Dal salario minimo a 9 euro all’equa retribuzione: cosa prevede la legge delega del Governo

Francesco Rodorigo - Leggi e prassi

Bocciata definitivamente la proposta di legge da parte delle opposizioni per l'introduzione di un salario minimo di 9 euro lordi l'ora. Il testo, dopo le modifiche, ora prevede una delega al Governo in materia di equa retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva

Dal salario minimo a 9 euro all'equa retribuzione: cosa prevede la legge delega del Governo

In Italia non ci sarà un salario minimo legale, almeno non nella forma prevista dalla proposta di legge presentata dalle opposizioni lo scorso luglio e che è stata al centro della scena politica in questi mesi.

Nel corso della discussione nell’aula della Camera il 5 dicembre 2023, è stato bocciato l’emendamento che reintroduceva i 9 euro lordi l’ora.

Passa invece il maxi-emendamento del Governo che trasforma la PdL in una legge delega in materia di “retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione”.

Il testo, approvato oggi, 6 dicembre, tra le proteste dell’opposizione sarà trasmesso al Senato per l’approvazione finale.

Dal salario minimo a 9 euro all’equa retribuzione: cosa prevede la legge delega del Governo

Si chiude definitivamente il sipario sulla proposta di legge per l’introduzione in Italia di un salario minimo legale di 9 euro lordi orari, che ha infiammato l’estate e l’autunno dei protagonisti della scena politica.

Dopo diversi rinvii, il coinvolgimento del CNEL e scontri in Aula, è arrivata la svolta definitiva: bocciato anche l’ultimo l’emendamento dell’opposizione alla legge delega del Governo, introdotta da un maxi emendamento della maggioranza, che in sostanza sostituisce l’introduzione dei 9 euro con la delega al Governo volta a trovare una soluzione alternativa.

Nella mattinata di oggi, 6 dicembre, si è conclusa, non senza proteste da parte dell’opposizione, la votazione del testo, che è stato approvato con 153 voti a favore, 118 contrari e 3 astenuti. Il testo della legge delega in materia di “retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione” passa ora all’esame del Senato.

Ma cosa cambia con questa nuova legge delega?

Dopo il maxi-emendamento del Governo, come detto, della proposta di legge originale, presentata lo scorso luglio, non c’è quasi più traccia. Sono stati soppressi gli articoli da 2 a 8, mentre l’articolo 1 viene completamente riscritto.

Niente più salario minimo legale a 9 euro, che ricordiamo è la retribuzione minima oraria che viene corrisposta per legge ai lavoratori e sotto la quale non è possibile scendere, che lascia il posto a una legge che delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per garantire il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici a una retribuzione equa e sufficiente e rafforzare la contrattazione collettiva.

La legge delega è in linea con quanto previsto dalla direttiva europea da recepire entro novembre 2024. Il testo, infatti, non obbliga i Paesi con un alto tasso di copertura della contrattazione collettiva ad introdurre un salario minimo per legge, ma è pur vero che, come sottolineato in audizione alla Camera dallo stesso Commissario per il Lavoro UE, Nicolas Schmit, quello dell’Italia è un caso particolare perché ha un elevato tasso di copertura della contrattazione collettiva, ma al tempo stesso presenta interi settori con stipendi molto bassi.

Equa retribuzione e contrattazione collettiva: il contenuto della legge delega

È stato dunque approvato il maxi emendamento della maggioranza alla PdL delle opposizioni sul salario minimo, che di fatto la trasforma in una doppia delega al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva.

Il testo prevede, in primo luogo, l’adozione entro 6 mesi dall’entrata in vigore, di uno o più decreti legislativi con l’obiettivo di:

  • assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi;
  • contrastare il lavoro sottopagato, anche in relazione a specifici modelli organizzativi del lavoro e a specifiche categorie di lavoratori;
  • stimolare il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro nel rispetto dei tempi stabiliti dalle parti sociali, nell’interesse dei lavoratori;
  • contrastare i fenomeni di concorrenza sleale attuati mediante la proliferazione di sistemi contrattuali finalizzati alla riduzione del costo del lavoro e delle tutele dei lavoratori (cosiddetto dumping contrattuale).

Tra i principi direttivi l’intenzione di individuare, per ciascuna categoria, i CCNL più applicati, prevedendo che il trattamento economico complessivo minimo del contratto collettivo rappresenti la condizione economica minima da riconoscere ai lavoratori che appartengono a una determinata categoria.

Per i lavoratori non coperti dalla contrattazione sarà applicato il contratto della categoria più affine. Si prevede, poi, l’introduzione di incentivi per il rinnovo dei CCNL entro i termini previsti.

La seconda legge, poi, delega il governo ad adottare, sempre entro 6 mesi, uno o più decreti legislativi con l’obiettivo di perfezionare la disciplina dei controlli e sviluppare un’informazione pubblica e trasparente in materia di retribuzione dei lavoratori e contrattazione collettiva.

Per realizzarlo si prevede, in particolare, una razionalizzazione delle modalità di comunicazione tra le imprese e gli enti pubblici per quanto riguarda le retribuzioni e l’applicazione dei CCNL, con l’adozione di strumenti che rendano effettiva, certa ed efficace l’acquisizione dei dati relativi all’applicazione della contrattazione collettiva per ciascuna categoria di lavoratori e dei dati sui trattamenti retributivi effettivamente riconosciuti ai lavoratori.

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