa. Non hanno natura reddituale, invece, gli assegni corrisposti in unica soluzione, i quali rappresentano sostanzialmente una transazione in ordine alle pregresse posizioni patrimoniali dei coniugi. Per detti assegni, non è prevista alcuna tassazione in capo al beneficiario, né alcuna deduzione per il soggetto che li corrisponde”. Le Entrate, quindi, riprendono l’ordinanza della corte Costituzionale 6 dicembre 2001, n. 383 e la successiva ordinanza 29 marzo 2007, n. 113, che hanno dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 del TUIR nella parte in cui non prevede la deducibilità dal reddito complessivo, ai fini dell’Irpef, dell’assegno corrisposto al coniuge in unica soluzione, questione alla quale risulta connessa la tassazione dell’assegno in capo al percipiente. Per le Entrate, la particolare connotazione giuridica che caratterizza la liquidazione una tantum dell’ammontare stabilito per il mantenimento del coniuge, rilevata dalla Corte Costituzionale per dichiarare immune dal vizio di irragionevolezza la scelta del legislatore tributario, ritiene “che permanga anche nell’ipotesi in cui sia prevista la corresponsione di un importo complessivo, il cui versamento sia frazionato in un numero definito di rate qualora la corresponsione del predetto importo escluda la possibilità di presentare una successiva domanda di contenuto economico”. La possibilità di rateizzare il pagamento costituisce, infatti, solo una diversa modalità di liquidazione dell’importo pattuito tra le parti, il quale mantiene comunque la caratteristica di risolvere definitivamente ogni rapporto tra i coniugi “e non va quindi confuso con la corresponsione periodica dell’assegno, il cui importo è invece rivedibile nel tempo”. Ne consegue che, nel caso in esame, qualora ricorra la predetta condizione, il coniuge erogante non potrà beneficiare della deduzione dal reddito imponibile di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del TUIR.

Inoltre, la deduzione non spetta per le somme corrisposte dal coniuge a titolo di quota di mutuo versata in sostituzione dell’assegno di mantenimento, nel caso in cui l’altro coniuge abbia comunque rinunciato all’assegno di mantenimento (Circolare n. 50/2002, risposta 3.2).

Assegni corrisposti al coniuge in conseguenza di separazione legale
Risoluzione Agenzia delle Entrate numero 153/2009

Ulteriori aspetti fiscali

L’occasione ci permette di fare il punto su ulteriori aspetti fiscali di maggiore interesse che investono gli accordi di separazione e divorzio:

Con R.M. n. 65/E/2015, l’Agenzia delle Entrate, rispondendo ad una istanza di interpello, si è occupata della tassazione, ai fini dell’imposta di registro, degli accordi di negoziazione assistita ex art. 6, comma 1, del DL n. 132/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 162/2014 (nel caso in questione, gli accordi in corso di perfezionamento relativi ad una separazione coniugale prevedevano anche la cessione da parte della moglie al marito della piena proprietà di un immobile e la costituzione di usufrutto da parte del marito in favore della moglie su un altro immobile).

La risposta delle Entrate prende le mosse dall’art. 19 della legge n. 74/1987, secondo cui:

“tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa.”

Le agevolazioni di cui al citato articolo 19 si riferiscono, dunque, a tutti gli atti, documenti e provvedimenti che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare i rapporti giuridici ed economici relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso.

Come precisato dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 202/2003, l’esigenza di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, che giustifica il beneficio fiscale con riferimento agli atti del giudizio divorzile, è altresì presente nel giudizio di separazione, in quanto finalizzato ad agevolare e promuovere, in breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano sul coniuge non affidatario della prole.

Così come precisato con la circolare n. 18/2013, l’esenzione recata dal citato art. 19 della legge n. 74/1987 deve ritenersi applicabile, oltre che agli accordi di natura patrimoniale riferibili direttamente ai coniugi (quali gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge - cfr. Cass. n. 2347/2001), anche ad accordi aventi ad oggetto disposizioni negoziali in favore dei figli, a condizione che il testo dell’accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda esplicitamente che l’accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.

Con riferimento al quesito proposto, le Entrate rilevano che con il DL n. 132/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 162/2014, sono state introdotte disposizioni idonee alla risoluzione dei conflitti e delle controversie in via stragiudiziale viene favorita dall’introduzione di un nuovo istituto, ovvero la procedura di negoziazione assistita da un avvocato. In particolare, l’accordo concluso tra i coniugi a seguito della convenzione produce i medesimi effetti dei provvedimenti giudiziari che concludono i procedimenti di separazione e divorzio.

Pertanto, data la parificazione degli effetti dell’accordo concluso a seguito di convenzione di negoziazione assistita ai provvedimenti giudiziali di separazione e di divorzio:

“deve ritenersi applicabile anche a detto accordo l’esenzione disposta dall’articolo 19 della legge n. 74 del 1987, sempreché dal testo dell’accordo medesimo, la cui regolarità è stata vagliata dal Procuratore della Repubblica, emerga che le disposizioni patrimoniali, contenute nello stesso, siano funzionali e indispensabili ai fini della risoluzione della crisi coniugale.”

Con la circolare n. 27/E/2012, l’Agenzia delle Entrate, fornendo una serie di risposte in materia di imposta di registro, si è occupata anche degli accordi di separazione e divorzio.

Imposta di registro - Dpr 131/1986 - Chiarimenti di diversa natura
Circolare Agenzia delle Entrate numero 27/2012

Per le Entrate, l’esenzione recata dal citato art. 19 della legge n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile ad accordi di natura patrimoniale non soltanto direttamente riferibili ai coniugi (quali gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge) ma anche ad accordi aventi ad oggetto disposizioni negoziali in favore dei figli, a condizione che il testo dell’accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda esplicitamente che l’accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.

Riguardo le disposizioni negoziali in favore dei figli, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 11458 del 2005, ha precisato che:

“la norma speciale contenuta nell’art. 19 della legge n. 74/1987 (…) dev’essere interpretata nel senso che l’esenzione «dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa» di «tutti gli atti, documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti del matrimonio» si estende «a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi», in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici (Corte costituzionale 25 febbraio 1999, n.41), anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli (in questo senso già si era pronunciata la Corte costituzionale con sentenza 15 aprile 1992, n.176, ma ancor più chiaramente e decisamente il principio è enunciato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 202/2003).”

Nell’ipotesi di trasferimento della quota del 50 per cento della casa coniugale, da parte di uno dei due coniugi all’altro, effettuato in adempimento di un accordo di separazione o divorzio, trova applicazione il regime di esenzione previsto dall’art. 19 della legge n. 74/1987.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 7493/2002 che richiama la sentenza n. 2347/2001) è ferma nello statuire che le agevolazioni in questione:

“… operano con riferimento a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice, i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge.”

Come affermato dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 202/2003), con il regime di esenzione disposto dall’art. 19 il legislatore ha inteso escludere da imposizione gli atti del giudizio divorzile (o di separazione), al fine di favorire una rapida definizione dei rapporti patrimoniali tra le parti.

In considerazione di tale principio, pertanto, per le Entrate, tale regime di favore trova applicazione anche al fine di escludere il verificarsi della decadenza dalle agevolazioni “prima casa” fruite in sede di acquisto, qualora in adempimento di un obbligo assunto in sede di separazione o divorzio, uno dei coniugi ceda la propria quota dell’immobile all’altro, prima del decorso del termine quinquennale.

Il trasferimento al coniuge concretizza, infatti, un atto relativo:

“al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio…”

La decadenza dall’agevolazione è esclusa a prescindere dalla circostanza che il coniuge cedente provveda o meno all’acquisto di un nuovo immobile.

Inoltre, per le Entrate, la decadenza dall’agevolazione “prima casa” può essere esclusa anche nel diverso caso in cui l’accordo omologato dal tribunale preveda che entrambi i coniugi alienino a terzi la proprietà dell’immobile, con rinuncia da parte di uno dei coniugi a favore dell’altro, all’incasso del ricavato della vendita; in tal caso, tuttavia, la decadenza può essere esclusa solo nel caso in cui il coniuge - al quale viene assegnato l’intero corrispettivo derivante dalla vendita - riacquisti, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad abitazione principale.

Infatti, ancorché in relazione all’atto di trasferimento dell’immobile a terzi non trovi applicazione il regime di esenzione previsto dall’art. 19 n. 74/1987, (in quanto il contratto di compravendita non trova la propria causa nel procedimento di separazione e divorzio), occorre comunque considerare che, nel caso in esame, il coniuge tenuto a riversare le somme percepite dalla vendita all’altro coniuge non realizza, di fatto, alcun arricchimento dalla vendita dell’immobile.

Il ricavato della vendita è, infatti, percepito interamente dall’altro coniuge in capo al quale resta fermo, conseguentemente, l’onere di procedere all’acquisto di un altro immobile, da adibire ad abitazione principale.

Si rileva, inoltre, che il coniuge cedente, sia nel caso in cui trasferisca la propria quota dell’immobile all’altro coniuge sia nel caso in esame in cui ceda a terzi l’immobile e riversi il ricavato della vendita all’altro coniuge, si priva del bene posseduto a favore dell’altro e, pertanto, non appare coerente un diverso trattamento fiscale delle due operazioni.

Tale soggetto non è, quindi, tenuto ad acquistare un nuovo immobile per evitare la decadenza. Sull’altro coniuge che percepisce l’intero corrispettivo della vendita incombe l’obbligo di riacquistare, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad abitazione principale, secondo le regole ordinarie.

Solo in tale ipotesi, non si verifica la decadenza dal regime agevolativo “prima casa” fruito in relazione all’acquisto della casa coniugale.

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