Assegno unico, procedura di infrazione dall’UE: il requisito di residenza è discriminatorio

Francesco Rodorigo - Leggi e prassi

La Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per quanto riguarda la misura dell'assegno unico per i figli a carico. Il requisito di residenza sul territorio nazionale violerebbe le norme UE su sicurezza sociale e libera circolazione

Assegno unico, procedura di infrazione dall'UE: il requisito di residenza è discriminatorio

Nuovo capitolo nella procedura di infrazione che la Commissione Europea ha avviato contro l’Italia per quanto riguarda l’assegno unico.

Secondo l’UE i requisiti di accesso alla prestazione, in particolare quello che richiede almeno 2 anni di residenza sul territorio nazionale, sono discriminatori, in quanto violano le norme in materia di coordinamento della sicurezza sociale e di libera circolazione dei lavoratori.

Il parere motivato inviato il 16 novembre fa seguito alla lettera di costituzione in mora inviata lo scorso febbraio, dato che la risorta da parte dell’Italia non è stata ritenuta soddisfacente.

Ora ci saranno 2 mesi di tempo a disposizione per adeguarsi, altrimenti la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia UE.

Assegno unico, procedura di infrazione dall’UE: cos’è e come funziona

A Bruxelles si torna a discutere dell’assegno unico. La Commissione Europea il 16 novembre 2023 ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, inviando un parere motivato per il mancato rispetto di alcune norme dell’UE.

Ora ci saranno 2 mesi di tempo per rispondere e adottare le misure necessarie, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia dell’Unione.

Partiamo però dall’inizio. Non è la prima volta che l’UE focalizza la propria attenzione sulla prestazione introdotta nel marzo del 2022 a sostegno delle famiglie con figli a carico.

Già nel febbraio 2023, infatti, la Commissione aveva inviato all’Italia una lettera di costituzione in mora, alla quale il nostro Paese ha risposto lo scorso giugno. La Commissione, però, come si legge nel documento pubblicato il 16 novembre, non ritiene che tale risposta affronti in modo soddisfacente quanto rilevato e pertanto ha ora deciso di inviare un parere motivato.

Qual è il motivo alla base del procedimento di infrazione avviato dalla Commissione Europea?

Il parere motivato inviato all’Italia (INFR(2022)4113) riguarda il mancato rispetto delle norme UE in materia di coordinamento della sicurezza sociale (regolamento (CE) 2004/883) e di libera circolazione dei lavoratori (regolamento (UE) n. 492/2011 e articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea).

Nello specifico, le criticità si riscontrano nei requisiti di accesso all’assegno unico.

Assegno unico: per l’UE il requisito di residenza di 2 anni è discriminatorio

La prestazione per i figli a carico, come noto, spetta ai genitori dal 7° mese di gravidanza e fino ai 21 anni del figlio o della figlia, senza limiti di età in caso di disabilità.

L’assegno unico può essere richiesto da tutte le categorie di cittadini e cittadine: lavoratori dipendenti (sia del settore pubblico sia del privato) o autonomi, pensionati, disoccupati, inoccupati ecc., anche in assenza di ISEE o con un valore superiore alla soglia di euro 43.240 euro.

C’è un’unica condizione di accesso al beneficio ed è relativa al possesso di specifici requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata del beneficio:

  • essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea o suo familiare, titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, oppure essere cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, oppure essere titolare di permesso unico di lavoro autorizzato a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi o titolare di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzato a soggiornare in Italia per un periodo superiore a sei mesi;
  • essere soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia;
  • essere residente e domiciliato in Italia;
  • essere o essere stato residente in Italia per almeno 2 anni, anche non continuativi, ovvero essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno semestrale.

Secondo il parere della Commissione, questa normativa, in particolare il requisito di residenza di almeno 2 anni e a condizione che vivano in uno stesso nucleo familiare insieme ai figli, viola il diritto dell’UE, in quanto non tratta i cittadini dell’Unione in modo equo, e pertanto si qualifica come discriminazione.

Il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale, continua la Commissione, vieta qualsiasi requisito di residenza ai fini del riconoscimento di prestazioni di sicurezza sociale, come appunto gli assegni familiari.

Come detto, ora l’Italia avrà 2 mesi di tempo per rispondere e adottare le misure necessarie, alla fine dei quali la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia UE.

Potrebbero, quindi, arrivare presto interventi sui requisiti previsti per l’accesso alla prestazione dell’assegno unico.

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