Il taglio alla perequazione delle pensioni effettuato nel 2023 e nel 2024 è legittimo. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che è tornata sulla questione della mancata rivalutazione piena
Il “raffreddamento” della rivalutazione delle pensioni non è un prelievo tributario e quindi non risulta incostituzionale con i principi di eguaglianza tributaria, ragionevolezza e temporaneità.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 167/2025 depositata il 13 novembre 2025.
La Consulta era stata chiamata ad esprimersi in merito al taglio alla perequazione delle pensioni di importo più alto effettuato tra il 2023 e il 2024.
Si tratta della seconda volta, quest’anno, che la Corte dichiara legittimo il meccanismo di raffreddamento della rivalutazione delle pensioni di importo oltre quattro volte il minimo INPS in vigore nel biennio 2023/2024.
Rivalutazione pensioni: per la Corte Costituzionale i tagli sono legittimi
La Corte Costituzionale torna per la seconda volta quest’anno sulla questione della mancata rivalutazione piena, nel biennio 2023/2024, delle pensioni di importo oltre 4 volte il minimo INPS (2.101 euro nel 2023).
Già all’inizio di quest’anno, la Consulta aveva espresso parere negativo sulla questione di incostituzionalità del taglio.
Facciamo un passo indietro. Nel 2023 con l’obiettivo di contrastare l’aumento dell’inflazione, è stato modificato il meccanismo di rivalutazione annuale delle pensioni, favorendo quelle di importi più bassi, fino a 4 volte il minimo INPS.
Per tutti gli altri l’aumento è stato ridotta gradualmente, fino a quelli oltre 10 volte il minimo, i quali hanno ottenuto una rivalutazione del 32 per cento nel 2023 e del 22 per cento nel 2024. Di norma, come sarà anche per il 2026, la rivalutazione per le pensioni oltre 6 volte il minimo INPS è del 75 per cento.
Tagli, stimati in circa 37 miliardi di euro, che hanno spinto alcuni pensionati a fare ricorso contro le disposizioni del Governo, con il caso che è finito sul tavolo della Consulta, la quale però ha ritenuto legittimo il taglio operato.
Con la sentenza n. 167/2025, depositata il 13 novembre, la Corte è tornata sulla questione dopo la dopo i dubbi, sollevati dalla Corte dei conti (sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna), in merito alla compatibilità della disposizione censurata con i principi di eguaglianza tributaria, di ragionevolezza e temporaneità previsti dalla Costituzione.
La Consulta ha osservato come la disposizione del 2023 non abbia introdotto un prelievo di natura tributaria.
Il taglio, si legge infatti nel comunicato diffuso ieri, non incide sull’importo della pensione percepita, la quale è stata comunque incrementata, sebbene in percentuale più bassa. Di conseguenza, tale norma non può essere ritenuta illegittima con i principi di eguaglianza tributaria, ragionevolezza e temporaneità di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
Inoltre, “la disposizione censurata mira a conseguire un risparmio sulla spesa pensionistica e non anche a produrre l’effetto tipico di ogni fattispecie tributaria, consistente in un incremento di risorse destinato a finanziare direttamente pubbliche spese”.
Non si tratta di una tassa, dunque, il che è sufficiente a escludere la lesione del principio di eguaglianza, prospettato dal ricorso.
Non è irragionevole, in quanto è stata effettuata una considerazione differenziata delle pensioni in base al loro importo. Le pensioni più alte, infatti, hanno una maggiore resistenza all’erosione dell’inflazione.
E infine, si è trattato di una misura “una tantum”. Come già specificato nella citata sentenza n. 19/2025, si è trattato di un intervento “di natura eccezionale”, dovuto appunto alla situazione politico-economica del momento.
Le raccomandazioni della Corte e la rivalutazione 2026
Ad ogni modo la Corte ha ribadito l’invito già rivolto al legislatore affinché in futuro:
- si tenga conto degli effetti prodotti di una simile disposizione, nel regolare la portata di eventuali successive misure che andranno ad operare sul meccanismo di indicizzazione delle pensioni;
- il meccanismo ordinario di rivalutazione automatica delle pensioni venga interessato con estrema prudenza da cambiamenti improvvisi, che possono incidere in senso negativo sui comportamenti di spesa delle famiglie;
- si adotti un approccio diversamente calibrato rispetto ai pensionati soggetti al sistema contributivo, caratterizzato dalla tendenziale corrispettività tra montante contributivo e misura del trattamento previdenziale liquidato.
Nessun rimborso in vista, dunque, per i pensionati che si sono visti tagliare l’importo della pensione nel 2023 e nel 2024. Dal 2025, come detto, il meccanismo di rivalutazione è tornato quello ordinario e così darà anche per il 2026.
Le pensioni saranno rivalutate considerando le tre fasce di reddito:
- 100 per cento per i trattamenti fino a 4 volte il trattamento minimo;
- 90 per cento per quelli tra 4 e 5 volte il minimo;
- 75 per cento per quelli superiori a 6 volte il minimo.
Secondo le stime si parla di una rivalutazione compresa tra l’1,4 e l’1,7 per cento.
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