Contributo affitto enti non commerciali, la distinzione in base all’attività

Cristina Cherubini - Associazioni

Contributo affitto enti non commerciali, l'art. 28 del decreto legge 34/2020 ha introdotto un'agevolazione particolarmente significativa per tutti quegli enti che usufruivano, per lo svolgimento dell'attività economica di un sede concessa in locazione, e grazie alla scelta del legislatore, anche gli enti non commerciali sono entrati a far parte parte dei possibili beneficiari. La distinzione tra attività istituzionale o commerciale.

Contributo affitto enti non commerciali, la distinzione in base all'attività

Il credito d’imposta per i canoni di locazione degli immobili destinati ad uso non abitativo o per gli affitti d’azienda, previsto dall’art. 28 del d.l 34/2020, può essere erogato, come più volte specificato a particolari categorie di soggetti tra cui quelli esercenti attività d’impresa, arte o professione, a patto che i ricavi e compensi da loro percepiti attraverso l’attività esercitata non superino 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto.

Anche se durante l’iter di conversione sono state inserite una serie di novità, e tra queste anche l’estensione a imprese esercenti attività di commercio al dettaglio con ricavi o compensi superiori a 5 milioni di euro, è sempre bene sottolineare il limite dato che è funzionale ad effettuare una prima scrematura dei soggetti potenzialmente beneficiari di tale bonus.

Risulta, inoltre, necessario sottolineare che il legislatore al comma 3 e 4 dell’art. 28 ha previsto che anche gli enti non commerciali, compresi gli enti del terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti possano fare domanda per accedere a tale agevolazione, specificando però una distinzione non trascurabile afferente all’attività da loro esercitata.

Contributo affitto enti non commerciali: distinzione tra attività istituzionale o commerciale

La misura prevista dall’art. 28, riguarda in particolar modo per gli enti non commerciali alcune specifiche tipologie di costi:

  • costo sostenuto per il canone di locazione;
  • canone di leasing;
  • canone di concessione di immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale.

L’ultima voce in elenco, quella afferente ai contratti onerosi stipulati al fine di permettere all’associazione di svolgere all’interno di un immobile l’attività definita come istituzionale sottende un ulteriore concetto fondamentale per la determinazione del bonus.

L’ente non commerciale, per definizione svolge attività prevalentemente non commerciale, senza voler fare ulteriori precisazioni, ma è pacifico poi aspettarsi nella pratica che si verifichi lo svolgimento di alcune attività regolarmente configurabili tra quelle previste nell’art. 2195 cc, senza che tale fatto comporti però la perdita della natura dell’ente, ma in questo caso sicuramente una diversa determinazione del bonus previsto dall’art. 28 del d.l rilancio.

Il comma 4 dell’art. 28 del d.l 34/2020 ripreso poi dalla circolare 14/E del 6 giugno 2020, precisa infatti che «l’eventuale svolgimento di attività commerciale in maniera non prevalente rispetto a quella istituzionale non pregiudica la fruizione del credito d’imposta anche in relazione a quest’ultima attività».

Il parere cioè del legislatore è quello di non voler escludere enti non commerciali che al fine di poter raggiungere l’obiettivo previsto dallo statuto, svolgono anche se in modo non prevalente attività configurabili come commerciali.

Contributo affitto enti non commerciali: determinazione del bonus in presenza di attività commerciale

La prima distinzione da fare al fine di poter determinare in modo preciso e puntuale l’effettiva spettanza del contributo è quella relativa alla tipologia di attività esercitata dall’ente, se solo istituzionale o se parzialmente anche commerciale.

Tale processo si effettua partendo dall’analisi dell’atto costitutivo o dello statuto della singola associazione, nel caso in cui infatti «l’ente non commerciale svolga, nel medesimo immobile, anche attività commerciale, il credito d’imposta sarà attribuito in relazione al canone di locazione afferente alle due sfere (istituzionale e commerciale) e nel rispetto dei differenti requisiti individuati dalla norma.»

Il requisito che assume rilevanza nella distinzione sopracitata è infatti la soglia di cui abbiamo accennato inizialmente, quella dei 5 milioni relativa a ricavi e corrispettivi, a cui l’ente deve sottostare nel caso in cui l’attività da esso esercitata non sia puramente istituzionale ma anche in parte di natura commerciale.

Nel caso in cui l’associazione svolga attività commerciale è importante che rispetti i seguenti requisiti:

  • deve verificare di non aver conseguito nel 2019 ricavi o compensi in misura superiore a 5 milioni di euro;
  • deve inoltre dimostrare di aver avuto un calo del fatturato o dei corrispettivi del mese di riferimento di almeno il 50 per cento rispetto allo stesso mese del 2019.

Ai fini esemplificativi può verificarsi il caso in cui il contratto di locazione sia stipulato in partenza prevedendo canoni e condizioni differenziate sulla base dell’uso dei locali da parte dell’associazione ma nel caso in cui il contratto sia unico «è necessario individuare con criteri oggettivi la quota parte di canone relativo ai locali destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale rispetto a quella dei locali in cui viene svolta l’attività commerciale.»

Tale operazione richiede un’attenta analisi della contabilità dell’associazione volta al calcolo dell’imputazione dei costi e ricavi alle due attività. In assenza, è possibile utilizzare ogni altro criterio che risulti oggettivo e riscontrabile in sede di attività di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria.

Nel caso in cui ovviamente l’ente dovesse utilizzare la sede oggetto di contratto per meri fini istituzionali, la richiesta del contributo non sarà subordinata al rispetto di nessun requisito.

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