Gig economy: cos’è e qual è la definizione della nuova economia in cerca di regole

Anna Maria D’Andrea - Leggi e prassi

La gig economy si sta sviluppando in maniera rapida anche in Italia e presto potrebbero arrivare regole e tutele anche per queste tipologie di lavori. Ecco cos'è e qual è la sua definizione.

Gig economy: cos'è e qual è la definizione della nuova economia in cerca di regole

Il termine gig economy sta diventando di uso comune anche in Italia per definire alcune tipologie di lavoro non inquadrabili in quelle che sono le categorie occupazionali tradizionali.

La definizione di gig economy e la spiegazione di cos’è e qual è il suo significato è spesso associata al termine “lavoretti”.

Tale definizione, tuttavia, non rende giustizia agli oltre 700 mila italiani gig workers, lavoratori autonomi ma alle dipendenze delle nuove aziende nate grazie al mercato digitale, che possono arrivare a guadagnare quasi quanto lo stipendio di un normale lavoratore dipendente.

I dati del numero di lavoratori impiegati nei diversi settori della gig economy sono stati anticipati dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti e mostrano come il 2,5% della popolazione in età da lavoro sia ad oggi impiegata lavori non facilmente inquadrabili a livello contrattuale.

Ed è proprio a fronte di un fenomeno in ascesa che il Ministro del Lavoro Luigi Di Maio, con il Decreto Dignità, ha manifestato l’intenzione di introdurre tutele e diritti anche per i gig workers, partendo dai fattorini anche definiti come “riders” che si guadagnano da vivere grazie all’intermediazione di giganti del digitale come Deliveroo o Foodora.

Tuttavia si tratta soltanto del 10% dei lavoratori in bilico tra autonomia e subordinazione per i quali si preannunciano importanti novità.

Gig economy: definizione ed esempi per capire cos’è e cosa significa

La gig economy, termine di derivazione anglosassone, può essere definita come un’economia caratterizzata dalla prevalenza di lavoratori freelance o con contratti a breve termine e, parallelamente, da una costante diminuzione del numero di occupati impiegati in maniera stabile.

È questa una prima definizione utile per capire cos’è la gig economy, tipologia di mercato occupazionale flessibile e dinamico alla quale anche l’Italia sembra esser destinata a doversi abituare nonché a regolamentare.

Ad aiutarci a capire meglio di cosa significa e di cosa stiamo parlando è l’Oxford English Dictionary, che accanto alla definizione commenta:

lavorare nella gig economy significa essere costantemente sottoposti a pianificazione dell’ultimo minuto”.

Quando si parla di gig workers l’esempio più immediato è sicuramente quello dei fattorini, i riders addetti alla consegna a domicilio di cibo e bevande ordinate per il tramite di piattaforme ed applicazioni web nate per mettere in contatto clienti e aziende.

Eppure, i riders rappresentano soltanto il 10% dei giggers e all’interno del nuovo mercato dell’economia dei piccoli lavori rientrano, in sostanza, tutti i servizi e le prestazioni offerte per il tramite di applicazioni online. Airbnb e Uber ne sono soltanto due esempi e rappresentano di certo l’emblema dell’ascesa dell’economia dei servizi e delle opportunità di guadagno extra offerte dal digitale.

Quando guadagna un gig worker: opportunità e insidie della gig economy

Parlare di gig economy come l’universo dei lavoretti per arrotondare lo stipendio potrebbe apparire riduttivo.

Secondo la ricerca svolta dalla fondazione Rodolfo Debenedetti, anticipata dal Sole24Ore, sono 150 mila i giggers che non hanno altro lavoro e che si guadagnano da vivere soltanto lavorando per il tramite di piattaforme online.

Lo stipendio mensile che può essere guadagnato arriva anche a superare gli 800 euro, una somma non irrilevante tenuto conto dell’attuale situazione del mercato occupazionale tradizionale.

Lo sviluppo repentino della gig economy potrebbe essere visto, quindi, come una delle conseguenze della crisi lavorativa che ha caratterizzato e che continua oggi a caratterizzare il mercato del lavoro.

Per spiegare cos’è la gig economy, quindi, si potrebbe partire definendola come una delle opportunità offerte ai millennials e non solo, caratterizzata da un alto grado di flessibilità e autonomia.

Tuttavia, non mancano le insidie e i problemi: attualmente, le tutele riconosciute a queste tipologie di lavoratori sono pressoché inesistenti e troppo spesso più che di lavori autonomi si tratta di prestazioni assimilabili alle ordinarie tipologie di lavoro subordinato.

Cosa fare, quindi, per garantire diritti e tutele?

Gig economy: verso la regolamentazione con il Decreto Dignità

La principale sfida di oggi è quella di introdurre regole e diritti per i lavoratori della gig economy, tali tuttavia da non compromettere i casi in cui tali prestazioni siano effettivamente svolte in maniera del tutto autonoma e saltuaria.

Attualmente vi sono diverse tipologie di regolarizzazione, partendo dal contratto di prestazione occasionale, fino al lavoro intermittente e ai contratti a tempo determinato nei casi in cui vi sia effettivamente vincolo di subordinazione.

Prima di tutto, tuttavia, è necessario definire quando il gigger è considerato come lavoratore autonomo freelance e quando invece dovrà essere inquadrato come un lavoratore subordinato.

Il Ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, con il Decreto Dignità ha annunciato di voler introdurre una prima forma di regolarizzazione del lavoro prestato dai riders, “anche tramite piattaforme digitali, applicazioni e algoritmi” e, nella bozza di decreto, l’articolo 1 stabilisce che:

si considera prestatore di lavoro subordinato, ai sensi dell’art 2094 del codice civile, chiunque si obblighi, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale, alle dipendenze e secondo le direttive, almeno di massima e anche se fornite a mezzo di applicazioni informatiche, dell’imprenditore, pure nei casi nei quali non vi sia la predeterminazione di un orario di lavoro e il prestatore sia libero di accettare la singola prestazione richiesta, se vi sia la destinazione al datore di lavoro del risultato della prestazione e se l’organizzazione alla quale viene destinata la prestazione non sia la propria ma del datore di lavoro.

In tal modo, ai riders verrebbero estesi i diritti in materia di malattia, ferie e maternità ed inoltre l’obiettivo di Di Maio sarebbe quello di introdurre il diritto ad uno stipendio minimo e ad un’indennità mensile di disponibilità, accanto il diritto alla disconnessione per 11 ore al giorno.

Contrarie al provvedimento le aziende digitali del settore, come nel caso di Foodora che, in caso di approvazione del provvedimento, ha annunciato che sarà costretta a lasciare l’Italia.

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