Salario minimo: oggi il vertice Governo-opposizioni, cosa cambierebbe con l’introduzione

Francesco Rodorigo - Leggi e prassi

Si terrà oggi a Palazzo Chigi il vertice tra Governo e opposizioni sul salario minimo. Le parti si incontrano dopo l'approvazione della sospensiva che ha rimandato tutto a fine settembre. Cosa cambierebbe con l'eventuale introduzione?

Salario minimo: oggi il vertice Governo-opposizioni, cosa cambierebbe con l'introduzione

Nuovo capitolo della saga sul salario minimo, oggi 11 agosto 2023 è previsto il vertice a Palazzo Chigi, dove Giorgia Meloni e altri rappresentanti di Governo incontreranno le opposizioni per discutere sul tema.

La discussione della proposta di legge, dopo l’approvazione della sospensiva a inizio mese, è stata rimandata almeno fino a fine settembre, ma il Presidente del Consiglio ha comunque invitato i rappresentanti delle opposizioni ad un incontro.

La nuova proposta prevede l’introduzione di una soglia minima oraria di 9 euro lordi, sotto la quale non è possibile scendere. Come cambierebbe il panorama italiano se dovesse diventare realtà?

Salario minimo: oggi il vertice Governo-opposizioni, cosa cambierebbe con l’introduzione

Nonostante la sospensiva approvata lo scorso 3 agosto e che ha rimandato almeno fino a fine settembre tutta la discussione sulla proposta di legge che introdurrebbe un salario minimo legale in Italia, il tema resta caldo e al centro del dibattito nella sfera politica.

I rappresentanti del Governo, guidati dal Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, incontreranno oggi pomeriggio a Palazzo Chigi i leader dei partiti di opposizione per dialogare sulla questione.

Mercoledì, però, la stessa Premier in una diretta video sul proprio canale Facebook ha ribadito ancora una volta la linea del Governo, cioè quella di chiudere ad una possibile introduzione del salario minimo legale per puntare, invece, sul potenziamento della contrattazione collettiva.

“Perché non abbiamo accolto la proposta sul salario minimo così come viene presentata? Perché se io decidessi di stabilire per legge una cifra minima oraria di retribuzione per tutti, che inevitabilmente si collocherebbe nel mezzo, mi troverei con un salario minimo che in molti casi rischia di essere più basso del minimo contrattuale previsto e rischierebbe di diventare un parametro sostitutivo e non aggiuntivo peggiorando i salari di molti più lavoratori di quelli ai quali lo migliorerebbe.”

Rafforzare la contrattazione collettiva, soprattutto nei settori più deboli o completamente scoperti è, dunque, la soluzione giusta secondo la maggioranza, a ciò vanno poi sommati altri interventi specifici come ad esempio il taglio del cuneo fiscale, che garantisce degli aumenti nelle buste paga dei lavoratori e delle lavoratrici. Una misura che il Governo è intenzionato a riproporre per il prossimo anno.

Salario minimo: in Italia prevale la contrattazione collettiva

Il salario minimo legale è una retribuzione minima oraria prevista per legge che si applica a tutti i lavoratori e le lavoratrici dei vari settori e sotto la quale non è possibile scendere.

La retribuzione minima prevista per legge è una realtà nella maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea per garantire retribuzioni adeguate al lavoro svolto e al contesto socio-economico.

Perché allora in Italia non c’è? Per rispondere a questa domanda è importante specificare che la retribuzione minima per i lavoratori può essere stabilita per legge, come appunto nel caso del salario minimo legale, ma può anche essere determinata dalla contrattazione collettiva nazionale.

E proprio quest’ultimo è il caso dell’Italia che insieme ad altri 5 Paesi UE (Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia e Cipro) fa riferimento esclusivamente ai CCNL.

Nei contratti collettivi, infatti, grazie al processo di negoziazione tra i lavoratori e i loro rappresentanti e i datori di lavoro e le loro organizzazioni si determinano le condizioni di lavoro, tra cui anche le retribuzioni.

Il potenziamento e il rafforzamento della contrattazione collettiva, l’obiettivo del Governo, è in linea con quanto previsto dalla nuova direttiva europea approvata lo scorso settembre che prevede l’introduzione del salario minimo nei Paesi membri. Un intervento che però non è obbligatorio nei Paesi con un tasso di copertura dei CCNL almeno all’80 per cento, come appunto l’Italia.

Secondo un’analisi pubblicata recentemente dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro oltre la metà dei CCNL considerati è già superiore alla soglia dei 9 euro che la nuova proposta di legge andrebbe ad introdurre.

Nello specifico, dei contratti analizzati, 39 sono al di sopra, 22 al di sotto. Di questi ultimi, però, 18 prevedono una retribuzione compresa tra gli 8 e gli 8,9 euro orari. I restanti sono superiori ai 7 euro.

L’eventuale introduzione di un salario minimo, però, non comporterebbe una diminuzione del potere contrattuale delle parti sociali che continuerebbero comunque a definire gli importi dei trattamenti minimi attraverso la contrattazione collettiva, con la differenza che la retribuzione minima non potrebbe in alcun caso essere inferiore alla soglia stabilita.

E se da un lato gli effetti sono marginali per tutti i contratti che già presentano un minimo salariale superiore alla soglia minima, come quelli individuati dalla Fondazione, per i settori meno tutelati o addirittura scoperti, una retribuzione minima oraria garantirebbe importanti aumenti. Quello che bisogna evitare è appunto lasciare che diminuiscano le retribuzione minime die settori per i quali sono già più elevate.

Non resta che attendere per vedere quale sarà l’esito dell’incontro e quali saranno le varie posizione alla ripresa della discussione sulla proposta di legge dal prossimo settembre.

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