Lavoratori autonomi, figli e figliastri: il caso dell’esonero POS e del bonus 200 euro

Salvatore Cuomo - Leggi e prassi

Il diverso trattamento in merito all'erogazione della indennità una tantum od ancor più recente il provvedimento direttoriale ADM circa l'esonero POS che crea un distinguo tra la vendita di generi di monopolio e le altre attività di vendita al dettaglio evidenziano come la nota frase «La Legge è Uguale per Tutti» non lo è ancora per i lavoratori autonomi. Il commento.

Lavoratori autonomi, figli e figliastri: il caso dell'esonero POS e del bonus 200 euro

Il sostegno una tantum disposto dal Governo Draghi a favore dei cittadini erogato in diverse forme in base alla tipologia di lavoro svolto, di pensione o aiuto percepito, mette ancora una volta di fronte a regole di accesso diverse.

Queste non sono dovute solo al canale di accesso al contributo - quello sarebbe il minimo - piuttosto al diverso riferimento reddituale.

Correlato al solo reddito di lavoro o pensione per dipendenti o pensionati, nel solco del già distinto metodo di calcolo della detrazione spettante per lavoro ai fini IRPEF, per gli autonomi è invece correlato al ben più ampio concetto di “reddito complessivo”.

Lavoratori autonomi, figli e figliastri: il caso dell’esonero POS e del bonus 200 euro

Su questo aspetto è intervenuta come segue la circolare 103 dell’INPS al suo capo 3 lettera a):

“ … Pertanto, il valore reddituale da considerare ai fini del riconoscimento dei benefici in oggetto è quello del reddito complessivo, come rilevato nel modello “Redditi Persone fisiche 2022”, dato dalla sommatoria di redditi contenuta nel quadro RN, rigo RN1 colonna 1, al netto dei contributi previdenziali obbligatori e del reddito fondiario dell’abitazione principale (rigo RN 2) …”

In mancanza di indicazioni da parte dell’Istituto saremmo ancora a disquisire sulla rilevanza di altre forme di reddito esente o soggetto a ritenuta di imposta, come alcuni ancora oggi paventano pur con la chiara pronuncia del documento di prassi sopra evidenziato.

Obbligo POS ma non per tutti

Altra ultima forma di disuguaglianza di Stato appena introdotta è nella recente determina dell’Agenzia delle Dogane del 25 ottobre scorso:

“I rivenditori di generi di monopolio nonché i titolari di patentino non sono soggetti all’obbligo di accettare forme di pagamento elettronico relativamente alle attività connesse alla vendita dei generi di monopolio, valori postali e valori bollati.”

La determina a mio parere stride con il dettato normativo del DL 179 del 18/10/2012 che al suo articolo 15 stabilisce:

“4. A decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di pagamento, relativamente ad almeno una carta di debito e una carta di credito e alle carte prepagate; tale obbligo non trova applicazione nei casi di oggettiva impossibilità tecnica.

Questo articolo, facendo comunque salve le disposizioni del Dlgs 231 in materia Antiriciclaggio, dopo le modifiche introdotte dal l’art. 18 del Decreto-Legge 30 aprile 2022, n. 36 così prosegue:

“4-bis. A decorrere dal 30 giugno 2022, nei casi di mancata accettazione di un pagamento, di qualsiasi importo, effettuato con una carta di pagamento di cui al comma 4, da parte di un soggetto obbligato ai sensi del citato comma 4, si applica nei confronti del medesimo soggetto la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma pari a 30 euro, aumentata del 4 per cento del valore della transazione per la quale sia stata rifiutata l’accettazione del pagamento.”

Obiettivamente l’attività di rivendita di generi di monopolio è una attività commerciale di vendita di prodotti con relativi adempimenti fiscali e contributivi quale appunto l’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti dell’INPS.

Anche la consultazione della classificazione Ateco, gestita dall’Istituto Nazionale di Statistica ci conferma questo (47.26 - Commercio al dettaglio di prodotti del tabacco in esercizi specializzati).

Vero è che tale codifica non ha valore legale ma come riporta lo stesso ISTAT:

“è il riferimento utilizzato in sede di registrazione di una partita IVA presso le Amministrazioni di riferimento (ad esempio, Registro delle Imprese delle Camere di Commercio e Anagrafe Tributaria dell’Agenzia delle Entrate”

Obbligo Pos e codice del consumo

Aggiungo che in ultimo del tutto fuori luogo è il seguente passaggio della determina in esame:

“ … CONSIDERATO che l’aggio percepito dal rivenditore in relazione ai prodotti sopra individuati verrebbe parzialmente eroso dalle commissioni bancarie connesse all’utilizzo delle forme di pagamento elettronico, atteso che il costo della transazione elettronica non può essere traslato sull’acquirente, stante il regime di prezzo determinato ex lege ovvero sulla base di apposite Convezioni;...”

Atteso che vi è per tutti un espresso divieto di traslazione sull’acquirente dell’onere della transazione come si può leggere dall’articolo 62 D. Lgs n. 206/2005 del Codice del Consumo:

“i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l’uso di detti strumenti ovvero, nei casi espressamente stabiliti, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista”

Se dovessimo attenerci alla considerazione, allora perché lasciare l’obbligo di POS agli imprenditori esercenti ad altre attività soggette a tariffa fissata dalla pubblica amministrazione, come ad esempio la revisione degli autoveicoli?

O ancora peggio perché il chiunque esercente attività soggetta ad accettazione delle transazioni elettroniche deve sostenere il costo della commissione anche sul ricavo della somministrazione di un caffè, mentre l’imprenditore tabaccaio che ha liberamente scelto detta attività con le relative conseguenze in ordine a questo esercizio no?

Evitare distinguo tra pari dovrebbe essere il primo compito dello Stato ma spesso il Legislatore e come in questo caso la Pubblica Amministrazione se lo dimenticano.

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