Raddoppio dei termini d’accertamento anche senza denuncia

Emiliano Marvulli - Imposte

Il raddoppio dei termini per l'accertamento scatta automaticamente nel caso in cui l'Amministrazione riscontri che l'imposta evasa sia tale da configurare un reato tributario.

Raddoppio dei termini d'accertamento anche senza denuncia

Nel caso in cui l’Amministrazione riscontri che l’imposta evasa sia tale da configurare un reato tributario, il raddoppio dei termini per l’accertamento scatta automaticamente, essendo irrilevante la materiale presentazione della denuncia all’Autorità giudiziaria.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 4205/2019.

Corte di Cassazione - Ordinanza n. 4205 del 13 febbraio 2019
Raddoppio dei termini d’accertamento anche senza denuncia. Lo stabilisce la Corte di Cassazione nell’ordinanza numero 4205.

La Sentenza – La controversia ha preso le mosse dalle risultanze di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di finanza nei confronti di una società.

In base al contenuto del relativo p.v.c. l’Amministrazione finanziaria contestava l’omessa presentazione della dichiarazione e, constatato il superamento dei limiti previsti dal d.lgs. 74/2000, procedeva ad inoltrare la comunicazione di notizia di reato alla competente procura della Repubblica. Inoltre, sulla base dell’art. 43, co. 3 del D.P.R. n. 600 del 1973 vigente ratione temporis, l’Ufficio applicava anche il raddoppio dei termini d’accertamento.

La società proponeva ricorso avverso l’atto impositivo lamentando, sia in primo che in secondo grado, l’intervenuta decadenza del potere impositivo. I giudici di merito di entrambi i gradi accoglievano le doglianze della società perché l’Amministrazione finanziaria non aveva dimostrato in giudizio prova della pendenza di indagini o di un giudizio penale.

L’Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza dolendosi, con unico motivo, della violazione e falsa applicazione dell’art. 43, co. 3 del D.P.R. n. 600 del 1973 e la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

Nel ricorso l’amministrazione ha rilevato che il raddoppio dei termini è conseguente a seguito del mero riscontro di fatti per i quali è fatto obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, non essendo necessario l’inizio di un’attività istruttoria penale. Ciò in quanto si tratta “di termini automaticamente operanti in presenza di una specifica condizione obiettiva. Nel caso di specie l’obbligo di denuncia discendeva dall’entità della somma evasa”.

Si premette che al caso di specie si applicano le disposizioni degli artt. 43 del DPR 600/1973 e 57 del DPR 633/1972, come integrati dall’art. 37, co. 24 del D.L. n. 223 del 2006 per cui, nel caso la violazione fiscale comporti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento raddoppiano relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.

Sono pertanto escluse dal caso de qua le modifiche introdotte al citato art. 43:

sia

  • dall’art. 2, co. 1 e 2 del D.Lgs. n. 128 del 2015, che ha condizionato il raddoppio dei termini solo ai casi in cui la denuncia sia stata effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento

che

  • dall’art. 1, co. 130, 131 e 132, della Legge n. 208 del 2015, che hanno eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari.

Dopo aver chiarito l’ambito applicativo, la Corte ha dichiarato che “il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna”.

Il principio è in linea con la sentenza della Corte Costituzionale n. 247/2011 in cui è ribadito che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, spettando al giudice di merito il compito di verificare che l’Amministrazione abbia applicato in maniera corretta le disposizioni denunciate.

L’automatismo del raddoppio porta anche alla conclusione che l’Ufficio non ha l’obbligo di motivare l’atto impositivo con le ragioni per cui ritiene applicabile detto raddoppio in quanto ciò non è previsto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000, che afferisce solo all’an ed al quantum della pretesa tributaria.

Nel caso di specie, la cassazione della sentenza impugnata deriva dal fatto che il giudice di merito non si è avveduto che il raddoppio dei termini fosse dovuto all’esistenza di una speciale condizione obiettiva, quale l’entità della somma evasa, cui è automaticamente riconducibile l’obbligo di denuncia penale, a prescindere dalla sua materiale presentazione da parte dell’Ufficio.

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