Statali, legittimo il pagamento del TFS a rate e in ritardo

Alessio Mauro - Pubblica Amministrazione

Non è incostituzionale il pagamento del TFS per i dipendenti statali a rate ed in ritardo rispetto al termine ordinario, fissato in 12 mesi per i pensionati che hanno raggiunto i limiti massimi di età o di servizio.

Statali, legittimo il pagamento del TFS a rate e in ritardo

Il TFS per i dipendenti statali può essere pagato a rate ed in ritardo rispetto al termine ordinario di 12 mesi.

Per la Corte Costituzionale non è incostituzionale la normativa che riguarda il pagamento differito e rateale del trattamento di fine servizio.

È questo quanto comunicato dopo la riunione tenutasi il 17 aprile 2019, durante la quale si è discusso sui termini per il pagamento del TFS per i dipendenti della pubblica amministrazione.

La questione della presunta illegittimità costituzionale della norma che consente di pagare in maniera differita e rateale il trattamento di fine servizio dei dipendenti statali era stata sollevata dal Tribunale di Roma, a seguito del ricorso presentato da una lavoratrice in pensione del Ministero della Giustizia.

Illegittimità rigettata dalla Corte Costituzionale, ma soltanto qualora il pagamento in ritardo e a rate del TFR riguardi dipendenti statali in pensione per ragioni diverse dal raggiungimento dei limiti massimi di età o di servizio.

Statali, legittimo il pagamento del TFS a rate e in ritardo

È bene partire specificando che il pagamento a rate ed oltre i 12 mesi riguarda soltanto il TFS erogato a dipendenti statali andati in pensione prima del raggiungimento del limite massimo di età e servizio.

Si tratta quindi di tutti quei casi in cui l’erogazione del trattamento di fine servizio è effettuata per una specifica disposizione normativa dopo 24 mesi dalla data di pensionamento e con la possibilità di pagamento rateale.

A dichiarare la legittimità della norma, introdotta dal Decreto Salva Italia nel 2011, è la sentenza della Corte Costituzionale del 17 aprile 2019, non ancora depositata ma anticipata da un comunicato stampa riepilogativo.

Le questioni di illegittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Roma in merito al diverso trattamento tra dipendenti pubblici e privati, sono state dichiarate infondate,

“ma con esclusivo riferimento al caso di una lavoratrice in pensione per ragioni diverse dal raggiungimento dei limiti massimi di età o di servizio. In questa ipotesi, la Corte ha ritenuto non irragionevole il regime restrittivo introdotto dal legislatore, che prevede la liquidazione delle indennità nel termine di 24 mesi e il pagamento in rate annuali.”

La decisione della Corte mette un punto al rischio di incostituzionalità e disparità di trattamento che sarebbe costata cara allo Stato: circa 9 miliardi di euro, secondo la relazione presentata dall’INPS, con effetti anche per i pensionati con quota 100.

TFS statali, differimento legittimo solo in alcuni casi

Quello che tuttavia rimarca la Corte è che la pronuncia sulla legittimità del differimento dei termini per il pagamento del TFS riguarda soltanto i dipendenti statali andati in pensione per ragioni diverse dal raggiungimento del limite massimo d’età o servizio.

Si tratta di quei dipendenti per i quali la buonuscita o liquidazione è pagata non prima di 24 mesi dalla cessazione dal servizio, come nel caso di dimissioni o pensionamento anticipato.

Si ricorda inoltre che il pagamento a rate si applica soltanto nel caso in cui l’importo del TFS sia superiore a 50.000 euro.

In attesa di leggere le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale, quello che il comunicato lascia intendere è che la decisione sarebbe stata differente qualora la questione di legittimità fosse stata presentata in merito ad un dipendente beneficiario di pensione di anzianità.

Questo è quanto affermato dal segretario del sindacato Confsal Unsa, che aveva presentato ricorso insieme alla dipendente statale titolare del diritto.

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