Imposta sugli intrattenimenti

Sotto la lente di ingrandimento l'imposta sugli intrattenimenti: dall'analisi di un caso particolare alle conclusioni della Corte di Cassazione, passando per l'evoluzione della normativa

Imposta sugli intrattenimenti

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 36494 del 13 dicembre 2022, si è pronunciata in tema di imposta sugli intrattenimenti.

Nel caso di specie, una società aveva impugnato gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate, a seguito del processo verbale di constatazione redatto dai funzionari SIAE ove si contestava la mancata esibizione di documentazione diretta a provare che durante i trattenimenti danzanti vi fosse stata musica dal vivo per un tempo pari o superiore al 50 per cento dell’orario complessivo, aveva liquidato l’imposta sugli intrattenimenti (ISI) per l’anno 2008 e per l’anno 2009.

I ricorsi venivano accolti in primo grado.

Imposta sugli intrattenimenti: i fatti al centro dell’Ordinanza n. 36494 del 2022

L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi appello dinnanzi alla Commissione Tributaria Regionale, che, una volta riunitili, li accoglieva sul rilievo che l’onere di provare la sussistenza dei presupposti che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi la invoca e che la società non aveva a tal fine provato che la musica dal vivo fosse superiore al 50 per cento dell’orario complessivo di apertura al pubblico.

Rilevava inoltre la CTR che l’accesso mirato nei locali della società, compiuto dai funzionari della SIAE, aveva consentito di appurare l’utilizzo esclusivo di strumenti meccanici, e, di conseguenza, riteneva la sussistenza del presupposto oggettivo idoneo ad assoggettare l’attività non solo ad IVA, ma anche all’ISI.

Avverso tale sentenza la società proponeva infine ricorso per cassazione, censurando la legittimità della pronuncia per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 1 Tabella delle tariffe dell’imposta sugli intrattenimenti del Dpr. n. 640/1972, agli artt. 74, comma 6, 74- quater e Tabella C del Dpr. n. 633/1972, all’art. 10 della L. n. 212/200, all’art. 2697 c.c. ed all’art. 97 Cost.

Lamentava poi la società, per quanto di interesse, che il giudice d’appello aveva erroneamente ritenuto che l’Agenzia delle Entrate non avesse violato l’art. 2697 c.c., sul rilievo che l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la “deroga al normale regime impositivo” spetti a chi invochi a proprio beneficio la deroga agevolativa, rilevando invece il contribuente che l’adempimento dell’onere della prova andrebbe valutato alla luce sia della natura tributaria del processo e sia delle peculiarità del rapporto tra Amministrazione e contribuente, il che imporrebbe alla prima di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa e del diritto di credito fatto valere nei confronti del secondo, sul quale invece mai graverebbe l’onere di provare i fatti costitutivi, ma, semmai, i soli fatti estintivi del debito tributario.

Per questa ragione, la contribuente riteneva sussistente l’inadempimento da parte dell’ufficio dell’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa impositiva, anche per il tramite di una mera presunzione semplice, considerando peraltro che l’accesso effettuato dalla SIAE era un singolo episodio, non ricompreso nel periodo di imposta considerato.

Con altro motivo di ricorso la società ricorrente, sollevando altresì questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, censurava inoltre la legittimità della sentenza per violazione dell’art. 401 della Direttiva CE n. 2006/112, in relazione agli artt. 1 e tabella delle tariffe dell’imposta sugli intrattenimenti del Dpr. n. 640/1972, nonché degli artt. 74, comma 6, 74-quater e Tabella C del Dpr. n. 633/1972, con riferimento alla doppia imposizione ISI/IVA.

Deduceva poi anche la violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza e dei principi di capacità contributiva e di progressività del sistema tributario di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con riferimento ai quali sollecitava il giudice a sollevare la questione di legittimità costituzionale.

La società contribuente deduceva, in particolare, che, rispetto alla sentenza della Corte di Giustizia UE, citata dal giudice di appello a conferma del proprio decisum (Causa C-109/90 del 19 Marzo 1991, tra la NV Giant e il Comune di Overijse), vi erano delle sostanziali differenze nel caso di specie.

In primo luogo, osservava che mentre l’imposta oggetto del giudizio deciso dalla CGUE richiamata era comunale e, quindi, territorialmente limitata, l’ISI, al contrario, è applicabile su tutto il territorio della Repubblica Italiana.

In secondo luogo, data l’identità della base imponibile, sosteneva che l’ISI era in sostanza una imposta sulla cifra di affari e, quindi, deduceva il verificarsi di una doppia imposizione, vietata ai sensi dell’art 401 della Direttiva 2006/112/CE.

Su tali premesse, la società ricorrente, come detto, chiedeva che si sollevasse questione pregiudiziale ai sensi dell’art 267 TFUE, affinchè la Corte di Giustizia si pronunciasse sull’interpretazione dell’art. 401 della citata Direttiva, per dire se allo stesso ostasse la sopra richiamata legislazione nazionale, nella parte in cui si prevede che tutte le attività di intrattenimento che si svolgono nel territorio della Repubblica Italiana sono assoggettate sia all’imposta sul valore aggiunto e sia all’imposta sugli intrattenimenti, applicate sulla stessa base imponibile e riscosse con le stesse modalità.

Osservava inoltre che la predetta doppia imposizione violava, a suo avviso, anche l’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui la normativa applicabile opera una irragionevole discriminazione tra le attività di spettacolo e le attività di intrattenimento, gravando le prime della sola IVA e la seconda, invece, sia dell’IVA che dell’ISI, atteso che situazioni analoghe vengono così sottoposte ad un regime fiscale notevolmente differenziato.

Secondo la ricorrente, poi, alla predetta differenziazione conseguiva anche la violazione dell’art. 53 della Costituzione, essendo gli operatori del settore intrattenimenti gravati con una doppia imposizione, in evidente contrasto con i principi di capacità contributiva e di progressività del sistema tributario.

Secondo la Suprema Corte tutte le censure sollevate erano infondate.

Imposta sugli intrattenimenti: focus sull’evoluzione normativa

Quanto al contesto normativo, i giudici di legittimità evidenziano innanzitutto che la normativa nazionale, fino al 31 dicembre 1999, prevedeva l’assoggettamento degli introiti derivanti dalle attività di spettacolo alla omonima imposta, di cui al Dpr. n. 640 del 26 ottobre 1972.

Con decorrenza dal 1° gennaio 2000, si applicano invece le disposizioni del Dlgs. n. 60 del 26 febbraio 1999, che ha riordinato la materia, abrogando l’imposta sugli spettacoli ed istituendo l’imposta sugli intrattenimenti, apportando modifiche al citato Dpr n. 640/1972.

È stato inoltre introdotto, nel Dpr n. 633 del 26 ottobre 1972, l’art. 74-quater, che ha disciplinato il nuovo regime fiscale per le attività elencate nella tabella allegata al predetto Dlgs.

Per effetto di questo riordino normativo, le attività di spettacolo, dall’anno 2000, non sono dunque più soggette a due diverse imposte, ma alla sola imposta sul valore aggiunto (IVA).

L’art. 74, al comma 6, del Dpr 633/72 stabilisce inoltre, per le imprese che organizzano intrattenimenti, un regime IVA speciale, in deroga.

La norma prevede infatti che:

“Per gli intrattenimenti, i giochi e le altre attività di cui alla tariffa allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, l’imposta (n.d.r. l’IVA) si applica sulla stessa base imponibile dell’imposta sugli intrattenimenti ed è riscossa con le stesse modalità stabilite per quest’ultima. La detrazione di cui all’articolo 19 è forfettizzata in misura pari al cinquanta per cento dell’imposta relativa alle operazioni imponibili. Se nell’esercizio delle attività incluse nella tariffa vengono effettuate anche prestazioni di sponsorizzazione e cessioni o concessioni di diritti di ripresa televisiva e di trasmissione radiofonica, comunque connesse alle attività di cui alla tariffa stessa, l’imposta si applica con le predette modalità ma la detrazione è forfettizzata in misura pari ad un decimo per le operazioni di sponsorizzazione ed in misura pari ad un terzo per le cessioni o concessioni di ripresa televisiva e di trasmissione radiofonica. I soggetti che svolgono le attività incluse nella tariffa sono esonerati dall’obbligo di fatturazione, tranne che per le prestazioni di sponsorizzazione, per le cessioni o concessioni di diritti di ripresa televisiva e di trasmissione radiofonica e per le prestazioni pubblicitarie; sono altresì esonerati dagli obblighi di registrazione e dichiarazione, salvo quanto stabilito dall’articolo 25 …”.

A sua volta, la tabella allegata al Dpr 640/1972 stabilisce una tariffa del 16 per cento per “esecuzioni musicali di qualsiasi genere ad esclusione dei concerti e strumentali, e trattenimenti danzanti anche in discoteche sale da ballo quando l’esecuzione di musica dal vivo di durata inferiore al cinquanta per cento dell’orario complessivo di apertura al pubblico dell’esercizio”.

Imposta sugli intrattenimenti: le conclusioni della Corte di Cassazione

Tanto premesso, la Suprema Corte evidenzia come occorra dunque distinguere tra le attività di intrattenimento e le attività di spettacolo, laddove, come chiarito dal Ministero delle Finanze con Circolare n. 165/E del 7 settembre 2000, le attività di intrattenimento sono caratterizzate da un prevalente aspetto ludico e implicano la partecipazione attiva del soggetto all’evento, mentre le altre attività di spettacolo sono caratterizzate dalla partecipazione prevalentemente passiva dello spettatore all’evento rappresentato, che assume anche una connotazione culturale.

In estrema sintesi, rileva la Corte, con riguardo alle attività di discoteche, nightclub e altri locali che organizzano intrattenimenti musicali e danzanti, può dirsi che, se nel locale si produce musica dal vivo per più del 50 per cento dell’orario complessivo di apertura al pubblico, si ha attività di spettacolo (vale a dire che il fruitore è spettatore passivo) soggetta solo ad IVA secondo il regime speciale (ovvero ordinario su opzione), mentre, se di contro non si supera la soglia del 50 per cento (quindi con musica prevalentemente da mezzo meccanico e DJ), si ha attività di intrattenimento (il fruitore è attivo con partecipazione ludica), soggetta sia ad IVA (speciale o ordinaria), sia ad ISI.

Non aveva quindi errato il giudice d’appello a fare riferimento al principio generale secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo (nella specie IVA) è sempre a carico di chi invoca la predetta deroga (cfr., Cass., n. 10355 del 31/03/2022).

Inoltre, il giudice d’appello aveva correttamente osservato che al momento dell’accesso non si eseguiva musica dal vivo (e ciò costituiva un valido elemento indiziario), motivo per cui i verbalizzanti avevano ritenuto di operare ulteriori accertamenti ed avevano chiesto la esibizione dei documenti fiscali comprovanti la esibizione nel tempo di artisti dal vivo, senza però ottenere riscontro.

Anche questo dato era stato valorizzato dal giudice d’appello, il quale aveva osservato che, di regola, gli artisti si esibiscono dietro compenso (e pertanto ove il compenso fosse stato corrisposto ne sarebbe rimasta traccia nella contabilità).

Infondata poi era anche l’ultima censura, sia sotto il profilo comunitario che costituzionale, sui paventati effetti di “doppia imposizione”.

Rileva a tal proposito la Corte di Cassazione che l’art. 267 del TFUE stabilisce un meccanismo di rinvio obbligatorio allorché una questione di interpretazione o di validità del diritto dell’Unione sorga di fronte ad un giudice nazionale di ultima istanza.

Tale obbligo, evidenziano i giudici di legittimità, ha la funzione di evitare interpretazioni giurisprudenziali contrastanti all’interno della Unione Europea, ma non quella di “spogliare” il giudice nazionale dalla sua funzione giurisdizionale, vale a dire quella di individuare la norma giuridica applicabile alla fattispecie e di interpretare il diritto interno.

Tantomeno la sua funzione è quella di ottenere un parere su questioni generali od ipotetiche, essendo deputato a risolvere una controversia effettiva ed attuale, fondata sulla rilevanza della questione pregiudiziale.

Deve quindi essere escluso ogni automatismo tra la richiesta della parte e l’obbligo di sollevare la questione, soprattutto laddove sussista giurisprudenza consolidata della Corte UE che già risolva il punto di diritto di cui trattasi.

E, nella specie, secondo la Cassazione, con la sentenza Giant, cui correttamente aveva fatto riferimento il giudice d’appello, la Corte di Giustizia UE si era in effetti già pronunciata sulla questione, affermando che il diritto comunitario ammette l’esistenza di regimi d’imposta concorrenti con l’IVA quale anche una imposta sugli intrattenimenti.

Secondo la Corte Europea, gli Stati membri hanno del resto la facoltà di istituire imposte che non abbiano natura d’imposta sulla cifra d’affari, laddove l’imposta sugli intrattenimenti non ha natura di imposta sulla cifra di affari, dato che non costituisce un’imposta generale, giacché si applica solo ad una categoria limitata di beni e di servizi.

Aggiunge peraltro la Corte che non è la dimensione territoriale che configura (o meno) l’imposta come generale.

La natura generale dell’imposta si esclude infatti quando essa abbia ad oggetto una categoria limitata di beni e servizi, come è appunto il caso della imposta nazionale sugli intrattenimenti, che riguarda, come detto, le sole attività di intrattenimento, nei circoscritti termini sopra precisati, distinguendo tra intrattenimento e spettacolo.

In secondo luogo, rileva ancora la Cassazione, il tributo non ha natura di imposta sulla cifra di affari se non viene riscosso in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione, giacché colpisce annualmente l’insieme degli introiti realizzati dalle imprese ad essa soggette; e ciò è quanto avviene nel caso dell’ISI, che – estranea a qualsiasi meccanismo di rivalsa - si calcola sul prezzo pagato per assistere o partecipare agli intrattenimenti, al netto dell’imposta sul valore aggiunto.

Infine, aggiunge la Cassazione, sempre ai fini detti, rileva la necessità che il tributo non si basi sul valore aggiunto nella fase di ciascuna operazione, bensì sull’ammontare lordo di tutte le entrate.

E, analogamente, avviene nel caso dell’ISI, la cui base imponibile è costituita sia dal corrispettivo dei singoli titoli di accesso, sia dal prezzo pagato per assistere o prendere parte agli intrattenimenti o alle altre attività contenute dell’elenco della tariffa allegata, al netto dell’imposta sul valore aggiunto.

Quanto sopra esposto, oltre ad escludere in radice qualsiasi incompatibilità dell’imposta sugli intrattenimenti con il diritto comunitario, rendeva evidente che era manifestamente infondata anche la prospettata questione di legittimità costituzionale, dovendo ricordarsi che rientra comunque nella discrezionalità del legislatore la determinazione dei singoli fattori espressivi della capacità contributiva, purché non si superi il limite della irragionevolezza ed arbitrarietà.

Nel caso di specie, del resto, secondo la Suprema Corte, la distinzione tra intrattenimenti e spettacoli, lungi dall’essere discriminatoria, è funzionale a circoscrivere la categoria di beni e servizi ai quali si applica l’imposta in relazione alla intrinseca differenza tra le due fattispecie: come precisato infatti dalla citata Circolare n. 165/E vi è differenza tra il caso in cui il soggetto assista passivamente ad uno spettacolo ed il caso in cui il soggetto prenda parte attivamente ad un “intrattenimento”.

Inoltre, la Cassazione rileva ancora che, quanto al rispetto del principio di capacità contributiva, il legislatore, quando assume un determinato presupposto, economicamente valutabile, quale indice di una capacità contributiva in riferimento solo a determinati soggetti, con riguardo alla misura della imposizione, rimane sottoposto solo al vincolo della non arbitrarietà e della proporzionalità.

E, con riferimento al rispetto del criterio di proporzionalità, potevano qui richiamarsi le già esposte considerazioni sulla circostanza che non si trattava di una doppia imposizione, e che è comunque ammessa - nei termini sopra precisati - l’esistenza di regimi di imposta concorrenti con l’IVA, laddove per le imprese soggette sia ad ISI che ad IVA è previsto comunque un regime speciale forfetario, salvo che l’impresa opti per il regime IVA ordinario.

Questo sito contribuisce all'audience di Logo Evolution adv Network