Azioni di società estere: casi di esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni

Marcello Maiorino - Imposta sulle successioni e sulle donazioni

Per godere dell'esenzione dall'imposta sulle successioni e sulle donazioni per il trasferimento di imprese, i beneficiari devono proseguire l'attività o mantenere il controllo dell'impresa per almeno 5 anni

Azioni di società estere: casi di esenzione dall'imposta sulle successioni e donazioni

La Suprema Corte esamina una fattispecie avente ad oggetto la donazione di azioni di società non residenti nello Stato, esaminando il perimetro applicativo della norma esentativa, che va letta nel senso di riconoscere l’esenzione anche in relazione ad azioni di società non residenti in Italia, se aventi sede in altri Paesi UE.

Tuttavia, come nel caso di specie, non è possibile accordare l’agevolazione al contribuente che si sottrae all’impegno di mantenere il controllo societario nel quinquennio successivo al trasferimento.

Il perimetro applicativo dell’agevolazione ex art. 3, comma 4-ter, del D. LGS. n. 346/90

L’articolo 3, comma 4 ter, del D. Lgs. n. 346 del 1990 (Testo Unico dell’imposta sulle successioni e donazioni- TUS) stabilisce l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni, nel rispetto di determinate condizioni, nell’ambito del cd. passaggio generazionale di impresa.

La norma prevede che:

“I trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli artt. 768 bis c.c. e segg., a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta.

In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui del Testo Unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 73, comma 1, lett. a), il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1).

Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso.”

Il regime di favore intende favorire il passaggio generazionale delle cd. aziende di famiglia a condizione che i beneficiari proseguano l’attività di impresa o mantengano il controllo societario per almeno 5 anni dalla data del trasferimento.

Con particolare riferimento ad una delle norme richiamate all’interno della disposizione agevolativa, vale a dire l’articolo 73, comma 1, lett. a) del TUIR, tale disposizione sembra escludere dal novero dell’agevolazione le partecipazioni in società non residenti.

Tuttavia, la Corte, sentenza n. 5692/2023, procede ad una interpretazione teleologicamente orientata tenendo conto dell’inquadramento della norma nel contesto comunitario.

Difatti, la norma di favore costituisce attuazione di una raccomandazione della Commissione Europea (la n. 94/1069 del 7 dicembre 1994) che richiedeva l’adozione di misure idonee a favorire il passaggio generazionale delle piccole e medie imprese per assicurarne la sopravvivenza e salvaguardarne i livelli occupazionali.

L’inquadramento sistematico in questione fornisce alla Corte la chiave di lettura per tracciare il perimetro dell’agevolazione superando il dato letterale.

Al riguardo, i giudici di legittimità, pur evidenziando che l’estraneità al beneficio dei trasferimenti diretti o indiretti (ossia tramite cessioni di azioni) di aziende situate all’estero sembra riflettere il disinteresse dell’ordinamento italiano per le aziende situate al di fuori del suo territorio, ritiene che tale disinteresse non può riguardare aziende e società aventi sede in altri Paesi dell’Unione Europea.

Diversamente, un orientamento che negasse la spettanza dei benefici fiscali in tali ipotesi si porrebbe in contrasto con la libertà di stabilimento di iniziative economiche nel territorio dell’Unione, assicurata dall’articolo 49 TFUE.

Pertanto l’esclusione delle società non residenti dall’ambito applicativo delle agevolazioni, a detta della Corte, deve essere riferita alle società

non residenti nel territorio dello Stato, né nel territorio di un altro Stato membro dell’Unione Europea

Il requisito del controllo va garantito anche con riferimento a società residenti nell’UE

La Corte di Cassazione, pur evidenziando, sulla base delle argomentazioni riportate nella prima parte della sentenza, che non risulta ostativo al riconoscimento dell’esenzione il fatto che il trasferimento azionario riguardi società non residenti in Italia, ma in altro Stato UE, non riconosce in capo al contribuente la spettanza dei benefici fiscali, dato che lo stesso non ha provveduto a rendere la dichiarazione di impegno a mantenere le azioni acquisite per i cinque anni successivi al trasferimento, e che le azioni donate non consentono il controllo della società.

Non viene accolta quindi la tesi del contribuente per cui per le società estere ogni trasferimento di azioni, anche in misura tale da non consentire il controllo della società e indipendentemente dalla presentazione della dichiarazione di impegno da parte degli aventi causa a mantenere il controllo per il previsto quinquennio, sarebbe esentata.

La Corte al riguardo richiama l’orientamento per cui:

“la cessione contestuale del disponente di più quote societarie, per usufruire dell’esenzione, deve consentire che sia realizzato l’effettivo passaggio generazionale dell’impresa conservandone l’unitarietà e la funzionalità mediante il totale trasferimento del controllo di diritto dai disponenti ai discendenti (in tal senso senso cfr. Cass. n. 7429/2021).”

Difatti, è solo tramite la detenzione del controllo che è possibile influire sulle decisioni relative alla conservazione dell’azienda e alla gestione dell’impresa.

Diversamente, riconoscere la spettanza delle agevolazioni alle partecipazioni in società non residenti nel territorio dello Stato in modo incondizionato si tradurrebbe nella concessione di un regime più favorevole di quello valido per le partecipazioni in società residenti nel territorio dello Stato.

La Corte ritiene pertanto che un tale regime di maggior favore non sarebbe conforme ai principi di ragionevolezza e di capacità contributiva (artt. 3 e 53 Cost.) e del principio Unionale di libertà di stabilimento.

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