Il trasferimento quote nella SAS

Giuseppe Moschella - Società di persone

Società in accomandita semplice (Sas) e trasferimento quote sociali: ecco le regole e la procedura prevista dal Codice Civile nel caso di trasferimento tramite cessione inter vivos o mortis causa agli eredi

Il trasferimento quote nella SAS

Trasferimento delle quote sociali nelle società in accomandita semplice (Sas): facciamo il punto sulle regole previste.

Nella Società in accomandita semplice spiccano, come noto le differenze tra i soci accomandanti e quelli accomandatari.

Mentre i primi si limitano a finanziare il patrimonio sociale, spetta ai secondi amministrare e gestire l’ente. Inoltre i soci accomandatari rispondono senza limiti dei debiti contratti dalla Sas, mentre gli accomandanti rimangono obbligati nei limiti della propria quota di partecipazione.

Tale differenziazione si riflette sulle norme che regolano la vita della società, e anche sui diritti delle due categorie, inoltre la contemporanea presenza delle due tipologie di soci è condizione indispensabile per l’esistenza stessa della società.

Relativamente al trasferimento della quota secondo quanto previsto dall’articolo 2322 del codice civile la quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile per causa di morte.

Inoltre salvo diversa previsione dell’atto costitutivo, la quota può essere ceduta con effetto verso la società, con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale.

Trasferimento quote sociali nella Sas, società in accomandita semplice

La disciplina prevista dal codice relativa alla trasmissione “mortis causa” ed al trasferimento “inter vivos” della quota di una società in accomandita semplice, fa riferimento esclusivamente alla quota del socio accomandante, in quanto normativamente parlando non risulta esplicitata nessuna disposizione relativa alla quota posseduta dai soci accomandatari.

Non essendoci alcuna previsione normativa, e nel silenzio dell’atto costitutivo, la relativa disciplina potrà essere desunta da quella prevista per la società semplice, in virtù del doppio richiamo operato dagli artt. 2315 e 2293 c.c.

In caso di morte del socio accomandatario atteso il disposto dell’art. 2284 c.c., i soci superstiti dovranno liquidare il valore della quota del “de cuius” agli eredi, salvo che non decidano di sciogliere la società, o di continuarla con gli eredi stessi, se questi vi acconsentano.

In caso invece di trasferimento tra vivi della quota di un accomandatario, ci si dovrà riferire al disposto dell’art. 2252 c.c., ai sensi e per gli effetti del quale il trasferimento sarà efficace nei confronti della società solo con il consenso di tutti i soci, salvo che diversamente convenuto nell’atto costitutivo.

Gli eredi hanno diritto solo alla liquidazione della quota, salvo diverso accordo con gli altri soci, poiché la morte del socio accomandatario non comporta lo scioglimento o l’estinzione della società, ma solo la trasmissione o la liquidazione della quota quale conseguenza dello scioglimento del rapporto tra il socio e l’ente, mentre sono i soci accomandanti che possono subentrare di diritto, ex art. 2322, nelle posizioni dei loro rispettivi dante causa.

La norma in commento opera per i soci accomandanti una deroga ai principi generali riferiti alla trasmissione “mortis causa” ed al trasferimento “inter vivos” della quota sociale in tema di società di persone ammettendo al comma 1 dell’art. 2322 c.c. la libera trasmissibilità della quota agli eredi in deroga al disposto dell’art. 2284 c.c., e al comma 2, la possibilità di cessione della quota con il consenso dei soci che rappresentino la maggioranza del capitale sociale (in deroga al principio stabilito dall’art. 2252 c.c. per il quale ogni modificazione del contratto sociale necessita del consenso unanime), salvo che non sia diversamente stabilito nell’atto costitutivo.

La ragione di tali deroghe rispetto alla disciplina generale dettata per le società di persone è stata valutata unanimemente dalla dottrina e dalla giurisprudenza facendo riferimento alla particolare conformazione della società in accomandita semplice.

Viene considerato di minore rilievo “l’intuitus personae” riferito al socio accomandante in ragione della sua limitata partecipazione alle perdite e della sua non partecipazione all’amministrazione della società.

La partecipazione societaria del socio accomandante potrebbe essere considerata priva di quella connotazione personalistica, considerando il fatto che in essa rileva solo l’apporto del capitale.

Trasferimento della quota mortis causa

Nella società in accomandita semplice solo la quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile “mortis causa”, ai sensi dell’art. 2322 c.c., mentre in caso di morte del socio accomandatario trova applicazione l’art. 2284 c.c., in virtù del quale gli eredi non subentrano nella posizione del defunto nell’ambito della società, e non assumono quindi la qualità di soci accomandatari a titolo di successione mortis causa.

In tal caso hanno diritto soltanto alla liquidazione della quota del loro dante causa, salvo diverso accordo con gli altri soci per continuare o meno la società, e fermo restando che in tal caso l’acquisto della qualifica di socio accomandatario, non deriva dalla posizione di erede del socio accomandatario defunto, ma dal contenuto del predetto accordo.

Il comma 1 dell’art. 2322, come abbiamo visto, stabilisce che la quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile per causa di morte e, secondo quanto indicato dal citato comma, in caso di morte del socio accomandante la quota si trasmette agli eredi del “de cuius” senza bisogno che nel contratto sociale sia prevista alcuna clausola.

La quota del “de cuius” verrà trasferita all’erede e con essa lo status di socio senza che avvenga (come avverrebbe in applicazione delle regole generali in tema di trasmissione della partecipazione nelle altre società di persone) la liquidazione della quota.

In dottrina è stato osservato che tale esplicita deroga al principio generale sancito dall’art. 2284 c.c., si configura come una agevolazione alla prosecuzione dell’attività sociale anche nel caso della morte del socio evitando così lo scioglimento o un depauperamento del patrimonio sociale derivante dalla liquidazione della quota.

La deroga opererà, pertanto con una trasmissione automatica della quota del socio accomandante ai suoi eredi, a meno che ovviamente l’atto costituivo disponga diversamente.

In merito sono ritenute valide le clausole introdotte nel contratto sociale che limitino la circolazione della quota, ne sanciscano l’intrasmissibilità o, addirittura, reintroducano il meccanismo previsto dall’art. 2284 c.c..

Presenza di una pluralità di eredi

Nel caso in cui siano presenti più eredi vi è un orientamento dottrinale il quale afferma che in assenza di un’apposita disposizione del contratto sociale sulla indivisibilità della quota, la stessa potrebbe essere frazionata in capo ai ciascun singolo erede, inoltre vi è anche chi ritiene che la quota del “de cuius” verrà trasmessa in regime di comunione alla pluralità di coeredi, che la gestiranno attraverso un rappresentante comune appositamente nominato.

La seconda tesi in particolare si fonda sull’applicazione del rinvio operato agli articoli 1105 c.c. e 1106 c.c., sia dall’art. 2347 c.c. (norma dettata in tema di comunione di azioni) che dall’art. 2468 c.c., comma 5 (sull’ipotesi di comproprietà di una partecipazione in società a responsabilità limitata).

Le due tesi divergono, e mentre la prima prevede un ingresso automatico nella compagine sociale per tutti gli eredi, per la seconda, al fine di permettere a tutti gli eredi di divenire soci accomandanti si deve necessariamente modificare il contratto sociale tramite un voto che raccolga l’adesione di tutti i soci, oppure una semplice maggioranza di essi.

In argomento si segnala come la dottrina, interrogatasi sulla frazionabilità del quote tanto in caso di morte del socio quanto in occasione di trasferimento della partecipazione per atto tra vivi, ritenga tuttora ammissibile una clausola statutaria che preveda la frazionabilità della partecipazione in una pluralità di quote, richiamando il principio dell’abrogato art. 2482

Trasferimento della quota inter vivos

Il comma 2 dell’articolo 2322 c.c. disciplina la fattispecie relativa alla trasferibilità della partecipazione della quota del socio accomandante per atto tra vivi.
In particolare si prevede che il trasferimento avvenga e sia produttivo di effetti verso la società attraverso il consenso espresso dalla maggioranza del capitale, salvo che lo statuto disponga diversamente.

Non vi sono dubbi sul carattere dispositivo della norma, e la dottrina maggioritaria ritiene introducibili sia dei patti limitativi della circolazione della partecipazione (prelazione e/o gradimento) sia il principio generale sancito dall’art. 2252 (Modifica del contratto sociale), cosi da sottoporre la cessione al parere favorevole dell’unanimità dei soci.

In ogni caso qualora la maggioranza richiesta dalla legge (o quella diversa prevista nel contratto sociale) non venisse raggiunta, la cessione rimarrebbe valida tra le parti, ma priva di efficacia nei confronti della società.

Conseguentemente, in ipotesi di mancato ottenimento del consenso della maggioranza dei soci da parte del cessionario della quota dell’accomandante, allo stesso rimarrà precluso l’esercizio dei diritti sociali, la cui titolarità permarrà in capo all’alienante.

La maggioranza necessaria al trasferimento sarà calcolata senza alcuna distinzione tra i soci accomandatari e i soci accomandanti.
Diversamente, verranno calcolate nel computo del capitale sociale necessario al trasferimento sia la quota del cedente che quella del cessionario, nell’eventualità che quest’ultimo sia già socio della società.

La successione nella titolarità della partecipazione si perfezionerà, in base al principio consensualistico alla data della stipulazione del contratto, sulla cui validità ed efficacia non incideranno eventuali successive modificazioni della compagine sociale.

Con riferimento alla responsabilità del socio uscente per le obbligazioni sorte anteriormente alla cessione della quota, lo stesso una volta che ha ceduto la propria quota, senza garantire gli acquirenti dell’inesistenza di debiti sociali, risponde delle obbligazioni sorte anteriormente alla cessione esclusivamente nei confronti dei creditori sociali trovando generale applicazione la disposizione dell’art. 2290, ma non nei confronti della società o dei cessionari.

Inoltre in tema di redditi prodotti in forma associata, qualora nel corso di un esercizio si sia verificato il mutamento della composizione della compagine sociale di una società di persone, con il subentro di un socio nella posizione giuridica di un altro, i redditi della società devono essere imputati esclusivamente a colui che risulta socio al momento della approvazione del rendiconto, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, e non al socio uscente e a quello subentrante proporzionalmente alla rispettiva durata del periodo di partecipazione nel corso dell’esercizio.

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