Le regole del cram down

Giovambattista Palumbo - Leggi e prassi

Il cram down tra concordato preventivo e fallimentare: un approfondimento sul tema, partendo dalle recenti considerazioni che arrivano dalla Corte d'Appello di Venezia

Le regole del cram down

La Corte d’Appello di Venezia, Sez. I, con il Decreto dell’11 dicembre 2023, ha espresso rilevanti considerazioni in tema di cram down.

Nel caso di specie, una Srl depositava in Tribunale ricorso prenotativo ex art. 161, comma 6, L.F., per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo.

Successivamente la società inviava ai propri creditori gli accordi di ristrutturazione del debito e all’Agenzia delle Entrate, all’Agenzia delle Entrate - Riscossione e all’INPS le proposte di transazione dei crediti tributari ex art. 182-ter L.F.

Nello specifico, il risanamento dei debiti si basava sui diversi accordi di ristrutturazione conclusi con l’unico creditore ipotecario, con i creditori chirografari, nonché sulla proposta di transazione fiscale con l’Erario nelle forme di cui all’art. 182-ter L.F., nelle forme dell’omologa forzosa di cui all’art. 182-bis, quarto comma, L.F. e, in ogni caso, nell’estensione degli effetti dell’accordo (forzoso) raggiunto con l’Erario agli altri creditori pubblici.

Cram down: il caso di specie

Il piano di ristrutturazione si sostanziava in particolare:

  • nella prosecuzione dell’attività d’impresa in via indiretta;
  • nella dismissione del complesso aziendale a favore di terzo soggetto investitore;
  • nella dismissione di un immobile a favore di terzo soggetto investitore;
  • nella immissione di nuova finanza da parte di terzo soggetto investitore, ai fini della maggior soddisfazione del ceto creditorio.

I crediti erariali e previdenziali erano destinatari di una proposta di transazione fiscale e previdenziale che ne prevedeva il soddisfacimento in misura parziale (pari al 25 per cento).

A seguito dell’opposizione all’omologa proposta dall’Agenzia delle Entrate e del parere reso da Commissario Giudiziale, nel quale venivano espresse delle criticità riguardo alla proposta di ristrutturazione, un ulteriore sforzo finanziario, nella misura di Euro 195.000, veniva messo a disposizione dei creditori, seguendo l’ordine delle cause legittime di prelazione.

La società depositava infine ricorso per omologazione degli accordi di ristrutturazione del debito conclusi con i propri creditori ex artt. 182-bis e 182-septies L.F. e all’iscrizione presso il Registro delle Imprese degli accordi di ristrutturazione del debito conclusi a tale data, dei quali chiedeva l’omologazione. Provvedeva inoltre a notificare, ai sensi dell’art. 182-septies, comma 2, lett. e), L.F., il ricorso per omologazione ex artt. 182-bis, 182-septies L.F. ai creditori non aderenti agli accordi di ristrutturazione del debito appartenenti alla categoria dei creditori tributari - creditori pubblici”.

L’Agenzia delle Entrate, per il tramite dell’Avvocatura, proponeva quindi opposizione avverso l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base delle seguenti argomentazioni:

  • illegittimità della richiesta di applicazione dell’art. 182-bis, comma 4, L.F., per insussistenza del presupposto della mancata adesione dell’Amministrazione, posto che nel caso in esame non si poteva parlare di mancata adesione dell’A.F.;
  • impossibilità di avviare le trattative, instaurare un contraddittorio con la ricorrente (al fine di valutare l’attivo sociale, l’alternativa fallimentare) e di sottoscrivere un eventuale accordo con le relative clausole;
  • inapplicabilità del cram down e della contestuale richiesta di estensione degli effetti ai creditori non aderenti che appartengono alla medesima categoria ex art. 182- septies L.F.

Il Tribunale omologava comunque l’accordo di ristrutturazione del debito, ritenendo, per quanto di interesse, che la contestazione relativa all’insussistenza delle condizioni per potersi applicare il cram down fiscale doveva ritenersi priva di fondamento, in quanto il senso della norma era proprio quello di poter procedere all’omologazione dell’accordo indipendentemente dell’esistenza di una pronuncia espressa dell’Amministrazione finanziaria in merito alla proposta di transazione fiscale.

L’alternativa liquidatoria era del resto comunque peggiorativa, il che legittimava l’applicazione del cram down, ammissibile non solo in caso di silenzio, bensì anche nell’ipotesi di diniego espresso da parte dei creditori pubblici.

L’Agenzia delle Entrate proponeva infine reclamo, deducendo ancora la inapplicabilità del cram down, di cui, a suo avviso, non sussistevano le condizioni.

Secondo la Corte d’Appello il reclamo era da respingere.

Evidenziano, tra le altre, i giudici che deve ritenersi ben possibile depositare una domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione del debito con transazione non approvata dai creditori istituzionali prima ancora che sia scaduto il termine di cui all’art. 182-bis, comma 4, ultima parte, L.F., non essendo questo delineato come termine dilatorio della presentazione della domanda, quanto piuttosto della adozione del provvedimento giudiziale conclusivo del procedimento di ristrutturazione del debito.

La norma va quindi ritenuta pienamente rispettata laddove il Tribunale fissi l’udienza di omologazione successivamente alla maturazione del termine di 90 giorni dal deposito della proposta, non potendo legittimamente pronunciarsi prima che lo stesso sia interamente decorso.

Ciò, peraltro, risulta aderente alla ratio della norma, che, nel prevedere il termine di 90 giorni dal deposito della proposta di soddisfacimento per la formalizzazione dell’adesione, risponde all’esigenza di permettere ai soggetti istituzionali (Amministrazione finanziaria ed enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie) di disporre di un periodo di tempo adeguato per poter assumere scelte consapevoli prima che il Tribunale si determini in via definitiva sull’omologa dell’accordo, ma non impedisce certamente il deposito del ricorso prima che sia scaduto il termine, né che l’Amministrazione possa determinarsi anche prima dello scadere del termine laddove ritenga di disporre già degli elementi necessari e sufficienti per potersi esprimere consapevolmente, come era in effetti avvenuto anche nel caso di specie.

Le regole del cram down: la posizione della Corte d’Appello

In definitiva, secondo la Corte, l’Agenzia delle Entrate aveva avuto a disposizione tutti gli elementi per poter giungere a una decisione consapevole, essendosi tutelata, dapprima presentando il ricorso in opposizione all’omologazione e quindi esprimendo un formale dissenso alla proposta, sviluppante le medesime doglianze poi ulteriormente riprese nel reclamo.

Infondata era anche l’altra censura sollevata dall’Agenzia, secondo cui non sussisteva l’ulteriore requisito richiesto per l’estensione degli effetti dell’accordo, e cioè che i creditori aderenti appartenenti alla categoria rappresentassero il 75 per cento di tutti i creditori della stessa.

La tesi dell’Agenzia, secondo la Corte d’Appello, si basava infatti su un errato presupposto, e segnatamente su quello secondo cui la disposizione dettata dal richiamato art. 182-septies, secondo cui “La disciplina di cui all’articolo 182-bis si applica, in deroga agli articoli 1372 e 1411 del codice civile, al caso in cui gli effetti dell’accordo siano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, individuata tenuto conto dell’omogeneità di posizione giuridica ed interessi economici”, richiederebbe la previa adesione formale dei creditori rappresentanti il 75 per cento del valore dei crediti della categoria svantaggiata, trascurandosi però così di considerare che in relazione alla classe dei crediti tributari il voto che rileva non è quello espresso dal Fisco, in quanto evidentemente illegittimo ove sia passibile di conversione forzosa da parte del Tribunale, ma quello risultante dal cram down, non essendovi ragione per cui dovrebbe essere dato peso a un provvedimento illegittimo dell’Amministrazione finanziaria e non a quello, legittimo per definizione, dell’Autorità giudiziaria concernente la riforma dell’atto amministrativo da cui il voto deriva.

La ratio della norma, in sostanza, concludeva la Corte d’appello, è che mentre gli altri creditori possono esprimere un voto anche contro il proprio interesse (e, peraltro, anche in questo caso entro certi limiti), ciò non è consentito ai creditori pubblici, la cui azione è soggetta al principio della discrezionalità vincolata, in base al quale le Entrate, come gli enti previdenziali, sono tenute a ricercare il miglior recupero dei loro crediti anche alla luce della situazione del debitore, con la conseguente approvazione delle proposte convenienti rispetto alla liquidazione giudiziale e il conseguente rigetto di quelle non convenienti.

A prescindere dallo specifico caso processuale, si ricorda comunque che, con la conversione in legge del decreto legge 13 giugno 2023, n. 69, l’articolo 63 del CCII è stato modificato in senso ancora più “restrittivo” rispetto alla previgente disciplina.

L’effetto della modifica è che adesso, in caso di accordi di ristrutturazione dei debiti, il cram down sarà possibile solo se il debitore verserà il 30 per cento del debito per imposta, interessi e sanzioni e se gli altri creditori aderenti all’accordo rappresentino almeno il 25 per cento dell’intero debito da ristrutturare.

Se i creditori aderenti sono, invece, meno di un quarto la percentuale da pagare dovrà salire al 40 per cento, il tutto comunque tenendo presente lo scenario della liquidazione giudiziale, che deve risultare in ogni caso meno vantaggioso.

Che la linea sul cram down debba essere prudente è testimoniato anche dalla sentenza del Tribunale Roma, Sez. XIV, 31/10/2023, n. 594, laddove la società richiedeva l’omologa degli accordi di ristrutturazione conclusi con 8 creditori “minori” e, in applicazione dell’art. 63, comma 2bis, CCII, l’omologa degli accordi di ristrutturazione con Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Entrate - Riscossione e INPS in mancanza dell’adesione dei detti Enti.

A seguito dell’opposizione da parte dell’Agenzia, il Tribunale, in quell’occasione, per quanto di interesse, rilevava che era evidente “l’assoluta preponderanza della debitoria fiscale e previdenziale oggetto della proposta transattiva non accettata dai competenti Enti (Euro 1.201.080) rispetto ai crediti aderenti (Euro 26.601,52)”, mancando quindi anche i presupposti per l’applicabilità dell’art. 63, comma 2bis, CCII, che, nel prevedere che il Tribunale possa omologare gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, presuppone pur sempre che degli accordi di ristrutturazione siano stati raggiunti con altri creditori e con una quota sufficientemente significativa e non irrisoria o del tutto marginale degli stessi.

Diversamente, afferma il Tribunale, “l’istituto del cram down, lungi dall’essere quello strumento che il legislatore a suo tempo in piena epoca pandemica predispose per evitare ingiustificati poteri di veto dei creditori istituzionali a fronte di accordi conclusi con soggetti privati titolari di pretese creditorie significative, (...) si (...) trasformerebbe nell’imposizione all’Amministrazione finanziaria ed agli Enti previdenziali di una soluzione unilaterale predisposta da chi abbia maturato debiti quasi esclusivamente nei confronti di tali soggetti pubblici”.

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