Lavoro intermittente: l’art. 34 del d.lgs 276/2003 è discriminatorio? Ecco cosa ha stabilito la Corte di Giustizia UE

Maria Carmela Muscogiuri - Leggi e prassi

La Corte di Giustizia con decisione C 143/2016 risolve la questione pregiudiziale relativa alla compatibilità tra le norme europee in tema di discriminazione per motivi di età e l'art. 34 del d.lgs n. 276/2003

Lavoro intermittente: l'art. 34 del d.lgs 276/2003 è discriminatorio? Ecco cosa ha stabilito la Corte di Giustizia UE

Il contratto di lavoro intermittente è previsto dall’art. 13 del d.lgs. 81/2015 il quale riprende quanto contenuto dall’abrogato art. 34 del d.lgs n. 276/2003.

Secondo la norma:

il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni.

Dal quadro tracciato dalla disposizione, dunque, emergono due regimi diversi non solo per l’accesso e le condizioni di lavoro, ma anche per le modalità di licenziamento, in base alla fascia di età alla quale detti lavoratori appartengono.

Infatti, nel caso di lavoratori di età compresa tra i 25 e i 45 anni, il contratto di lavoro intermittente può essere concluso solo per l’esecuzione di prestazioni a carattere discontinuo o intermittente, secondo le modalità specificate dai contratti collettivi e per periodi predeterminati.

Nel caso di lavoratori di età inferiore ai 25 anni o superiore ai 45, invece, la conclusione di un simile contratto di lavoro intermittente non è subordinata ad alcuna di tali condizioni e può avvenire “in ogni caso”.

Il caso analizzato dalla Corte Europea

Il caso analizzato dalla Corte Europea riguardava un ragazzo, assunto con contratto di lavoro intermittente da una azienda multinazionale, licenziato il giorno del suo venticinquesimo compleanno, solo in ragione del raggiungimento del suddetto limite anagrafico.

Dopo il rigetto in primo grado, il lavoratore veniva reintegrato nel posto di lavoro in appello.

I giudici del gravame ribaltavano la sentenza emessa dal giudice delle prime cure ritenendo la disciplina del contratto di lavoro intermittente in contrasto con il divieto di discriminazione in base all’età sancito sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue che dalla direttiva 2000/78.

Giunta in Cassazione, la Suprema Corte rimetteva alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale, secondo quanto previsto dall’ art. 267 TFUE, chiedendo se la norma italiana, relativa al limite di età previsto per il contratto di lavoro intermittente, fosse compatibile con la normativa comunitaria in tema di divieto di discriminazione.

La sentenza C 143/16 della Corte di Giustizia

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza C 143/16, in prima analisi ammette che la disposizione italiana, prevedendo che un contratto di lavoro intermittente possa essere concluso “in ogni caso” con un lavoratore di età inferiore a 25 anni e che cessi automaticamente quando il lavoratore compie 25 anni, introduce una disparità di trattamento basata sull’età, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78.

In seconda battuta passa ad esaminare se tale disparità possa essere giustificata.

Il ragionamento della Corte di Giustizia

Il ragionamento della Corte di Giustizia Europeo prende le mosse dall’analisi dell’ 6 della direttiva 2000/78 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni del lavoro.

Tale norma, infatti, enuncia che gli Stati membri possono prevedere che disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

Tale disparità, continua la norma, può consistere nella “definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori più anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire l’inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi”.

La finalità legittima del contratto di lavoro intermittente

Il contratto di lavoro intermittente per i minori degli anni 25 ha, secondo la Corte, l’obiettivo di favorire l’accesso dei giovani al mercato del lavoro.

In questo modo si permette ai ragazzi di poter maturare un’esperienza professionale tale da renderli maggiormente competitivi sul mercato.

Secondo la giurisprudenza europea, la promozione delle assunzioni costituisce incontestabilmente una finalità legittima di politica sociale e dell’occupazione degli Stati membri.

Per questi motivi la Corte ritiene che la disposizione nazionale, agevolando di fatto le assunzioni, persegua una finalità legittima ai sensi dell’art. 6 della direttiva 2000/78.

I giudici passano poi ad analizzare se i mezzi adoperati per il raggiungimento di dette finalità soddisfino i requisiti di idoneità e necessità.

I requisiti di idoneità e necessità

Per quanto concerne l’adeguatezza della disposizione italiana in esame, la Corte conclude nel senso di ritenerla idonea ad ottenere una certa flessibilità sul mercato del lavoro dal momento che di fatto incentiva le aziende a compiere delle assunzioni.

Il contratto di lavoro intermittente, infatti, costituisce uno strumento poco vincolante e meno costoso di un contratto ordinario e quindi maggiormente vantaggioso per il datore.

Con riferimento invece al carattere necessario i giudici osservano che in un contesto di perdurante crisi economica e di crescita rallentata il contratto di lavoro intermittente consente ai giovani con meno di 25 anni, che in assenza di tale strumento rimarrebbero disoccupati, di accedere al mercato del lavoro.

Così argomentando conclude la Corte nel senso che la norma italiana che autorizza un datore di lavoro a concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e a licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno è compatibile con la normativa europea in tema di discriminazione per ragioni di età.

Tale disposizione, infatti, persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e i mezzi per conseguire tale finalità sono appropriati e necessari.

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