Smart working PA, braccio di ferro tra Brunetta e sindacati

Stefano Paterna - Pubblica Amministrazione

Smart working PA, il picco della variante Omicron del Covid-19 riporta al centro delle polemiche la questione: la Funzione Pubblica dichiara che il lavoro agile di massa non è più giustificato, ma i sindacati chiedono che venga tutelata la salute pubblica, dato lo stato di emergenza sanitario. Possibile nelle prossime ore una circolare del Governo per incrementare il numero dei dipendenti pubblici in lavoro da casa.

Smart working PA, braccio di ferro tra Brunetta e sindacati

Smart working nella Pubblica Amministrazione al centro dell’attenzione politica.

Si torna a parlare di smart working per la PA a causa del crescente contagio causato dalla variante Omicron del Covid-19, che il 4 gennaio ha portato a ben 170.844 casi di positività.

Si confrontano da una parte il Ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, che non vuole il ritorno al lavoro da remoto generalizzato negli uffici pubblici e dall’altra le organizzazioni sindacali, che in diversa misura chiedono un provvedimento di emergenza, dato il periodo che sta vivendo il Paese.

Una discussione che ha portato alla pubblicazione, proprio il 4 gennaio 2022, di una nota del Dipartimento della Funzione Pubblica, che evidenzia:

“Il lavoro agile di massa non è più giustificato e ci sono tutti gli strumenti, comprensivi di diritti e di tutele per i lavoratori e per gli utenti dei servizi pubblici, che garantiscono ampia flessibilità organizzativa alle singole amministrazioni”.

Ma ricostruiamo con attenzione lo sviluppo del confronto sul lavoro agile e l’evoluzione della normativa relative allo smart working nella Pubblica Amministrazione.

Smart working nella PA, una storia tortuosa

Fino al lockdown causato dalla prima ondata di Covid-19 nel marzo del 2020, lo smart working nella pubblica amministrazione era in sostanza un’esperienza di nicchia che riguardava, secondo una ricerca del giugno di quell’anno condotta dalla società FPA, l’8,6 per cento delle amministrazioni pubbliche del campione intervistato.

A causa dell’emergenza sanitaria, dopo i due mesi di blocco, le amministrazioni che adottavano questa modalità di lavoro erano salite al 98,8 per cento del campione.

Questa situazione di cambiamento drastico e repentino è stata certamente fonte di inefficienze e contraddizioni nell’attività delle pubbliche amministrazioni: basti ricordare il fatto che la gran parte dei dipendenti doveva lavorare da casa con strumenti informatici di sua proprietà con tutti gli inconvenienti di connessione e riservatezza dei dati che è facile immaginare e che sono stati rilevati dalla cronaca.

Tuttavia, l’apparato pubblico ha tenuto, e l’esperienza dello smart working è stata gradita dalla gran parte dei lavoratori pubblici: 88 per cento dei partecipanti all’indagine della FPA.

Il sostegno al lavoro agile è anche venuto dai provvedimenti presi dall’allora Governo Conte bis, in particolare sotto la supervisione del Ministro Fabiana Dadone.

Dal ritorno di Brunetta al dicastero della Funzione Pubblica, avvenuto nel febbraio del 2021 con l’avvento del Governo Draghi, si è però palesato un indirizzo politico non propriamente favorevole al lavoro da remoto, che progressivamente è stato cancellato come modalità ordinaria di prestazione di lavoro nell’autunno del 2021, sancendo una vera e propria “controrivoluzione”.

Il fatto ha provocato diverse polemiche con alcune forze politiche della stessa maggioranza che sostiene il Governo (Pd e Movimento Cinque Stelle) e con i sindacati di categoria, anche perché le nuove regole erano in palese contraddizione con il perdurare dello stato di emergenza sanitario prolungato fino al 31 marzo 2022.

Nonostante l’ostilità di Brunetta al lavoro a distanza in massa, bisogna però registrare che lo smart working non è stato del tutto abrogato negli uffici pubblici.

Anzi in questi mesi il fenomeno è stato normato dapprima con la sottoscrizione delle relative linee guida da parte della Funzione pubblica e di una parte dei sindacati di categoria a fine novembre 2021, e poi con la firma della pre-intesa per il contratto collettivo del comparto Funzioni Centrali che per primo regolamenta il lavoro agile nel settore pubblico.

Il combinato disposto di queste norme va nel senso di uno smart working frutto di un accordo scritto individuale tra amministrazione e lavoratore, con rotazione del personale che deve essere comunque dotato di adeguati strumenti informatici da parte del datore di lavoro.

In pratica, data la situazione sanitaria, in alcune PA ci si è attestati intorno a una percentuale del 49 per cento di lavoro a distanza.

Smart working nella PA, le critiche dei sindacati

Le organizzazioni sindacali, dovendo tener conto del gradimento dei lavoratori nei confronti del lavoro a distanza, non hanno mai condiviso l’ostilità del Ministro Brunetta nei confronti della diffusione massiva del fenomeno.

Ovviamente il giudizio in materia è articolato: c’è quello più sfumato della Cgil che pure ha dichiarato in una nota che:

“il Governo, le Amministrazioni Pubbliche e le aziende devono favorire l’utilizzo dello smart working laddove possibile, evitando elementi di rigidità che in questa fase potrebbero peggiorare l’andamento dei contagi soprattutto negli spostamenti casa, lavoro”.

C’è quello dell’Usb pubblico impiego che definisce il lavoro agile “un irrinunciabile strumento di contenimento dell’epidemia”, oppure quello della Smart Workers Union che semplicemente afferma che:

“In questo momento di picco pandemico chiediamo di eliminare la prevalenza del lavoro in presenza, considerando lo #smartworking come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa, dando così alle amministrazioni pubbliche la libertà di organizzarsi”.

Ma al di là dei differenti punti di vista, quello che appare evidente è l’approccio ideologico rispetto allo smart working nella Pubblica Amministrazione, che si scontra con la situazione emergenziale del Paese e con la difficile situazione del sistema sanitario e dei trasporti pubblici.

Peraltro, la politica della riduzione del lavoro agile a modalità “eccezionale” di lavoro nel settore pubblico è in contraddizione anche con il dichiarato intento del governo di utilizzare i progetti inclusi nel Pnrr per la modernizzazione e la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, ritenuti elementi fondamentali della ripresa del Paese, oltre che con gli impegni e le dichiarazioni prese da Palazzo Chigi in materia di lotta al cambiamento climatico nella recente Cop26 di Glasgow.

Forse sarebbe il caso di prendere atto di questi elementi di realtà anche dalle parti di Palazzo Vidoni.

Non per niente in queste ore si stanno intensificando le pressioni sul Ministro Brunetta: il Governo potrebbe dare indicazioni di incrementare la percentuale di lavoratori a distanza nelle pubbliche amministrazioni, in particolare con una circolare che indichi quali categorie specifiche potrebbero adottare questa modalità di lavoro in numero crescente rispetto al recente passato.

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