Il lato oscuro del Fisco tra assurdità e necessità di riforma

Sono diverse le criticità, anzi le assurdità, che permangono nel sistema fiscale che, in alcuni casi, entra in corto circuito rendendo evidente la necessità di una riforma

Il lato oscuro del Fisco tra assurdità e necessità di riforma

Secondo quanto recentemente dichiarato dal Vice Ministro Leo, la legge di bilancio 2023 dovrebbe gettare i semi per quella che sarà la da tutti auspicata riforma fiscale.

La legge delega dovrebbe essere pronta a metà marzo ripartendo comunque da dove era arrivato il precedente governo, con alcune novità, tra cui, ad esempio, una revisione delle sanzioni tributarie, laddove è stato ricordato che abbiamo sanzioni amministrative che oscillano dal 120 al 200 per cento, fuori linea rispetto agli altri partner europei.

Sulle tax espenditures, poi, si potrebbero scrivere libri di psicologia, ancor prima che di diritto ed economia.

Le tax expenditures, come noto, sono elencate nel Rapporto annuale sulle spese fiscali, che è allegato allo stato di previsione dell’entrata del Bilancio di previsione dello Stato, laddove però le tax expenditures per le quali sono possibili analisi e approfondimenti mirati, grazie alla disponibilità di tutte le informazioni interessate dalla rilevazione (effetti finanziari, frequenza dei beneficiari ed effetti finanziari pro capite), sono comunque solo una parte.

Insomma, nessuno da davvero quanto lo Stato spende.

Ma i problemi non finiscono qui, anzi.

I punti da rivedere nel sistema fiscale

Peggio delle spese fiscali da trasferimenti operati con il sistema delle imposte dirette esiste sono una cosa: i sussidi.

I sussidi, infatti, non tengono conto della situazione reddituale delle categorie sussidiate (Superbonus docet).

Se l’obiettivo è aiutare un’azienda a investire e crescere, o tutelare il potere d’acquisto delle persone fisiche, è allora più trasparente e meno distorsivo un sistema di imposte sui redditi vantaggioso, anziché facilitazioni su determinati beni o categorie.

A fronte di spese fiscali non sempre giustificabili, abbiamo poi anche entrate diciamo non sempre coordinate (per usare un eufemismo).

Nel tempo la mente creativa di chi doveva trovare risorse finanziarie per rimpinguare le casse erariali ha espresso infatti tutto il proprio estro.

E il problema non riguarda solo l’Erario nazionale, laddove il decentramento amministrativo, prima, e la riforma costituzionale del 2001, poi, hanno creato una vera e propria giungla tributaria locale.

E in tutto questo il sistema rischia spesso di andare in corto circuito.

Un esempio di corto circuito del sistema fiscale

Come anche dimostrato da un recente caso affrontato dalla Suprema Corte con
l’Ordinanza n. 5821 del 27 febbraio 2023, in tema di applicazione dell’IMU su immobili della Difesa, laddove l’”evasore”, per assurdo, è proprio lo Stato a cui un ente locale aveva presentato il conto.

Nel proporre ricorso per cassazione, il Comune deduceva infatti la violazione dell’art. 9, comma 8, Dlgs. n. 23/2011, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., per avere, a suo avviso erroneamente, la Commissione Tributaria Regionale ritenuto che gli immobili che appartengono al Ministero della Difesa, in quanto infrastrutture militari ex art. 231 Dlgs. 66/2010, beneficiano sempre e comunque dell’esenzione IMU; e ciò a prescindere dal fatto che siano del tutto inutilizzati, fatto, nella specie, non contestato.

In sostanza, secondo il ricorrente, la condizione per fruire dell’agevolazione era invece la concreta e immediata utilizzazione per lo svolgimento dell’attività istituzionale (cfr., Cass. 16897/2008; n. 28680/2017; 270815/2016).

Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.

Evidenziano i giudici di legittimità che andava premesso, in base all’interpretazione letterale e restrittiva della normativa di riferimento, che gli immobili di proprietà del Ministero della Difesa, quando dati in utilizzo ai militari in servizio e ai loro familiari, devono essere soggetti alla normale tassazione ICI e IMU (cfr., Cass. n. 3974/2021; n. 3268/2019; n. 26473 del 2017).

La Corte di Cassazione, già con la sentenza 16 febbraio 2021, n. 3974, ha peraltro chiarito che sono soggetti al pagamento dell’imposta comunale i fabbricati realizzati su aree urbane all’interno di basi, destinati ad alloggi di servizio dei militari, preso atto che le norme introducenti esenzioni, in quanto eccezionali, sono di stretta interpretazione (cfr., Cass. n. 6925/2011; n. 381/2006), e che, trattandosi di disposizioni tributarie speciali, sono idonee a prevalere sulla disciplina classificatoria degli immobili di servizio.

L’art. 7, comma 1, lett. a), del Dlgs 504/92 prevede del resto l’esenzione per gli immobili posseduti (tra gli altri) dallo Stato, ma solo se essi siano “destinati esclusivamente ai compiti istituzionali”, laddove tale destinazione presuppone non qualsivoglia impiego dell’immobile per finalità latamente ed anche indirettamente riconducibili all’oggetto istituzionale ed alla funzione o servizio pubblico dell’ente possessore, bensì la sua utilizzazione “diretta ed immediata” per l’assolvimento delle stesse finalità, tale non potendosi considerare l’affidamento o la concessione del bene al godimento personale e privato di terzi a fronte del pagamento di un canone (cfr., Cass. n. 3268/2019; n. 26453/2017; n. 15025/15; 30731/11; 20850/10, 14094/10, 20577/05).

Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, a riprova delle punte di assurdità che il nostro sistema può raggiungere, giova anche evidenziare quanto segue.

Come stabilito dalla Suprema Corte già con l’Ordinanza n. 16997 del 9 luglio 2013 (cfr, per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8496 del 09/04/2010), “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. a), per gli immobili posseduti dallo Stato e dagli enti pubblici ivi indicati, spetta soltanto se l’immobile è adibito ad un compito istituzionale riferibile, in via diretta ed immediata, allo stesso ente che lo possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale (e che sarebbe perciò soggetto passivo dell’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 1) e non a compiti istituzionali di soggetti pubblici diversi, cui pure l’ente proprietario abbia in ipotesi l’obbligo, per disposizione di legge, di mettere a disposizione l’immobile, restando però del tutto estraneo alle funzioni ivi svolte”.

Tale orientamento deve quindi ormai considerarsi consolidato, anche in tema di alloggi della Difesa, e richiamato infatti anche nelle Relazioni della Corte dei conti (cfr., anche Cass., n. 20041 del 30.09.2011).

Un sistema in corto circuito da rivedere con la riforma fiscale

La fattispecie in esame non è di poco conto e su base nazionale può assumere profili di rilievo anche da un punto di vista economico.

La Difesa (cioè lo Stato), a seguito degli accertamenti notificatigli dai vari Comuni, ha sempre eccepito che gli immobili erano esenti dal tributo, in quanto, seppur concessi a militari per fini abitativi, erano comunque, anche se indirettamente, destinati a propri fini istituzionali, perdendo poi però, sotto tale profilo, sia nei gradi di merito che in sede di legittimità.

Il tema, tuttavia, a ben vedere, è in questi casi semmai un altro e cioè chi è il vero soggetto passivo dell’imposta.

Soggetto passivo dell’imposta infatti potrebbe essere il concessionario finale dell’immobile, a cui dunque, a prescindere dalla destinazione o meno degli immobili a fini istituzionali, i Comuni dovrebbero rivolgere i propri accertamenti e su cui dunque l’Amministrazione si potrebbe rivalere?

Come espressamente previsto dal Dlgs 504/92, art. 9, del resto, “nel caso di concessione su aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario”.

Conclusione questa ancor più evidente, se si pensa ai cosiddetti sine titulo (cioè i casi in cui la concessione/assegnazione sia anche scaduta, o comunque la detenzione dell’immobile sia appunto senza un legittimo titolo), laddove appare evidente che non vi sia neppure una connessione indiretta ed anzi, a causa dell’utilizzo, sine titulo, la detenzione avvenga perfino contro la volontà dell’Amministrazione.

In tal caso risulta quindi evidente come gli stessi alloggi, usando le parole dei giudici di legittimità, sono ormai privi di collegamento funzionale con l’Amministrazione e destinati al “preminente soddisfacimento di esigenze di carattere privato”.

Altra questione da affrontare, sempre sotto il profilo di chi sia il reale soggetto passivo di imposta, è poi anche quella di cui all’art. 1, secondo comma, del Rd. 18 novembre 1923, n. 2440, che, in combinato disposto con l’art. 3, comma 2, del Dlgs. 30 dicembre 1992, n. 504, individua comunque nel Ministero assegnatario e concessionario del bene immobile demaniale, che amministra, il soggetto passivo ICI/IMU.

Con anche la conseguenza che alla relativa imposizione non sarebbe comunque pertanto soggetta ad imposta l’Agenzia del Demanio.

Sul tema si è espressa ancora la Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 10683 del 17 aprile 2019.

La ricorrente Agenzia del Demanio deduceva nella specie che, come ammesso dal Comune ed accertato dalla Commissione Tributaria Provinciale, gli immobili in esame erano stati assegnati al Ministero della Difesa, che li amministrava, avendoli destinati ad alloggio (privato) del personale militare e delle relative famiglie.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dunque errato, secondo l’Agenzia del Demanio, a ritenere che non competesse l’esenzione prevista dall’art. 7, del Dlgs. 30 dicembre 1992, n. 504, non essendo (questa la tesi dei giudici di merito) gli immobili in discussione adibiti ad attività istituzionali.

In conclusione, l’Agenzia del Demanio eccepiva la carenza della titolarità passiva del rapporto tributario, che, invece, gravava sul Ministero della Difesa, in quanto assegnatario ed amministratore degli immobili.

Insomma una parte dello Stato “scaricava” su altra parte dello Stato la debenza delle imposte dovute ad un ente locale le cui risorse sono sovvenzionate dallo Stato.

L’apoteosi del corto circuito.

E la Suprema Corte ha anche ritenuto fondata la censura.

Insomma, nessuno sa più a chi chiedere di pagare cosa e soprattutto perchè, con la sensazione, come detto, che il fisco sia ormai a rischio corto circuito.

Quello che è certo è che c’è qualcosa che non quadra.

E allora ben venga una complessiva ed auspicata riforma fiscale.

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