Se i costi sono falsi anche i correlati ricavi sono fittizi e non sono tassati

Emiliano Marvulli - Dichiarazione dei redditi

Indeducibilità costi per operazioni inesistenti e tassazione dei ricavi correlati. Ecco l'importante principio sancito dall'ultima pronuncia della Cassazione in materia.

Se i costi sono falsi anche i correlati ricavi sono fittizi e non sono tassati

Non concorrono alla formazione del reddito imponibile i ricavi d’esercizio direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a operazioni oggettivamente inesistenti, nei limiti dell’ammontare indeducibile. È onere del contribuente dimostrare la fittizietà dei componenti positivi e la loro correlazione rispetto ai costi relativi alle operazioni inesistenti. Resta comunque impregiudicata l’applicazione di una sanzione amministrativa.

Sono questi i principi contenuti nell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 18390 del 12 luglio 2018.

Ordinanza Corte di Cassazione numero 18390 del 12 luglio 2018
I ricavi d’esercizio direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a operazioni oggettivamente inesistenti non concorrono alla formazione del reddito imponibile, nel limite dell’ammontare indeducibile dei suddetti costi.

Il fatto – La vicenda processuale prende le mosse da un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza a conclusione di una verifica fiscale condotta nei confronti di una società.

Sulla base delle risultanze del pvc redatto dai militari verificatori, l’Agenzia delle entrate ha notificato un avviso di accertamento relativo a due periodi di imposta, contestando l’illegittima deduzione di quote di ammortamento relative a beni strumentali indicati nelle fatture, emesse da una società terza, in relazione ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, con conseguente rettifica del reddito di impresa ai fini Ires e Irap.

Avverso gli atti de qua la società proponeva ricorso, respinto sia dalla Commissione Tributaria Provinciale che dalla Commissione Tributaria Regionale.

In particolare i giudici d’appello avevano osservato nel merito che, in ordine all’inesistenza delle operazioni fatturate, l’Ufficio aveva dedotto una serie di elementi indiziari, quali la mancanza di struttura aziendale operativa per cessazione attività, l’assenza di documenti di trasporto e l’aumento degli importi delle fatture, a fronte dei quali la società contribuente non aveva fornito idonei elementi quale prova contraria.

La società soccombente ha impugnato la decisone d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione lamentando, per quanto di interesse, che il giudice di appello avrebbe violato il criterio distributivo dell’onere della prova, per aver ritenuto l’inesistenza delle operazioni fatturate e non assolta la prova contraria della effettiva fornitura dei beni oggetto delle fatture emesse dalla società fornitrice.

La società ha anche eccepito che il giudice di appello avrebbe ritenuto erroneamente non deducibili i “costi da reato”, nonostante il pubblico ministero non avesse esercitato alcuna azione penale.

La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

La decisione – Con riguardo alla problematica della distribuzione dell’onere probatorio nell’ambito delle operazioni oggettivamente inesistenti, la Corte di Cassazione ha chiarito che “nel caso in cui l’amministrazione finanziaria ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, e cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva, del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.

Naturalmente tale prova non può consistere nella mera produzione dei documenti fiscali o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamenti utilizzati nell’operazione, in quanto la regolarità formale di questi elementi è di solito utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.

Nel caso di specie l’amministrazione finanziaria aveva prodotto dinanzi al giudice di merito una serie di elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva, dell’inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate desunti dalle risultanze della verifica fiscale, quali l’assenza di una struttura aziendale operativa in capo alla società fornitrice per cessazione dell’attività, l’assenza di documenti di trasporto e pagamenti non tracciabili.

È da ritenersi corretto l’operato del giudice d’appello che ha quindi investito la società contribuente della prova contraria in ordine alla effettività delle operazioni fatturate, prova ritenuta non assolta.

Con riferimento alla questione della deducibilità dei costi da reato, la Corte ha ribadito che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare la fittizietà dei componenti positivi che, … ove direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi”.

Nel caso di specie il giudice d’appello non si è attenuto a tale consolidato principio in quanto non ha verificato se il contribuente avesse assolto all’onere di provare “che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, fossero anch’essi fittizi, affinché detti componenti positivi andassero esclusi dalla base imponibile, fatta salva l’applicazione di una sanzione amministrativa.”

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